"Stella" di Sylvie Verheyde
di Elisabetta Randaccio
Presentato all'ultima edizione della Mostra del Cinema di Venezia alle Giornate degli autori, “Stella”, terzo film della regista francese Sylvie Verheyde, donna intelligente e molto simpatica, ha entusiasmato la platea lagunare e, dopo lunghi applausi e il pianto della giovane protagonista Leora Barbara, l'autrice si è intrattenuta con gli spettatori in una piacevole discussione che è stata interrotta esclusivamente perché la sala doveva essere occupata da un'altra proiezione.
Ciò che ha colpito in “Stella”, in fondo una tipica “storia di formazione” di una adolescente, è stata la sceneggiatura costruita con abilità, servendosi di propri ricordi personali sovrapponibili a quelli di tutte le donne che, a fine anni settanta, hanno frequentato le scuole medie, costellata di un'attenzione speciale per i particolari (i calzettoni fuori dagli stivaletti della protagonista: un classico imposto dalle mamme dell'epoca...), soprattutto per la musica, dove si sente tanto Umberto Tozzi (celebre star anche in Francia in quel periodo), ma anche l'ambientazione originale.
Stella, infatti, è figlia di due gestori di un bar alla periferia di Parigi, e la ragazzina ha modo di vivere una serie di esperienze umane decisamente diverse da quelle delle sue compagne di classe in una scuola bon ton al centro della capitale.
Stella è più matura, ma molto “ignorante”. Un intero anno scolastico, però, le basterà per capire che lo studio è un'opportunità per elevarsi non solo culturalmente, ma nella sensibilità e nella capacità di decifrare il mondo attorno a sè (pure quando si hanno brutte sorprese) e ad accettarsi fisicamente e psicologicamente. La regista è anche assai brava a disegnare tutti i comprimari che sfiorano la vita di Stella: dai genitori superficiali all'amico artista Alain, una sorta di faro emotivo per la ragazza, che capisce per primo i suoi cambiamenti e le sue nuove esigenze. Questo bel personaggio è interpretato da Guillame Depardieu: l'ultimo suo lavoro prima della prematura morte. Assai importante è stato, poi, il rapporto tra la giovane attrice Leora Barbara e la regista, che ne ha fatto un suo doppio adolescenziale, riuscendo a trarre dalla ragazza sensibilità, atteggiamenti , dolcezze e contraddizioni tipici della “linea d'ombra”, che con la loro melanconia evocano il migliore Truffaut.