Percorso

La valigia della Gravina

A La Maddalena è tempo di incontri con registi, attori, giornalisti. Il festival dedicato a Volontè è diventatato un appuntamento imperdibile per i tanti cinefili. Isolani e non. Il reportage. di Enrica Anedda
 
Giovanna GravinaPassionale, e freneticamente infaticabile, Giovanna Gravina, gira per l’isola sempre con una valigia da lavoro, di pelle, consunta dal tempo, come non si volesse mai staccare dal suo festival e dal suo simbolo:  la valigia, dove il complemento di specificazione del titolo della manifestazione (“La valigia dell’attore”)  sta a indicare Gian Maria Volontè, l’attore per antonomasia, al quale, in collaborazione con Fabio Canu e l’associazione “Quasar”, dedica il festival e le sue fatiche.

In realtà  la valigia non le serve; dall’isola, dove si è trasferita a vivere 15 anni fa, non si muove più. Non le piace viaggiare, preferisce  trascorrere il tempo nella calma dell’isola, a pescare sugli scogli. Da lì come una sirena solitaria, lancia il suo irresistibile richiamo al mondo del cinema.
 
''La Valigia dell'Attore''Sarà per il fascino della sua storia familiare, sarà per il suo carattere forte e determinato, o semplicemente perché in quell’ambiente c’è nata e vissuta, fatto sta che nessuno osa dirle di no e nel tempo “La valigia dell’attore” sta diventando un appuntamento speciale per il cinema italiano. Quest’anno poi, grazie alla concomitanza della manifestazione degli artisti italiani a Venezia contro i tagli al Fus (Fondo unico dello Spettacolo) e della pubblicazione delle delibere sul cinema della Regione Sardegna, il festival, oltre che vetrina degli attori italiani e occasione di spettacolo, è stato un momento di riflessione e discussione. E anche di questo c’è bisogno. Si è passati così dalle confessioni degli ospiti in pubblico sull’etica e il mestiere dell’attore, alle riflessioni sul cinema italiano. Ennio Fantastichini, ospite i primi giorni per presentare in ricordo di Volontè, insieme a Massimo Ghini,  “Una storia semplice”, è furioso con il governo in carica che assegna alla cultura e all’arte un ruolo marginale, ma se l’è presa anche con quelli precedenti, tutti incapaci di valorizzare le competenze,  per concludere con l’amara constatazione che gli italiani non conoscono il diritto/dovere di essere cittadini.
 
Elio Germano, Pierfrancesco Favino e Valerio MastandreaElio Germano, giovane e bravo protagonista di “Come Dio comanda”, ha posto l’accento sull’importanza della distribuzione, vero punto debole del cinema italiano. “Ho fatto alcuni film che in pochi hanno potuto vedere. Se un film americano gira in migliaia di sale, alcuni film fanno solo fugaci apparizioni”.

Ma è  sopratutto durante  la conferenza stampa di Valerio Mastandrea e Pier Francesco Favino (noto come Picchio), sotto gli occhi disperati della Gravina, sempre preoccupata di proteggere i suoi ospiti dai fastidi dei fan e le impertinenze dei giornalisti, si è snocciolata una vivace discussione, rafforzata dagli interventi in favore del cinema italiano del  critico del Messaggero Fabio Ferzetti.

Conferenza stampa con Mastandrea e FavinoAnche per Favino l’assenza di competenza è l’handicap maggiore della politica italiana, che costringe gli artisti a confrontarsi con rappresentanti digiuni totalmente di informazioni, necessarie per assumere decisioni.

Problema, questo, fortemente sentito anche in Sardegna, purtroppo.

L’attore del film “L’uomo che ama” vorrebbe un impegno degli artisti a tutto campo: incontri e seminari nelle scuole, nelle carceri e nelle università per riavvicinare i ragazzi al cinema e aiutarli a sviluppare una identità personale,  a formarsi un proprio gusto e una sensibilità estetica che superi la forza omologante della televisione. Favino ritiene, però, necessaria anche  un’autocritica: “i film italiani d’ autore sono troppo autoreferenziali, parlano un linguaggio lontano dal reale. 
 
Pierfrancesco FavinoSi è dimenticata la lezione di Pasolini e si trascura il ruolo degli altri protagonisti del cinema: dal montatore al direttore delle luci”. Picchio, infine, si domanda come mai in Italia non si facciano più film biografici o epici e cita “Gran Torino“ e “The wrestler” come esempi di film di  qualità, vicini al pubblico.
Mastandrea ha sottolineato l’importanza di una discussione fra tutte le categorie del settore per superare divisioni e interessi particolari e arrivare al Festival di Venezia compatti.  Ha precisato: “Questo momento ci offre una grande occasione per rivedere tutti gli errori commessi anche dalle associazioni di categoria. Non vogliamo boicottare o contestare Venezia ma usarne la forza culturale e mediatica per  attirare l’attenzione internazionale sui problemi del cinema italiano e contestualmente proporre degli interventi mirati a ottenere una legge quadro che regolamenti il mercato e il mondo del cinema sotto tutti i profili.”

Valerio Mastandrea, Paolo Rossi e Pierfrancesco FavinoInsomma in questi giorni qua a La Maddalena, fra una conferenza stampa, una chiacchiera al ristorante e un intervento sul palcoscenico, in un clima sempre sereno, segnato dallo stile antidivistico della Gravina, si sono trattati grandi temi seguendo il filo conduttore della malinconica e incompresa constatazione che: senza arte una società non ha più anima. Alla fine, però, da un quadro lucido della situazione che suddivide le responsabilità fra tutti: politici, ma anche produttori e artisti, è emersa qualche speranza, e per condire il tutto e rallegrare le serate, la sirena Gravina ha pensato bene di chiamare anche il suo amico diavoletto, Paolo Rossi, che ovviamente  non ha risparmiato critiche al governo e battute al solito Berlusconi, colpevole di voler rubare il mestiere anche ai buffoni…
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