"Uomini di Dio" di Xavier Beauvois
Il consiglio di Elisabetta Randaccio

“Uomini di dio” –ma il titolo originale “Des hommes et des dieux” è più efficace – ha vinto all’ultimo Festival di Cannes il “Gran Prix”, ma, soprattutto è stato comprato dalla “Lucky Red”, elemento non scontato, perché si tratta di uno di quei film, ormai trascurati dai distributori italiani, preoccupati di non rischiare e, perciò, tesi ai soliti prodotti banali, grondanti di “già visto”.
L’opera di Xavier Beauvois, invece, pur trattando un tema, eventualmente utilizzabile per un film d’azione (il rapimento e l’uccisione di alcuni frati benedettini nell’Algeria sconvolta dalla guerra civile degli anni novanta), è costruita sull’attenzione ai personaggi, a riflessioni non superficiali, pur dando rilevanza alla cura delle immagini ricche di citazioni iconografiche, grazie alla bella fotografia di Caroline Champetier.
Nessun particolare è lasciato al caso. Pensiamo alla stanza dove si riuniscono i frati per discutere problemi e scelte gravose. Dietro al tavolo, con al centro la candela, si nota un grande planisfero di Peters (si legge chiaramente in basso “la carta della solidarietà”). Questa mappa geografica opposta a quelle classiche derivanti dagli studi cinquecenteschi e dalla classica proiezione di Mercatore, propone una rimisurazione dei continenti, mostrati, finalmente, nella loro realtà: l’Africa e l’America meridionale nella loro espansione reale, l’Europa e l’America del Nord ridotte nelle loro giuste dimensioni.
L’opera di Xavier Beauvois, invece, pur trattando un tema, eventualmente utilizzabile per un film d’azione (il rapimento e l’uccisione di alcuni frati benedettini nell’Algeria sconvolta dalla guerra civile degli anni novanta), è costruita sull’attenzione ai personaggi, a riflessioni non superficiali, pur dando rilevanza alla cura delle immagini ricche di citazioni iconografiche, grazie alla bella fotografia di Caroline Champetier.
Nessun particolare è lasciato al caso. Pensiamo alla stanza dove si riuniscono i frati per discutere problemi e scelte gravose. Dietro al tavolo, con al centro la candela, si nota un grande planisfero di Peters (si legge chiaramente in basso “la carta della solidarietà”). Questa mappa geografica opposta a quelle classiche derivanti dagli studi cinquecenteschi e dalla classica proiezione di Mercatore, propone una rimisurazione dei continenti, mostrati, finalmente, nella loro realtà: l’Africa e l’America meridionale nella loro espansione reale, l’Europa e l’America del Nord ridotte nelle loro giuste dimensioni.



Nella seconda parte (seppure conosciamo, già dall’inizio, la terribile conclusione), utilizzando elementi quasi da thriller, l’angoscia sale e ogni monaco (gli interpreti sono bravissimi) è descritto nel suo percorso umano, nella sua fragilità, così come l’esplodere della violenza giunta a toccare persino il villaggio sperduto nelle montagne, ci indica nell’invasione dei blindati dell’esercito e nelle spedizioni della GIA (il gruppo armato islamico), una devastazione insopportabile, che spezza equilibri e diffonde il terrore.
Xavier Beauvois si sofferma sui canti dei monaci (quasi un commento corale alle vicende), su inquadrature evocanti la pittura religiosa del cinquecento (spesso la camera si identifica con il vasto rettangolo della finestra interna al cenacolo, come fosse la cornice di un grande quadro) e enfatizza “l’ultima cena”: i frati, per l’occasione, bevono il vino e, invece della lettura esemplare, ascoltano il brano più famoso del “Lago dei cigni” di Chaikovskij, che suscita, nello stesso tempo, gioia e sensazione di morte.

Ancora non si conosce l’identità degli uccisori dei frati: il governo o la GIA? Il regista mostra, nelle sequenze che precedono quelle finali, il convento invaso dalla neve; freddo e gelo, i quali sembrano cancellare qualsiasi forma di utopia e di desiderio di pace.
27 ottobre 2010