Percorso

Una notte a Tavolara

 Termina il 22 la rassegna "Una notte in Italia". Tre sono state le locations del festival: l' isola di Tavolara, San Teodoro e Porto San Paolo. Nella prima le proiezioni, nella seconda la mostra "Baci e abbracci", a cura di Antonio Maraldi, nel terzo, gli appuntamenti di Un tè freddo con Mini,  le immagini di Cliciak, il concorso nazionale per fotografi di scena a cura di Antonio Maraldi del Centro Cinema Città di Cesena,  i cortometraggi realizzati dai vincitori di Young directors project e la presentazione del libro-ricerca "E' tutto un altro film", di Francesco Casetti e Severino Salvemini. Due sono stati i momenti del festival sui quali ho concentrato la mia attenzione: la notte di sabato con le relative proiezioni e la presentazione di "Tutto un altro film",alla libreria "Oltreilmare", domenica mattina.

Se la vita è una torta-
-Isola di Tavolara-


Si narra di una festa lontana che di anno in anno accompagna la mia terra. Si narra di moltitudini di persone che accorrono per arrivare alla Sacra Roccia. Riempiono il proprio zainetto di sogni o di stelle ed attraversano il mare. Da lontano scorgono La Roccia, imponente e rassicurante. Sanno che nel momento in cui arriveranno al suo cospetto il Dio della roccia chiederà loro un tributo. Chiederà loro un po' di tempo ed un po' di anima. In cambio gli concederà un istante di eternità. In cambio gli concederà il cinema. Anche io aspiro a prostrarmi al Dio della roccia.. Ad avere il mio istante d' eternità.

 Nella fase precedente alle proiezioni  si chiacchiera, si suda, si beve, si mangia. A mano a mano che ci si avvicina all' ora di inizio della proiezione aumentano le persone, aumentano i rumori dei panini scartati, delle lattine che si aprono, delle telefonate per raccontare dove si è, che si fa. Poi arrivano le persone famose. Ed allora le persone che non lo sono iniziano a fotografarli e a parlare a voce più alta. Non mangiano più, non sarebbe carino per le foto. Arriva Neri Marcorè, che presenterà la serata. Viene fotografato e ad un tratto si posiziona a fianco allo schermo. Tutti intorno si agitano, ma lui no. Immobile, come solo il Dio della roccia potrebbe. Sembra assorto in un suo mondo parallelo. E quello nessuno può fotografarlo. In sala son presenti vari personaggi importanti, tra cui Guzzanti, Laura Chiatti, Domenico Procacci ed Opzetek. Neri Marcorè chiama quest' ultimo sul palco, perchè il film che inizierà la serata sarà il suo "Saturno contro".  

Era da dieci anni che non andava più al festival, dai tempi di "Bagno Turco". Allora c' era solo un lenzuolo come schermo e lui si era lamentato perchè non si vedeva bene per via del vento. Gli vien chiesto da quale idea nasce "Saturno contro". "E' una parte della della mia vita- risponde- se la vita è una torta, questa è una fetta di quella torta, non c'è plot."

 Racconta che il titolo originario doveva essere "Mentre Lorenzo dorme.", ma non ne era del tutto convinto. In più, varie persone, gli dicevano  che proprio nel momento in cui voleva iniziare le riprese avrebbe avuto Saturno contro. Ed essendo il mondo del cinema abbastanza scaramantico, si è posta l' attenzione su questo fatto e poi si è scelto come titolo. Poi parla del modo in cui sceglie gli attori. Nessun provino, solo una chiacchierata sui 30-40 minuti, un esempio è proprio Ambra, che fa parte del cast. Il secondo film in programmazione per la serata è "A casa nostra", della Comencini. La serata procede bene, anche se c'è qualcosa che non torna, qualcosa che non và. Dev' essere nell' aria. Forse qualcuno si è scordato di lasciare il proprio tributo, qualcuno si è nascosto nella tasca quel poco d' anima e di tempo che gli si chiedeva. Forse il Dio della roccia se ne è accorto ed ha punito tutti quanti. Decido di non curarmene. Riattraverserei il mare ancora dieci e cento volte solo per vedere un film di Ozpetek con lui lì di fronte a me. Quando il barcone mi porta via e ci son le luci delle barche più piccole che illuminano la notte, so che tutto è stupendo, ma ancora non ho trovato realmente il festival. Sento ancora quelle risate allegre e chiassose nelle scene drammatiche o "da lieve sorriso"di "Saturno contro" e mi viene tristezza. Poco prima Ozpetek aveva detto che di solito non rivedeva i suoi films per paura che qualcuno del pubblico tossisse o altro. Pare che ciò lo faccia sentir male. Ed è allora, che preoccupata per il futuro del cinema italiano, spero che se ne sia andato prima della fine della proiezione.

