“Rapina a mano armata” di Stanley Kubrick
Questa settimana si conclude una sorta di trilogia sui generis che ho voluto dedicare al noir e al thriller d’altri tempi. Dopo “Angoscia”, thriller drammatico in stile “londinese-hitchcockiano” e dopo “L’infernale Quinlan”, summa dei canoni del noir classico, questa settimana ci accingiamo a rivedere “Rapina a mano armata” (The Killing) un film di Stanley Kubrick del 1955, che ci permetterà inoltre di paralare di “linguaggi cinematografici”.
"Quel maledetto treno blindato" di Enzo Castellari
"Luna di fiele" di Roman Polanski
"La trilogia del dollaro" di Sergio Leone
In una rubrica come questa in cui la nostalgia è l’humus ispiratore, era un obbligo morale dedicare una review alla “trilogia del dollaro” del grande artigiano (barocco) del cinema nostrano: Sergio Leone. Gli anni ’60 - con l’ondata di rinnovamento dei nuovi autori del cinema americano ed europeo- segnano una battuta d’arresto per il western “classico”.
“Tutti giù per terra” di Davide Ferrario
"Uzumaki" di Higuchinsky
“Angoscia” di George Cukor
La storia del cinema è disseminata di grandi invenzioni anche dal punto di vista tecnico. Ancora oggi è in corso la grande rivoluzione del passaggio dall’analogico al digitale ma andando indietro nel tempo assistiamo ad altre due grandi rivoluzioni: l’avvento del sonoro che ha avuto delle ripercussioni non solo nell’estetica dei film, ma prima di tutto nelle tecniche produttive e negli assetti economici dell’industria cinematografica e infine l’introduzione del colore, anch’essa una svolta epocale.
"Crash" di David Cronenberg
Dieci giorni fa è morto all’età di 78 anni, lo scrittore inglese J. G. Ballard. Considerato uno dei padri del cyberpunk, è stato il profeta del vuoto della contemporaneità attraverso i suoi romanzi di stampo fantascientifico e surrealista. Ma il fulcro delle sue opere non è tanto il futuro in sé ma la rappresentazione della psicologia del futuro.
"Nirvana" di Gabriele Salvatores
Ciò che più apprezzo in un regista è la sua voglia di sperimentare ed osare mettendosi in discussione. Se poi tutto questo avviene all’interno del cinema italiano, la mia stima cresce ulteriormente. Gabriele Salvatores avrebbe potuto rimanere adagiato sugli allori dopo il premio Oscar per "Mediterraneo", campando di rendita rifacendo sempre il medesimo film; invece, come i grandi artisti, riesce a captare lo spirito del tempo e coglie l’impossibilità di continuare a rappresentarlo con il linguaggio della tradizione per risvegliare il pigro pubblico nazionale. Anche a questo serve il cinema: segnalare una crisi latente!