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''L'uomo nell'ombra'' di Roman Polanski

Il consiglio di Elisabetta Randaccio

''L'uomo nell'ombra'' locandinaSin dai primi cortometraggi realizzati nella mitica scuola di cinema di Lodz in Polonia, Roman Polanski ha rivelato il suo mondo artistico complesso e variegato. Sperimentale e ironico, perturbante e con un acuta propensione all’osservazione delle dinamiche della società, si impose già con quei fotogrammi in bianco e nero ad occupare un posto primario nel periodo vorticoso e provocatorio dell'arte filmica negli anni Sessanta.

Il premio alla regia al Festival di Berlino 2010 riconosce i meriti a uno degli ultimi veri autori cinematografici della contemporaneità. Qualsiasi sceneggiatura, scritta da altri, diventa nelle sue mani geniali una summa dei propri archetipi, delle proprie ossessioni, sempre con una tecnica che, soprattutto nella sua maturità, chiarifica come ormai “pensi” con la macchina da presa. Similmente a Kubrick, nei suoi film, ci si può perdere gioiosamente nei dettagli, tutti aventi un senso, una simbolicità precisa. Ne “L’uomo nell’ombra” (ma perché non lasciare il più adeguato e ambiguo titolo inglese: “The ghost writer”?) provate a guardare gli oggetti, i quadri e i poster sparsi nella casa in stile razionalistico dove si è forzatamente “ritirato” l’ex leader laburista Adam Lang (Pierce Brosnan ben scelto, ironicamente, pure per l’evocazione delle sue interpretazioni di James Bond).

''L'uomo nell'ombra''Nella stanza dell’ex “negro” (così Alexandre Dumas chiamava i suoi “collaboratori” che lo “aiutavano” a scrivere i suoi corposi romanzi) pagato per rendere accattivante la noiosa biografia dell’uomo politico e morto in circostanze troppo misteriose, troviamo vicino al letto un’opera moderna “sanguinante”, mentre i vetri che dominano l’abitazione sono una falsa trasparenza e non aiutano a minare la claustrofobia del luogo chiuso (una “trappola”). Gli alberghi dove capita il giovane nuovo ghost writer (versione giovanile di un Cary Crant hitchicockiano polankizzato servito con impegno da Ewan McGregor) sono inquietanti, ma presentano degli elementi quasi assurdi (pensiamo alla “locandiera” vestita in un “tradizionale” e buffo costume) o alla casa dell’ambiguo prof. Emmet dove troneggiano dipinti tipicamente inglesi di cani pronti alla caccia (come il personaggio appena presentato).

''L'uomo nell'ombra''Le tematiche, poi, sono tipicamente polanskiane: le identità confuse, sorprendenti, l’ “ingenuità” del protagonista, il quale si accorge troppo tardi della “prigione” costruitaglisi intorno (pensiamo a Rosemary, così apparentemente poco acuta in “Rosemary’baby”, 1968, o all’americano confuso interpretato da Harrison Ford in “Frantic”, 1988), l’acqua come elemento dominante (ne “L’uomo nell’ombra” la vicenda è prevalentemente svolta in un’isola , in cui piove tanto, dove un uomo, ancora una volta nella filmografia del regista, muore affogato). A tutto ciò, Polanski riesce a saldare una storia (seppure tratta da un libro di Robert Harris, collaboratore per anni dell’ex  primo ministro inglese Blair) che, dietro la coltre di un insolito thriller, nasconde la realtà rimossa di alcune drammatiche vicende politiche dei nostri giorni: le responsabilità degli USA e dell’Inghilterra, tra le altre, nella guerra in Iraq dove sarebbero dovute essere nascoste “armi di distruzioni di massa” mai trovate, le connivenze di industrie belliche, gli interessi personali di rilevanti politici, la vergogna delle torture esplicite o nascoste con i rapimenti e le uccisioni affidate ai servizi segreti.

''L'uomo nell'ombra''E se, trent’anni fa, in una pellicola simile nell’esplicitare orrendi intrighi, ovvero “I tre giorni del Condor” dello scomparso grande regista Sydney Pollack, il finale con il “puro” Turner (Robert Redford), il quale, appena scoperto il complotto, affermava al “cattivo” di aver consegnato tutto alle stampe (“Non sarà pubblicato” “Sì uscirà, sì uscirà” diceva Redford voltandosi, mentre una marcetta di Natale accompagnava i suoi passi sicuri) ci lasciava sperare in un mondo migliore, la conclusione de “L’uomo nell’ombra” azzera sicuramente le illusioni; inquadrando l’invernale strada londinese in cui taxisti e passanti sono appena sfiorati dal dramma a cui hanno assistito e dove si spargono i fogli del manoscritto (macguffin hitchcockiano sin dall’inizio), ci riporta al vuoto assurdo del ghetto distrutto di Varsavia del “Pianista”: luogo senza  più uomini. Anche qui, la via è, in realtà, un luogo con uomini senza più interesse agli esseri umani.

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