Tutto un altro film
-Libreria Oltreilmare-


 Prima che inizi la presentazione, faccio due chiacchiere  con Marco Navone. Gli parlo della mia sensazione negativa sulla serata precedente. Insieme commentiamo che una programmazione su un' isola è un punto di forza che, però, rischia un po' di sfuggire al controllo. Il suo festival mi piace e voglio arrivarci, non mi fermo ad una sensazione negativa. E così chiedo di poter fare due o tre chiacchiere con la dottoressa Detassis, Direttrice artistica del Festival, nonche Direttrice di Ciak.Ho tante domande da farle, ma il tempo è poco. Una prevale: "Ho letto una sua intervista rilasciata a  nonsolocinema in cui si parlava del convegno da lei promosso sulla "Divina canaglia", nell' ambito del festival  Schermi d'amore. Lei dice che le interessa il come ed il perchè le donne si presentino cattive sulla scena...me ne può parlare?" La sua è fondamentalmente la rivendicazione del ruolo della donna che non ha famiglia. Solitamente "le donne cattive"sono raccontate da uomini, sono loro a costruire il grande stereotipo. Il discorso è molto complesso ed il tempo stringe. Consapevole del fatto che non renderei giustizia ad un argomento così corposo, cedo il passo alla domanda successiva. Diretta, veloce. "Nell' ambito del festival di Tavolara si può trovare questo tipo di figura?" La risposta è negativa, come sospettavo. Pone invece l' accento su una altro tipo di storia di donne che fa parte del Festival. " Come l' ombra, di Marina Spada, è un bell' omaggio. La regista ha coraggio, è una dura." Poi c'è la presentazione del libro.

Piera Detassis è la coordinatrice ed fianco a lei Salvemini, uno dei due autori e Domenico Procacci, produttore ed editore. Salvemini esordisce dicendo che "Tutto un altro film" è molto in tema col Festival. "Il libro nasce da una scommessa disciplinare", per non parlare del cinema solo dal punto di vista economico o solo da quello artistico. "Questo libro vuole essere un ponte: io l' economista, Casetti il colto." E così spiega un po' quali sono gli argomenti maggiormente affrontati. Interviene Procacci, che commenta l' ultima parte del libro, nella quale si dice come dovrebbe esser fatto il cinema. Introduce il tema del rapporto cinema-pubblico che c'è in Italia: da noi scatta l' immedesimazione, mentre in America l' aspirazione. La conversazione sul cinema è sempre più fitta ed a poco a poco sento che sto entrando nel festival. Ancora Procacci, parla dell' importanza dell' originalità e del non assoggettarsi totalmente alle leggi del mercato. "La sala è un negozio che apre e deve vendere. Se non vende poi chiude." Questo però, lo sottolinea. Si parla della necessità di "eventizzare", dell fatto che lo spettatore vada fidelizzato. Si parla poi della legge sul cinema. Il pubblico interviene, la discussione procede con forza: "Si parla di confronto col mercato..ma almeno ci fosse! Sarebbe uno strumento più democratico e l' intervento della legge dovrebbe essere su quello." Procacci dichiara superata la dicotomia arte- mercato, "..non esiste più, in partenza tutti vorrebbero sale piene..". Ci siamo, il libro è riuscito a creare un dibattito di più di due ore sul cinema. Tra il pubblico Neri Marcorè, Geppi Cucciari, Grimaldi, Anita Kravos. Quest' ultima è l' attrice che interpreta Claudia in "Come l' ombra", film che viene citato come esempio positivo. Spiegano che è un' opera che sta viaggiando attraverso il passaparola. Tutti sembrano entusiasti ed io non resisto, alla fine della presentazione decido di chiacchierare un po' con lei.

