“Rapina a mano armata” di Stanley Kubrick
Questa settimana si conclude una sorta di trilogia sui generis che ho voluto dedicare al noir e al thriller d’altri tempi. Dopo “Angoscia”, thriller drammatico in stile “londinese-hitchcockiano” e dopo “L’infernale Quinlan”, summa dei canoni del noir classico, questa settimana ci accingiamo a rivedere “Rapina a mano armata” (The Killing) un film di Stanley Kubrick del 1955, che ci permetterà inoltre di paralare di “linguaggi cinematografici”.
Sarà proprio il tiratore Nikky il primo a lasciarci le penne: dopo avere sparato al cavallo, verrà ucciso a sua volta da un poliziotto. Tutti gli ingranaggi predisposti però funzionano alla perfezione e Johnny riesce a portar via i soldi, mentre gli altri componenti della banda lo aspettano nel luogo stabilito per la spartizione. Il destino gioca però brutti scherzi e a bussare alla porta nel rifugio saranno due giovani con le pistole in pugno. Uno di questi è l’amante di Sherry, la moglie del Cassiere Gorge. La perfida donna, venuta a conoscenza del colpo, aveva progettato con il suo spasimante di impossessarsi del bottino per poi fuggire insieme. Nel rifugio si verifica una vera e propria strage (quella che, in lingua originale, dà nome al film), tutti muoiono e il mite George ormai moribondo riesce a trascinarsi a casa dell’infedele e cinica moglie (“…non eri un marito, nemmeno un uomo, solo una brutta barzelletta senza battuta finale”) e le spara cadendo poi esanime.
Uno dei punti i forza di “Rapina a mano armata” -girata in 3 settimane- riguarda infatti l’uso del “flashback sincronico” (tecnica narrativa già presente nello stesso libro di Withe) che illustra da diverse angolazioni, ma nella stessa unità di tempo, alcune delle scene chiavi del film. Il f.b. sincronico è tale perché si svolge appunto in sincronia o in contiguità con la scena principale e lo spettatore viene “aiutato” nel poter rivivere una stessa scena osservando azioni che si svolgono in contemporanea e arricchendole ogni volta di nuovi particolari perché mostrate appunto da diversi punti di vista (una sorta di evoluzione della tecnica presente in “Rashomon” di Kurosawa). Al contrario, il f.b.diacronico, ci mostra delle scene che si svolgono in un tempo separato da quello della scena principale; il classico esempio è quello in cui vengono mostrate scene dell’infanzia del personaggio che ci servono per capire meglio il film.
“Le iene” di Tarantino e il successivo “Pulp fiction” sono dunque figli di questa pellicola che, con la sua struttura a incastri narrativi tenuti insieme anche da una voce over che minuziosamente descrive i preparativi e le operazioni della banda, risulta essere una meditazione sulla sconfitta, sul destino e sui suoi trucchi (un ferro di cavallo portafortuna per esempio). Dopo questo film la critica del tempo parlò di Kubrick come di un secondo Orson Welles…come non essere d’accordo!!!