"Gomorra" di Matteo Garrone
Saviano trae dal suo libro un soggetto eccellente che Matteo Garrone dirige con sapienza, crea una tensione crescente nel descrivere una quotidianità dallo svolgersi agghiacciante.
I volti dei personaggi sono spesso sfuocati o al buio, anonimi, le vicende si intrecciano in un montaggio fluido, gli assassini non sono belli come in Kill BIll, sono brutti, grassi, in ciabatte e costume da bagno come nei film di Sordi, la vita non vale nulla e la morte puzza.
La scelta degli attori è ottima, un film corale.
L’Italia che scorre nello schermo è quella dell’economia che “tira”, che regge il confronto con la concorrenza cinese, quella che riempie le discariche abusive del sud con i rifiuti tossici del Nord, che spara al sarto perché insegna i segreti dell’alta moda ai cinesi, dello stato sociale della Camorra incarnato in Don Ciro, che da buon ragioniere passa la quota mensile ai familiari dei caduti, finendo anche lui nella guerra di Secondigliano.
Garrone non ci mostra i buoni e i cattivi, la realtà ci scorre davanti nella sua crudeltà come se stessimo guardando un documentario sui pescecani, con la consapevolezza che tutto ciò che si vede è narrato con nomi, date, indirizzi.
Gli orrori narrati nel libro omonimo, in cui si documenta la profonda ristrutturazione della Multinazionale Camorra, con uno stile avvincente che sta tra il romanzo storico epico e il servizio giornalistico di approfondimento, vengono resi nelle pellicola, con naturalezza. I personaggi, spesso inquadrati di scorcio, da dietro una porta, da dietro un pilastro (per esempio nelle scene girate alle Vele di Scampia), si muovono in spazi angusti, per vie obbligate.
E’ un film di pugni durissimi alla bocca dello stomaco e non serve essersi preparati prima.
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