Come Anita
-Kravos-

Le dico che non sono riuscita ad assistere alla proiezione del suo film e che mi spiace. Le chiedo di farmelo vedere attraverso i suoi occhi. E così lei inizia a raccontare. Non pensava di fare l' attrice e questo film le ha cambiato la vita. Ha fatto il provino per caso, ha trovato l' annuncio su Internet.  E' la storia di due donne, Olga e Claudia, tra le quali si instaura un legame speciale in una Milano afosa. La regia è di Marina Spada, l' ideatore è Daniele Maggioni, le immagini le ha curate Gabriele Basilico. Emerge subito un aspetto interessante, ossia la Kravos mi dice che Marina Spada ha chiesto un mutuo per poter far questo film. Allora le parlo di Self cinema, l' iniziativa che ha fatto arrivare nelle nostre sale "L' estate di mio fratello", grazie alla prevendita dei biglietti agli spettatori. Pare che Marina Spada avesse fatto qualcosa di simile con "Forza cani", il suo primo lungo, che fu finanziato attraverso la rete. "Come l' ombra", quindi, parte da lontano. Nasce nel 2005 e, passo dopo passo, arriva nelle sale italiane il 22 giugno 2007 (e ad Agosto arriverà anche a Cagliari). Nel 2006 è alle Giornate degli autori di Venezia e dopodichè a numerosi festival.
-Cosa rappresenta Tavolara per il vostro film?
Il nostro è un film sostenuto dalla stampa e quindi è importante.
Mi parla della sua Claudia, che vive eternamente in attesa. Mi cita una scena per farmi capire meglio il senso dell' attesa. Olga: " Tu non vuoi una famiglia? Figli?" Claudia: "Si, come tutte." Olga: "Ed allora cosa fai?"  Claudia:"Non lo so, aspetto." L' attesa è un' attrice importante in questo film. "Il senso dell' attesa è reso bene dalla città di Milano.", aggiunge.  
-Di solito, quando si attende qualcosa si ha la sensazione "di non venirne mai fuori". Dall'esterno ti dicono che riuscirai ad andare avanti, ma tu ti senti immobile. Anche nel film è così?
L' immobilità, si. Nel film questo è ben rappresentato.
 "In come l' ombra" c'è tanta arte. La copertina del quaderno che ho tra le mani riporta l' "Estate" di Edward Hopper. C'è una donna sola, che si tiene ad una colonna. Lei dice che l' aria del quadro riporta un po' quella del film. Ho il senso dell' afa dell' estate di Milano addosso anche io, a quel punto. I suoi occhi mi hanno fatta arrivare, non c'è che dire. Aggiunge "Il film dimostra che le cose si possono fare. Puoi cambiare la tua vita". Si ispira ad una poesia di un poeta donna( che non amava la definizione di poetessa)  di origine russa, Anna Achmatova.  Si tratta di "A molti" e ne riporto qui sotto l' ultima parte.
Come vuole l’ombra staccarsi dal corpo,
come vuole la carne separarsi dall’anima,
così io adesso voglio essere scordata.

A voi che leggete il compito di cercare questi versi all' interno del film e dentro di voi. Per me il Festival termina quì. Non ci sono eventi sensazionali. Nè vincitori, nè vinti. C'è, però, una manciata di poesia da chiudere nella nostra valigia e da portare via con noi. E c'è l' attesa. L' attesa di un altro incontro col Dio della roccia o con qualunque creatura divina ci voglia offrire un po' di luce. L' attesa di "Come l' ombra", così da conoscere Claudia un po' meglio. Delle cose che si possono fare. Della vita che si può cambiare.

Alessandra Manconi

Foto di Enrico Pisu

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Commenti: Cagliari fanalino di coda

Giorgio Pellegrini (Assessore alla Cultura - Comune di Cagliari)
 
Nel sassarese si è verificato ciò che anche in passato è successo più volte: una sinergia virtuosa tra politici intelligenti e fattivi ed intellettuali. Grazie alla capacità d’ascolto dei politici sassaresi i suggerimenti degli intellettuali sono stati presi sul serio. Ecco spiegato il florilegio di iniziative di qualità, non solo per il cinema ma la cultura nei sui diversi aspetti; mi riferisco, ad  esempio all’attivazione dell’Accademia e della   facoltà di Architettura, ad Alghero, ad un tiro di schioppo da Sassari.  Dal dopoguerra ad oggi il sassarese gode dei vantaggi di una classe politica attenta, aperta e dinamica. Tutto il contrario di ciò che accade nel nostro capoluogo, dove ci si deve confrontare con una Regione che mostra segnali di forte confusione e grave insensibilità per le tematiche della cultura, dell’arte, del cinema e, purtroppo, anche dell’artigianato. Il quadro di crisi, che ne risulta, è sconfortante. Qui si pensa purtroppo a costruire mausolei inutili  e si continua a mantenere un atteggiamento di sordità nei confronti di idee che potrebbero rivelarsi intelligenti e vincenti.
Tuttavia, aggiungerei che, forse, per quel che concerne il cinema, avere due poli, uno a nord  e uno a sud dell’isola, potrebbe essere anche un po’ troppo: il pubblico è quello che è, l’isola è veramente molto piccola. Meglio a Sassari, dunque, che niente.
Per quanto riguarda il mio impegno come Assessore, col mio piccolo bilancio riesco fare soltanto ciò che posso. Spero però che almeno il progetto della Cineteca Regionale e la Filmcommission possano rimanere qualcosa di nostro, legato a Cagliari, anche se, ovviamente nell’interesse di tutti.
 
