"The Millionaire" di Danny Boyle
di Elisabetta Randaccio

Jamal, cameriere in un call center, risolve tutte le domande. Sembra incredibile, ma ogni risposta ha una sua ragione precisa nella esistenza del ragazzo, ognuna corrisponde a un momento della sua vita terribile, trascorsa negli slums di Mumbay. Boyle ha ben in mente i personaggi dickensiani della prima rivoluzione industriale sovrapponibili alle infernali esistenze dei bambini sbandati indiani nell'epoca del trapasso dalla povertà assoluta all'attuale boom economico che, però, continua a dividere e ad allontanare nei bisogni e nei redditi le classi sociali e le caste ancestrali. Il regista alterna il drammatico al grottesco, l'ironia, l'amarezza e la melanconia, mai crogiolandosi nel patetismo. Semmai, si nota la passione che lo ha travolto per i personaggi e per il “continente” India, i riferimenti al suo cinema: dai bambini di strada neorealistici di Satyajit Ray ai melodrammi fiammeggianti di Bollywood. In questo senso, la fotografia splendida di Antony Dod Mantle è fondamentale nel ricreare i frammenti di memoria di Jamal, mentre il favoloso, ironico, liberatorio balletto finale (non andate via sui titoli di coda!) è una gioia per gli occhi. Danny Boyle firma la sua opera migliore ricordandoci che il feuilleton, come nell'ottocento, può restituirci i drammi della realtà sociale più di un serioso documentario.