Percorso

Al settimo cielo con Dresen

Incontro col regista tedesco ospite a Cagliari di una rassegna monografica dedicata. "E' bizzarro, mi definiscono il regista dell'est, ma io mi chiedo: dove sono i registi dell'ovest?". di Elisabetta Randaccio
 
Andreas DresenQuest’anno, la rassegna annuale che l’Acit (l’Associazione Italo Tedesca di Cagliari) sta proponendo ormai da varie settimane, poteva sembrare un azzardo: una monografica completa di Andreas Dresen, regista tedesco di rilevanza assoluta nel  suo paese, ma in Italia, complice una distribuzione cieca e incompetente, noto esclusivamente agli esperti. Anni fa il suo splendido “Settimo cielo” (2008) aveva avuto spazio nelle nostre sale, causa un piccolo scandalo che avevano creato le scene di sesso e i nudi totali di attori non più giovani. In realtà, il film in questione attraversa una storia di passione di quella che, orribilmente, si chiama la "terza età", con un tocco raffinato, elegante, mai morboso.

''Un'estate a Berlino''Gli organizzatori della rassegna su Dresen, sono stati acuti nella scelta e il loro immenso, appassionato lavoro, il quale ha riguardato pure la traduzione dei dialoghi di alcuni film, è stato ripagato da un notevole successo di pubblico, che ha riempito costantemente la sala Odissea dove si svolge la manifestazione. La personale su Dresen andrà avanti sino al 23 gennaio prossimo ma, intanto, domenica scorsa c’è stata una sorpresa  per il pubblico. Il regista tedesco, impegnato nella post produzione della sua ultima opera aveva, all’inizio, dovuto declinare l’invito per essere presente almeno un giorno alla rassegna cagliaritana, invece è riuscito a liberarsi dai suoi impegni ed ha regalato al pubblico e agli organizzatori, una mattinata interessante, in cui ha dialogato attivamente con spettatori estremamente curiosi e, ormai, assai preparati sulla sua filmografia, prima della proiezione di “Un’estate a Berlino” (“Sommer worm balkon”, 2005), una bella commedia dai risvolti amari, la quale ci restituisce, attraverso l’analisi del quotidiano, una panoramica dell’attuale società tedesca.
 
''Settimo cielo''Forse ha ragione lui: “Non realizzo pellicole che si possono etichettare come politiche, non uso “gli striscioni” per i miei messaggi ma, in realtà, le mie opere sono fortemente politiche, perché raccontano della realtà sincera del mio paese.” Andreas Dresen si è formato nella mitica scuola cinematografica della Defa, nella ex DDR e ha avuto la possibilità di  imparare il mestiere del cinema in maniera completa: da fonico a regista. Ricorda come gli commissionassero soprattutto documentari e lui trovasse questo, all’inizio, insopportabile. In seguito capì l’importanza di girare nelle strade, tra la gente, rifacendosi, per certi versi, al neorealismo italiano, di cui ama, ovviamente, i maestri come De Sica e Rossellini.
Questa sua impronta documentaristica si nota sicuramente nelle sue opere, dove non disdegna di utilizzare attori alle loro prime prove, dove usa la macchina da presa per riprendere luoghi e gente della Berlino meno turistica o dei piccoli centri del nord della Germania. 
 
''Settimo cielo''Ha anche realizzato regie di opere liriche e questa attenzione per un certo tipo di melodramma l’avevamo riscontrato anche in “Settimo cielo”.

Quanto le interessa l’elemento melodrammatico nei suoi film?  Si direbbe che quanto Fassbinder fosse "verdiano, pucciniano", lei ci sembra "mozartiano" con quel tocco raffinato ed elegante anche quando tratta di passioni forti.
Per me questo è un complimento. In realtà, nei miei film c’è un equilibrio continuo di dramma, melodramma e leggerezza. E’ la storia che dà vita al genere e alla forma con cui girarli, non il contrario.

Nelle sue opere è interessante l’attenzione per la contaminazione di vicende riguardanti le varie generazioni: i bambini, gli adolescenti, le donne, gli anziani, tutte svolte con la stessa profondità.
Far incrociare le generazioni mi incuriosisce particolarmente e non sempre vengono fuori i classici stereotipi, di cui siamo convinti. Penso, per esempio, al personaggio della figlia di “Settimo cielo”, la quale, quando la madre le confessa il suo adulterio, le consiglia di nasconderlo al marito. La giovane risulta maggiormente bacchettona della madre… Mi piace anche accentuare i conflitti interiori, senza risoluzioni banali, come in certi film hollywoodiani.

Horst Westphal, Ursula Werner, Andreas Dresen, Horst RehbergAnche nella discussione con il pubblico, gli viene spesso chiesto quanto è stata importante la sua esperienza nella DDR, come vede il mondo adesso che l’unificazione  è questione risolta.
E’ abbastanza bizzarro come io venga presentato tuttora dai giornalisti come “il regista dell’est”. E io chiedo “dove sono i registi dell’ovest”?! A parte ciò, mi sono formato in una scuola importante. Lothar Briski è una figura da ripensare totalmente, era assai intelligente quando dirigeva il settore cinematografico e, nel momento in cui, un mio documentario sull’esercito fu bocciato dalla censura, cercò di farmi capire che sarebbe stato solo per poco tempo. Ma era il 1989 e la caduta del muro cambiò completamente la situazione. Se poi mi si chiede una analisi della riunificazione, posso dire che sono abbastanza deluso. Il desiderio dell’est era un’idea di libertà che non si è realizzata, tanto quanto l’utopia della DDR, che avrebbe voluto uno stato senza differenze economiche. Sono contento che la DDR non ci sia più, ma non mancano attualmente sostanziali problemi in Germania.

Sul setVorrebbe filmare queste contraddizioni?
Dopo “La vita degli altri”, una pellicola realizzata molto bene, benché assai discutibile nell’approccio storico, certo mi intrigherebbe raccontare una storia ambientata in quel periodo. Tra l’altro, mi piace ricordare come gli abitanti dell’est fossero affamati di cinema: era difficile viaggiare, spostarsi; noi lo facevamo utilizzando il grande schermo.

Quali sono stati gli autori che l’hanno formato?
Per il cinema Fassbinder, Murnau e tutto il meraviglioso periodo del muto in Germania; Wolfang Staudte (il regista de “Gli assassini sono tra noi”, 1946), e tanti altri, così come mi ha appassionato la letteratura del mio paese da Goethe a Mann. Goethe, che ho rappresentato a teatro  col “Faust”, lo trovo straordinario: sensuale e ironico.
19 gennaio 2011
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