 
Federico Floris (imprenditore cinematografico)
 
Effettivamente nel Sassarese e nel nord dell’isola, in generale, esistono diverse iniziative interessanti sul cinema. Certamente la vitalità di questi festival è legata alla presenza e all’impegno di artisti legati a determinate zone di quel territorio: Paolo Fresu, ad esempio, è di Berchidda; Antonello Grimaldi è legato al sassarese; Gianfranco Cabiddu è di Sedilo; Salvatore Mereu è di Sedilo. Questi ed altri artisti riescono a creare un movimento spontaneo che coinvolge positivamente i politici del luogo. Anche nel capoluogo e  nella provincia di Cagliari troviamo alcuni festival molto interessanti: Santa Narresi, per la musica jazz, o ancora un piccolo festival sul cinema che c’è a Carbonia, a cui è particolarmente legato Cabiddu, per fare solo alcuni esempi. Anche da noi, insomma, qualcosa c’è!
E’ bene, però, sottolineare che se  parliamo di “fare cinema” concretamente,  i festival non bastano. Sono eventi importanti ma non risolvono la situazione. Una forte volontà di investire nel cinema manca sia al nord che al sud della Sardegna. Ripeto omai da tempo che per dare una svolta occorrerebbe innanzitutto riconoscere che, dal momento che la realtà più vista è la televisione, se vogliamo formare una base di tecnici professionisti sardi, la Regione, inisieme ai comuni e all Provincia, dovrebbero mettere mano al portafoglio e finanziare progetti di fiction televisiva da realizzare in Sardegna. I progetti di fiction durano minimo un anno, a volte anche tre ed possono offrire un occasione unica ai sardi di imparare il mestiere. Sarebbe giusto finanziare ai giovani degli stage, dei corsi. Partecipare alla realizzazione di fiction significa  poter imparare e accumulare un anno, o due di esperienza sul campo: solo così potremmo formare una base solida di tecnici del luogo, in grado di attirare, in seguito, anche i grandi produttori.
La realtà fino ad oggi è, invece, che ogni volta che qualcuno viene da fuori per girare in Sardegna,  i tecnici se li porta da casa. E’ grave: noi non abbiamo in Sardegna qualcuno che sappia fare l’assistente, o l’operatore di ripresa. Anzi ce n’è uno, ma vive a Roma!
I Festival, dunque, sono importanti ma il cinema si impara facendo cinema, oppure fiction, tanto per cominciare. Altrimenti la ricaduta positiva del cinema sul territorio sarà minima: continueremo a limitarci col fornire, a chi viene in Sardegna, soltanto qualche albergo, e un auto in affitto. Poca roba, no?
 
 
Enrico Pitzianti (regista)
 
A Cagliari tutto si muove con lentezza perché sta a Sud dell’isola. Tutti i Sud di ogni parte del mondo sono lenti! Allo stesso modo funziona col Nord: li sono più veloci, sempre. Semplice no?
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Commenti: Wenders vola in Sicilia. E la Sardegna rimane a guardare

 Ancora botta e risposta tra i lettori e gli addetti ai lavori sul caso Wenders, il regista che ha scelto di girare in Sicilia il suo nuovo film grazie ai contributi del Por.

