Percorso

Così diversi, così isolani

Marcias, Mereu, Hansel: sono loro i tre registi protagonisti che hanno portato aria di Sardegna nelle acque lagunose della mostra veneziana. Film profondamente distanti per soggetti e contenuti ma accomunati da una stessa cifra scenografica: l'Isola. di Giovanna Maria Branca
 
Marion HenselAmbientazione non dichiarata, contenitore di una “storia”, epicentro di una narrativa. Questi i modi in cui la Sardegna appare –dichiaratamente o sotto mentite spoglie –  al sessantasettesimo Festival del cinema di Venezia.
Nel film “Noir Ocean” di Marion Hansel, tratto da due racconti di Hubert Mingarelli e presentato alle giornate degli autori, la base militare di Santo Stefano si presta a rappresentare un luogo di approdo della marina militare francese negli anni Settanta. La location sarda ospita una storia incentrata sul mare come luogo simbolico, che determina il passaggio all’età adulta dei due protagonisti, Massina e Moriaty, due mozzi che si trovano ad assistere ai test nucleari condotti dalla Francia nell’oceano in quegli anni. L’opera della regista belga è una sorta di rivisitazione di “La linea d’ombra” di Conrad, in cui l’assenza di vento impediva alla barca capitanata dal protagonista di procedere, ed un’epidemia decimava il suo equipaggio.
 
L’epidemia e il mare inclemente erano però metafora di un mondo interiore che può entrare nella maturità solo attraversando la “tenebra”. La vicenda di “Noir Ocean” mette invece a confronto i protagonisti con un evento simbolico ma anche altamente concreto, che discende direttamente dalla Storia (quella vera) e dai suoi irrimediabili sbagli. Per Massina e Moriaty l’orrore insito nei test nucleari costituirà il momento di svolta da cui non potranno mai più prescindere, e che modificherà per sempre le loro vite. La Sardegna è in parte presente, ma come luogo neutro e metaforico: è l’orizzonte di una storia che assume il mare come luogo di deflagrazione di sentimenti umani e di eventi che si sono incisi nella Storia.
“Liliana Cavani, una donna nel cinema”  è un’intervista/documentario sulla regista di “Il portiere di notte”, che per la prima volta ripercorre tutta la propria carriera davanti a una telecamera.
 
Peter MarciasIl film di Peter Marcias spazia dagli esordi in Rai della Cavani – di cui vengono recuperate delle rare testimonianze - fino ai suoi film più recenti. Tutto questo passando per un’intervista  esclusiva rilasciata da Mickey Rourke, che racconta di quando girò con la Cavani “San Francesco”, e del suo stupore per essere stato scelto – lui, il ragazzo più cattivo di Hollywood – come interprete della vita del santo. I raccordi tra le varie parti del racconto, le sottolineature degli argomenti trattati dalla Cavani che più stavano a cuore al regista, sono affidate alla voce narrante della “guest star” Omero Antonutti. Grande attore teatrale e cinematografico, Antonutti è l’indimenticato “Padre padrone” dell’omonimo film dei fratelli Taviani sulle vicissitudini di un ragazzo sardo che a soli sei anni deve abbandonare la scuola e diventare pastore. Film che suscitò ai suoi tempi grande scalpore e scontento nell’isola, e con cui alla presentazione del film di Marcias la Sardegna si riconcilia per la prima volta ufficialmente tramite le parole dell’assessore ai beni culturali Maria Lucia Baire.
 
Liliana CavaniIl lavoro di Marcias è imprescindibile per tutti gli amanti del cinema italiano, di cui la Cavani è stata una delle maggiori protagoniste. Gli argomenti trattati sono poi di grande attualità: non si può non pensare alla situazione dell’Italia contemporanea quando la regista parla delle censure imposte ai suoi reportage sulla mafia o sulle città fantasma del meridione. L’Italia dei nostri giorni e il suo cinema vengono anche chiamati in causa esplicitamente: il film si apre su un’impietosa dichiarazione della Cavani sullo stato della settima arte nel nostro paese, che viene definita  “un cinema mediamente per ragazzini, senza tematiche importanti”.
Il terzo film legato alla Sardegna presentato alla mostra di Venezia (nella sezione “Controcampo italiano”) è “Tajabone” di Salvatore Mereu.  Stavolta l’Isola, e nella fattispecie la città di Cagliari, è luogo e fulcro della narrazione.
 
Salvatore Mereu sul setLe storie parallele che si incrociano nel film di Mereu sono state scritte da un folto gruppo di ragazzi di due scuole medie di Sant’Elia e San Michele: la Alagon e la Don Milani. Quello che era partito come un corso di educazione all’immagine si è tramutato in un film vero e proprio, anche premiato con il UK-Italy Creative Industries Award –Best Innovative Budget (cioè per l’opera a basso budget più creativa).
La trama verte sulle vicissitudini “amorose” di alcuni studenti delle scuole medie, messe a confronto con quelle dei loro compagni di scuola stranieri: i Rom Munira e Brendon e il senegalese Kadim. I meriti del film risiedono in particolare nella grande capacità del regista nel lavorare con i ragazzi (che recitano ad un livello molto alto per essere dei giovanissimi “non-professionisti”) e nella rappresentazione di una Cagliari sommersa mai vista prima al cinema. Sant’Elia, il campo Rom vicino a Pirri, ma anche la Stampace degli extracomunitari africani vengono immortalate da questo film che cerca di dare un affresco delle storie quotidiane dei “dimenticati”: dai ragazzi dei quartieri più disagiati della città alle difficoltà degli immigrati, come il giovane senegalese che per continuare gli studi deve trovarsi un lavoro.
 
''Tabajone''Ma nonostante questi innegabili pregi, il film si perde in una visione decisamente troppo politically correct delle storie dei protagonisti. Non si può certo pretendere che degli studenti delle scuole medie scrivano una sceneggiatura esente dal buonismo, ma forse ci si sarebbe potuti aspettare che le idee iniziali dei ragazzi venissero elaborate ulteriormente. Così la trama avrebbe potuto raggiungere la stessa incisività che ha la macchina da presa nel restituire l’immagine di una Cagliari inedita e scomoda, ma poetica al tempo stesso. E’ impossibile fare un discorso complessivo su tre lavori così diversi, ma è comunque notevole che il territorio della Sardegna accomuni queste opere che hanno avuto il merito e l’onore di arrivare ad uno dei festival più importanti che ci siano.
15 settembre 2010
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