Percorso

Videoarte senza fondi

E' giunta alla tredicesima edizione il V-Art, la raffinata rassegna-concorso di video arte che, considerata una chicca all'estero, passa praticamente ignorata sull'isola (almeno per i nostri amministratori). L'amaro commento del suo timoniere, Giovanni Coda. di Elisabetta Randaccio

Ha compiuto tredici anni il festival, e non si è mai fermato né concentrato esclusivamente sui prodotti cinematografici della nostra isola, ospitando al contrario materiali di videoartisti e registi provenienti anche dall'estero.

Scorrere i titoli delle opere spedite per il concorso e quelli utilizzati per le monografiche (custoditi prevalentemente nella Cineteca Sarda di viale Trieste a Cagliari) vuol dire osservare un panorama preciso dell'evoluzione sperimentale filmica degli ultimi quindici anni.

Nel prezioso archivio si allineano, per esempio, le straordinarie pellicole di Toccafondo col suo cinema di animazione di rara bellezza, quelle di Gianni Toti, scomparso recentemente, vero e proprio “padre” del cinema sperimentale italiano, quelle di Nato Frascà, di Stan Douglas, di Bill Vida, corti e lungometraggi che il pubblico sardo ha potuto vedere, nella maggior parte dei casi, esclusivamente durante le giornate del festival. Diretto dal regista, fotografo, operatore culturale, Giovanni Coda con passione, coerenza e coraggio, il V-Art ha, nel corso del tempo, superato i confini italiani. I materiali della manifestazione, infatti, sono stati richiesti all'estero per diventare installazione video in prestigiosi musei francesi, tedeschi giapponesi.
Quest'anno, il V-Art è minimale per la scarsità di risorse economiche. Non ha avuto nessun contributo regionale e, senza voler alimentare polemiche, lascia basiti che una manifestazione considerata all'estero prestigiosa, in Sardegna sia abbandonata al suo destino...

Proprio per la mancanza di fondi, il concorso è stato, per questa edizione, sospeso, ma sarebbe stato assurdo far morire, almeno nella nostra isola, questo spazio rilevante per la cinematografia di ricerca. Ecco allora, che il V-art 2008 è riuscito a conservare almeno una delle sue anime, quella di essere pure una rassegna antologica. Svoltasi dal 17 al 22 ottobre presso il teatro Alkestis di Cagliari, ha concentrato nelle prime due giornate una sostanziosa e completa antologia dei corti premiati nei tredici anni di vita della manifestazione. Alcune sono opere prime di registi che, in seguito, hanno percorso carriere ricche di gratificazioni, altre sono la conferma di autori impegnati nei generi cinematografici più differenti, tutti, però, hanno lavorato con creatività e originalità sulle svariate possibilità espressive del linguaggio filmico.
Tra i corti proiettati e vincitori delle edizioni passate, troviamo anche i sardi Umberto Siotto e Antonio Sanna con "Disegni" e Tore Cubeddu con "La danza dei coltelli", un'opera di tre minuti, intensa, dinamica, emotivamente coinvolgente, ancora fresca e originale. Ma abbiamo rivisto volentieri anche i film di Anna de Alvear ("The next level") o di Wolfang Leheman ("Image of my self") e quello che, per noi, è un capolavoro assoluto, cioè "Papillon d'amour" di Nicolas Prevost, dove dalla estrema manipolazione di una famosa scena del film "Rashomon" di Akira Kurosawa sorge un nuovo corto surreale, estremamente poetico, un “gioco” possibile esclusivamente con le nuove tecnologie: una mitica pellicola che partorisce dal suo “interno” un'opera altrettanto geniale.
 
Big TalkDal 19 al 22 ottobre, inoltre, sono stati proiettati dei lungometraggi che riflettevano, sia in forma di dramma, che di commedia i problemi della diversità sociale e sessuale e dell'emarginazione psicologica. Oltre all'ultima fatica dello stesso Giovanni Coda, cioè "Big Talk", sono stati proposti "Boys dont'cry" di Kimberly Peirce, che, nel 1999, fece vincere alla protagonista Hilary Swank l'Oscar, "Transamerica" (2005), commedia di formazione interpretata da Felicity Huffman (la Lynette di Desperate housewives in un ruolo assolutamente sorprendente) e "Shortbus", la pellicola che, due anni fa, ha scandalizzato Cannes con la sua descrizione cruda di una New York notturna e amara.

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