Emanuele Crialese (Regista)

Sono felice che la Sicilia abbia commissionato a Wenders un film: è un grande regista e forse anche la Sardegna avrebbe dovuto cogliere l'occasione. Occhi differenti e distaccati colgono aspetti che i registi legati al territorio non potrebbero vedere. Infatti, sarebbe noiossimo se la Sicilia apparisse solo nei film di Tornatore o dei registi siciliani. L'importante è fare. La preoccupazione sorge quando il territorio non suscita alcun interesse da parte di nessuno. Dunque l'alternativa fra promuovere i registi sardi o affidarsi a registi stranieri è un falso problema perché pensare che la Sardegna nel cinema debba essere filmata solo da registi sardi è una forma di provincialismo. Il cinema non esisterebbe se questa fosse la regola. Grandi registi, ma anche grandi scrittori, hanno ritratto paesi differenti dai propri, talvolta creando dei capolavori. Quando ho saputo che Soru aveva intenzione di chiamare Wenders, gli ho inviato una lettera chiedendogli di prendermi in considerazione. Ma non ho avuto risposta; ho pensato avesse già fatto altre scelte. Forse un film di Wenders avrebbe più visibilità del mio. Purtroppo non conosco le opere dei registi sardi, ho visto soltanto “Ballo a tre passi” ma non mi ha fatto impazzire. Invece mi incuriosisce "Jimmy della collina": appena posso vado a vederlo.   

 

Gianfranco Cabiddu (regista)

Occorre premettere che la Sicilia ha il vantaggio di avere, nel cinema, una lunga e consolidata tradizione che ha dato vita a un vero e proprio genere siciliano, ormai consolidato negli anni. Non soltanto questa regione è stata abbondantemente raccontata ‘dal di dentro’, cioè da registi siciliani contemporanei  quali Tornatore, Ciprì e Maresco, o Roberto Andò (solo per citare alcuni nomi) ma è stata anche luogo ed oggetto di indagine ed interpretazione anche dall’esterno (pensiamo a grandi autori come Cimino, ad esempio).

Fin dall’ottocentesca moda del Grand Tour in Italia, l’anima di questa straordinaria regione, è stata raccontata, letta, cantata ed interpretata da numerosi autori stranieri attraverso differenti linguaggi artistici, compreso quello cinematografico, naturalmente. Ciò significa che vi è stata una lunga e profonda elaborazione  della storia e dell’identità del luogo, realizzata sia attraverso lo sguardo ‘esterno’, di artisti stranieri, sia attraverso un profondo processo di interpretazione realizzato ‘dall’interno, dagli autori siciliani.  Fatta questa premessa è evidente che l’arrivo di un Wenders in Sicilia sarebbe sicuramente positivo: non metterebbe in gioco l’identità del luogo ma contribuirebbe  senz’altro ad arricchire una prospettiva interpretativa sulla regione già larga, molteplice e consapevole. Non dimentichiamo, infatti che le interpretazioni della Sicilia da parte di autori del cinema straniero e locale, sono state così tante e così importanti da influenzare notevolmente  persino il cinema americano.

Il discorso è molto diverso per la Sardegna: soltanto di recente abbiamo cominciato a raccontare noi stessi, ‘dall’interno’, attraverso il linguaggio cinematografico. Non voglio, con ciò, esprimere alcuna pregiudiziale nei confronti di autori stranieri, tuttavia ritengo che, non essendo maturata a sufficienza l’abitudine a raccontarci ‘dal di dentro’, l’idea di chiamare Wenders potrebbe essere prematura per noi. Dobbiamo ancora fare molta strada, impegnandoci, prima, a sviluppare uno sguardo consapevole su noi stessi, e sulla nostra regione. Altra cosa non meno importante,  è bene cercare i capire in che modo porgerci, presentare noi stessi anche all’esterno, scegliendo con cura quale tipo di comunicazione  adottare per capire se quello che raccontiamo di noi arriva o non arriva all’estero. La nostra è una cultura ancora chiusa, difficilmente ci lasciamo raccontare dall’esterno; non è facile coglierci dall’esterno, esiste ancora un forte rischio di cadere nello stereotipo.
Ultimamente in Sardegna è esplosa quasi una moda del cinema: tutti ne parlano ma siamo ancora lontani dal farlo in maniera davvero approfondita, non esiste ancora un confronto reale tra gli addetti ai lavori: pochi conoscono davvero questo mestiere. In un clima di globalizzazione accade, inoltre, che il cinema sardo venga  capito maggiormente quando si realizza un confronto con la Spagna, con la Germania e, in generale col cinema del Mediterraneo. Quando ci confrontiamo con i registi italiani rimaniamo, invece, schiacciati da un’idea regionalistica: una prospettiva riduttiva che dovremmo modificare al più presto.
Bisognerebbe, infine, vedere tutti insieme se la nuova legge sul cinema è veramente una buona legge, se è funzionale agli obiettivi che si pone.

