Percorso

Quando il corto è femmina

Parte dal teatro di Mogoro la prima edizione del concorso regionale di corti dedicata al mondo in salsa rosa. Virginia Garau, tra i fondatori del Teatro Tragodia, racconta perché ha scelto di lavorare con le donne e come è riuscita a portare il cinema a teatro. di Arianna Salaris

 Il 21 marzo scade il termine per partecipare alla prima edizione del Concorso Regionale per cortometraggi, filmati e racconti fotografici, ispirati all’universo femminile, bandita a Mogoro dall’Associazione Culturale Teatro Tragodia.
L’originale titolo della rassegna, Segaus in crutzu... Cun is feminas allude al pianeta donna in tutti i suoi aspetti: donne madri, amanti, sorelle, amiche nonne. Un tema ricco di spunti, storie e vissuti diversi. Abbiamo intervistato Virginia Garau, membro fondatore della compagnia, per saperne di più.

Come è nata l'idea di realizzare un concorso di corti?
L'idea nasce per diversi motivi: uno è senz'altro la voglia di comunicare attraverso immagini, in modo veloce e sintetico; un altro è che guardandomi intorno vedo tutti, ma proprio tutti, muniti di camere digitali (o con videofonini). Anche il fatto che all'interno della compagnia teatrale abbiamo un video maker appassionato, Paolo Garau, che da sempre ha realizzato corti, è stato un elemento sollecitante. Insieme stiamo girando una seconda puntata di un sequel che noi amiamo chiamare La risposta sarda alle Charlie Angels, ovvero Le Tzies Angels una cosa tutta da ridere e che faremo vedere, ovviamente fuori concorso, il 24 aprile, giorno della rassegna Segaus in crutzu....cun is feminas Tagliamo corto... con le donne.

Perché un concorso di cinema proprio a teatro, in un contesto così diverso? Quali le ragioni della vostra scelta?
Mi piacciono i contrasti. E' vero, cinema e teatro sono due mondi diversi. Forse volevamo spingerci verso una tecnica completamente differente da quella teatrale, non a caso come regista di teatro sono parecchio incuriosita dalla recitazione cinematografica, così intensa ma anche priva di orpelli o fronzoli, forse più necessari a teatro. Sul palco devi "allargarti" nei gesti e nelle parole perché è un obbligo farsi vedere e sentire da tutti gli spettatori, anche quello seduto più lontano; al cinema no, devi controllare tutto il corpo, devi dominarlo, e al contempo lasciare che tutto sia molto naturale. Una delle ultime produzioni teatrali di cui ho firmato testo e  regia si intitola I corti di Me.Ga. ed è un esempio di fusione tra cinema e teatro dove una disciplina contamina l'altra senza soluzione di continuità utilizzando linguaggi e meccanismi diversi.

E' la stesso platea che va al cinema e al teatro? E quale è stata la risposta del vostro pubblico ai video che avete realizzato?
Direi che chi va a teatro non ama il cinema allo stesso modo. E viceversa. Eppure noi del Tragodia riusciamo a "imbarcarne" qualcuno e farlo appassionare anche al mistero del palcoscenico. Entrambe sono forme d'arte, diverse, certo ma hanno al centro della loro poetica la comunicazione, il voler "dire" qualcosa.

Il vostro concorso è dedicato all'esplorazione dell'universo femminile. Cosa rimane da dire su un tema già così tanto indagato? Perché il mondo delle donna fa ancora tanto discutere?

Il fatto che l'idea sia venuta ad una donna la dice lunga! Quando dovevo dare un tema alla rassegna pensai al mio laboratorio teatrale che tengo in modo continuativo da cinque anni e formato al 95 per cento da ragazze; poi pensai alla squadra di basket che allena un mio amico, tutti maschi! Che io ricordi non mi ha mai parlato di casini particolari nella quadra; io invece ne ho di continuo con le mie ragazze e loro ne hanno tra di loro! L'esperienza mi ha insegnato che noi donne non siamo affatto complici, ci complichiamo la vita, vogliamo sottomettere gli uomini senza far valere davvero le nostre ragioni. Lei mi chiedi se il mondo femminile fa ancora discutere? Certo e non vedo l'ora di guardare i video girati dalle donne, perché alla rassegna se ne sono iscritte parecchie!

Da dove parte la scelta di utilizzare il dialetto?
Il titolo della rassegna è anche in italiano, dunque è bilingue. La scelta è venuta a braccio senza pensarci e ci ricorda le nostre radici. L’Associazione persegue, infatti, un obiettivo che esula dagli schemi tradizionali del teatro sardo: un teatro popolare nel quale parola e gestualità, propri della cultura sarda, vengono analizzati e rielaborati. Un teatro popolare ricco di contaminazioni a testimonianza di un contatto rigenerativo e vitale tra culture diverse.

 

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