 

Gianni Olla (critico cinematografico)

Non si può, certo, paragonare la Sardegna con la Sicilia: Wenders va a Palermo perchè la Sicilia ha una diversa tradizione culturale. Ricordiamoci che Palermo  era l’ultima tappa del Gran Tour,  la formazione obbligatoria degli artisti e intellettuali del 600, 700. A quell’epoca in Italia c’era il Rinascimento, le rovine romane mentre, in Sardegna, al massimo potevamo vantare la presenza di banditi barbaricini.
E’ chiaro che il fascino della tradizione culturale  italiana è ben  diverso da quello della Sardegna.
Dal punto di vista dell’attrattiva turistica, come paragonare, anche oggi, i Nuraghe con Pompei?
Non si possono mettere alla pari. Per interessare Wenders occorrevano, forse, cose diverse; non  credo sia dipeso da una maggiore offerta di denaro, ma dal fatto che Palermo è una realtà culturale molto più ricca, ha un fascino diverso, è stata una capitale europea.
Per quanto riguarda la Sardegna, io sarei stato d’accordo a finanziare Wenders. Se ci pensiamo sin ora due soli grandi autori del cinema italiano si sono interessati veramente della Sardegna:  De Seta,  che ha girato “ Banditi a Orgosolo”, e i fratelli Taviani che hanno girato "Padre Padrone". Sono due  autori con la A maiuscola. Però hanno parlato di pastori . Il nostro immaginario è un immaginario arcaico, diverso da quello della civiltà italiana. Il turismo sardo non è il turismo culturale che c’è in altre regioni italiane.
Prima di decidere di finanziare grandi e costosi progetti cinematografici bisogna quindi tenere in conto anche le esperienze negative.
Pensiamo a Lina Wertmuller che con “Notte d'estate con profilo greco, occhi a mandorla e odore di basilico”è costata, al tempo, un miliardo alle casse regionali e nel film vi sono scene in cui Michele Placido mangia pecorino e beve vermentino col marchio ben visibile.
La cosa  migliore da fare oggi sarebbe aiutare gli autori sardi. Senza dare mille lire a testa e disperdere quattrini, ma per un progetto intelligente. A mio avviso, ad esempio, andrebbe aiutato Giovanni Columbu, con il suo progetto di un film sui Vangeli
Se poi la Sardegna è oggetto di interesse da parte di qualche cineasta, si può fare l’uno e l’altro. Io avrei desiderato che De Seta tornasse qui, ma lui temeva di conoscere abbastanza la Sardegna per realizzare un altro film. Non credo ai film su commissione e neppure all’idea di qualcuno che viene da fuori e realizza un documentario su Cagliari. Certamente Wenders è particolare perché è riuscito a fare un film di successo, commissionato dal Comune di Lisbona,  in una terra che non era la sua. Tuttavia se dovessi scegliere fra chiamare Wenders o aiutare agli autori sardi…preferirei aiutare gli autori sardi.

 
Gianni Filippini (Direttore editoriale Unione Sarda)

Sarebbe stato un progetto interessante.
Anche se io sono sempre più favorevole alle iniziative che valorizzano le risorse e i talenti locali.  La mia esperienza di assessore alla cultura del Comune di Cagliari mi suggerisce però di stare attenti nel discernere i veri professionisti da coloro che invece si improvvisano e non hanno esperienza e capacità.


Giorgio Pellegrini (Assessore alla Cultura - Comune di Cagliari)

A questo proposito cito le parole di Philippe Daverio che, venuto da poco a Cagliari, si è chiesto, davanti a un folto pubblico che lo ha applaudito a scena aperta, come mai si fosse affidato il progetto di un museo a Cagliari, peraltro inutile e pleonastico, ad una architetta, per altro famosissima, come Zaha Hadid. Le parole di D’Averio sono state: “Che cosa ne capisce questa signora del paesaggio cagliaritano se non ha mai assaggiato la vostra fregola? Allo stesso modo io mi chiedo:  cosa ne può capire Wenders della Sicilia se non ha mai assaggiato la pasta con le sarde e i cannoli? E che cosa ne capisce Wenders della Sardegna se non ha mai assaggiato la fregola?
Questa idea di chiamare qualcuno da fuori è provincialismo bello e buono. Infatti, abbiamo degli autori di altissimo livello sia in Sardegna che in Sicilia: che senso ha, dunque, chiamare questi personaggi paracadutati da fuori? Ripeto: questo è peccare di provincialismo.
Dovrebbe essere scelto un autore italiano, almeno; qualcuno che sappia bene che cos’è la Sardegna; qualcuno che, perlomeno, sappia di che cosa sta parlando.
Ma stiamo scherzando? O uno conosce la Sardegna oppure non la conosce! Se uno non la conosce come può farci un film, scriverci un romanzo, o  farci un museo?
 
 
Mario Diana (Consigliere regionale – Gruppo Alleanza Nazionale)

Penso sia una buona iniziativa. Del resto le immagini della Sicilia e della cultura siciliana sono state veicolate anche da registi americani e non solo da autori Siciliani. Forse la realtà letta attraverso uno sguardo esterno è più obiettiva e un certo distacco nel guardare le cose non guasta. Infatti può accadere che chi appartiene ad un determinato luogo possa lasciarsi trascinare dal sentimento se decide di ritrarla col pericolo di essere troppo viscerale.
Se Wenders venisse in Sardegna ne sarei contento, riterrei positivo che qualcuno venisse da fuori per ritrarre la nostra comunità . Certo che dovrebbe essere un’iniziativa gestita bene davvero e non dai soliti amici del nostro Presidente!
 
 
Antioco Floris (Docente di storia del cinema Università di Cagliari)

Ritengo che i soldi pubblici vadano sempre spesi bene e che, per tale motivo, occorra sempre fare delle scelte ragionate. In questo caso approvo pienamente la scelta di affidare a Wenders la realizzazione di "Palermo Story": è un grandissimo autore e, anche se non tutto ciò che ha fatto è bellissimo, nel caso di "Lisbon Story" Wenders è riuscito a restituire in modo straordinario il ritratto e l’anima della città. Io stesso ho deciso di visitare Lisbona grazie alle suggestioni che mi ha dato il suo film. Se un'iniziativa del genere si realizzasse in Sardegna sarebbe una buona idea. Nessuno dei nostri autori sardi può vantare l’esperienza e il curriculum di un Wenders. Non vedo, infatti, al momento, chi in Sardegna possa competere con lui. Non è detto che per offrire un ritratto cinematografico dell’Isola o di una città dell’Isola, si debba scegliere per forza un sardo se magari non è in grado di farlo come potrebbe farlo Wenders.


Francesco Casu (Video artista e regista multimediale)

Chiamare qualcuno da fuori può essere utile se si riesce ad innescare un circuito virtuoso, di scambio e confronto tra gli apporti culturali della persona che arriva da un'altra realtà geografica e culturale e la collaborazione delle risorse locali, degli autori del luogo. In questo caso sarebbe un’occasione di crescita utile per tutti. Ma se una scelta del genere è motivata soltanto dall’atteggiamento provinciale di chi si serve dei grandi nomi per fare della politica facile, allora non sono più d’accordo.
Se un'iniziativa del genere fosse presa in Sardegna? E’ triste constatare che noi sardi abbiamo ancora bisogno di qualcuno che venga da fuori per dirci chi siamo, che faccia le cose al posto nostro. Pensiamo, ad esempio, alla campagna pubblicitaria "Sardegna fatti bella": ma non sarebbe stato meglio evitare lo spreco di tanti soldi rifacendosi alla strategia danese del "vuoto a rendere"?
L’idea di chiamare il grande nome da fuori è spesso una strategia provinciale per mettere l’elettorato in pace: è facile chiamare Wenders! Certo, se il ruolo di questo autore si situasse in un contesto di seminario-studio, come tutor in grado di coinvolgere i registi sardi in un momento didattico di grandissima qualità, sarebbe un iniziativa vincente. In caso contrario, solo soldi sprecati.
 
 
Giovanni Columbu (Regista)

Credo che un autore vero come Wenders non accoglierebbe una richiesta di cui non condividesse i presupposti. Wenders, infatti, non è un pubblicitario, è un regista, autore e narratore solo di storie e di luoghi che possono suscitare il lui autentico interesse. A mio parere è lecito anzi è un bene che si invitino a operare localmente autori ed artisti provenienti da altri paesi. Così è avvenuto in passato, nei secoli che hanno fatto grande l'Italia e l'Europa. Le capitali europee si sono sempre avvalse dei grandi artisti del momento, da qualunque paese provenissero. E gli artisti si spostavano da una corte all'altra lavorando per diversi principi, re e papi, senza che questo suscitasse alcun motivo di scandalo. L¹arte, oggi come allora, concorre a dare prestigio ai committenti e indirettamente a rafforzare i loro poteri, ma vale per se stessa e nessuno in passato si è mai sognato di considerare quegli artisti responsabili di quei poteri.
Nessuno, per fare un esempio, ha mai pensato che Mantenga fosse responsabile della politica dei Gonzaga. E' un discorso che andrebbe approfondito, soprattutto oggi e nei confronti di coloro che credono che l'arte e la cultura possano appartenere a questa o a quella parte politica. Per ora posso dire in breve che ritengo non solo positivo ma encomiabile chiamare da altri paesi artisti validi e importanti. Certo sarebbe un assurdo e autodistruttivo provincialismo se questo avvenisse escludendo gli artisti che operano nel luogo.


Paolo Frau (Ex consigliere Ds)

Tutte le iniziative che presuppongo la creazione di un contatto vitale tra il patrimonio culturale di una regione geografica e le eccellenze artistiche di un altro luogo, rappresentano un momento di crescita molto importante. Se un'operazione del genere riguardasse la Sardegna sarei estremamente favorevole: abbiamo bisogno di leggere le cose in modo innovativo e una lettura intelligente del nostro patrimonio di tradizioni non potrebbe che influenzare positivamente la visione della Sardegna, stimolando anche il punto di vista dei sardi su se stessi. Mi sembra che un autore come Wenders abbia tutti i requisiti per realizzare un progetto di alta qualità.
 
 
Bachisio Bandinu (Antropologo)

Come interpretare il fatto che uno sguardo esterno provi a leggere una realtà geografica, culturale e antropologica molto distante da lui? La prospettiva è ambivalente: certamente uno sguardo distante può cogliere certi aspetti che potrebbero sfuggire a chi sta immerso in quella determinata realtà. Il suo sguardo infatti è, in un certo senso vergine, privo di condizionamenti e di quei preconcetti che di solito strutturano l'inconscio sociale di un luogo. Se chi decide di ritrarre l'anima di un luogo è capace di una sottile vena artistica, più che sociale e antropologica, allora si potrebbero raggiungere degli esiti interessanti. In caso contrario si otterrebbe soltanto un falso antropologico.

Nel caso una simile iniziativa si realizzasse in Sardegna sarebbe ancora più rischioso: per noi sardi, infatti, è particolarmente difficile essere toccati dallo sguardo degli altri, la stessa concezione identitaria di noi stessi impedisce lo sguardo altrui: abbiamo un' immagine narcisistica e autoreferenziale di noi stessi che ci spinge a ribellarci ad una lettura della nostra realtà operata dall'esterno. E' una nostra forma di difesa, avvertiamo lo sguardo degli altri come tradimento dei nostri tratti antropologici, perché non risponde ai nostri modelli, perché non ci riconosciamo in ciò che quello sguardo descrive.

Alcune volte è una nostra fissazione, il solito nostro modo di difenderci; in alcuni casi, però, ciò accade davvero, e la realtà antropologica viene oggettivamente falsata dallo sguardo esterno. Pensiamo, ad esempio al film dei fratelli Taviani, "Padre e padrone": l'uscita del film fu accompagnata da numerose polemiche, perché in molti non si riconobbero affatto nella rappresentazione dei sardi descritta nel film. Per porre fine al dibattito, i fratelli Taviani dichiararono sui giornali: "Noi non abbiamo mai pensato di realizzare un'analisi antropologica della Sardegna. Il significato di certi ruoli" - pensiamo al modello di padre violento e vendicativo descritto nel film - "era per noi quasi Biblico".

In realtà i fratelli Taviani se la cavarono correggendo il tiro all'ultimo minuto. Questa dichiarazione, infatti, contrastava con alcune loro affermazioni precedenti dove, invece, l'intento di offrire una lettura antropologica della Sardegna era chiaro e manifesto. Attraverso questo esempio comprendiamo facilmente che, vista l'abbondanza di strano e di pittoresco presente in Sardegna, se sei un regista privo di arte e di intuizione credi magari che riprendere un gregge in transumanza possa cogliere l'anima del luogo, mentre, invece, sei fuori strada e non hai colto affatto l'anima del luogo: sei solo tu che, venendo da fuori, ti stupisci e ti meravigli esageratamente di qualcosa che accade ogni giorno da queste parti.

Quando si parla di lontananza e vicinanza, dunque occorre fare molta attenzione: sono concetti ambigui e ambivalenti, ognuno di essi offre vantaggi e svantaggi, intuizione della realtà e pericolo di falsificazione della stessa.
 
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