Percorso

Morando, l'artigiana della scrittura

Si intitola "L'armonia delle cose" il film interamente prodotto dall'ISRE di Nuoro e tratto da un testo  della vicentina, ma naturalizzata maddalenina, Elena Morando: "Il cinema è pensiero in mutamento, e porta ricrederti su tutto". L'intervista all'autrice. di Salvatore Pinna
 
''L'armonia delle cose''Elena Morando, nata in provincia di Vicenza, è cresciuta in Sardegna e risiede a San Pasquale di fronte all’arcipelago di La Maddalena.  Scrive e dirige spettacoli teatrali (tra cui il fortunato “A che servono le scarpe se ho ali per volare - Omaggio a Frida Kahlo"), scrive libri di poesia (da poco ha pubblicato per Aìsara la raccolta “Mai più la parola cielo”), è laureata in paleografia medioevale. 
È stata la scrittura a trascinarla “naturalmente” nel cinema. Nel 2008 ha vinto il Premio Avisa  da cui nasce il mediometraggio “L’evidente armonia delle cose”, nel 2009 si aggiudica, al Premio Solinas, la  Borsa di studio Claudia Sbarigia  con la storia intitolata “Vicino al cuore”.  

''L'armonia delle cose''"Della scrittura ha un’idea molto concreta, di scrupoloso artigianato: scrivere per me è come piantare un orto e in questo mio piantare e preparare la terra c'è la stessa precisione di una contadina, lo stesso amore e costanza di compiere ogni giorno gesti uguali, scavare, annaffiare, ricoprire, potare, sradicare.” L’analogia di tipo contadino ritorna nella descrizione dell’esperienza vissuta nel girare il film. Il cinema, afferma,  “è agricolo, è una fabbrica. Una specie di macchina dove ognuno deve fare il suo e lo deve fare bene, al meglio.”  Ma è anche “pensiero che agisce continuamente sempre in mutamento, è mobile, ti porta a cambiare continuamente idea, a ricrederti su tutto”. Anche la sua laurea in paleografia medievale, infine, può essere letta come una premonizione di cinema.
 
''L'armonia delle cose''L’attenzione che richiede lo studio delle antiche scritture, infatti “È una specie di continua illuminazione, una ginnastica per la capacità di sintesi e logica”. Questi elementi sono presenti in “L’evidente armonia delle cose” quasi come un’implicita dichiarazione di poetica. Il film, girato quasi interamente a La Maddalena, è ambientato in un paese della provincia sarda non definito. Sono, invece, precise le coordinate temporali: gli anni sessanta in cui viene raccontata la vicenda, il 1938 anno in cui si svolge, e l’oggi in cui viene messa in cinema.  Una classe di  ex alunne, si ritrova alle esequie della maestra delle elementari. Nella fossa appena scavata, gettano dei fogli che contengono una descrizione di sé.
 
''L'armonia delle cose''È un compito “da non consegnare” che la maestra aveva assegnato, alcuni decenni prima, per esercitare l’introspezione e per diventare brave a scrivere.  Maria, la scolara prediletta, dopo la cerimonia, compie un solitario pellegrinaggio nella casa della scomparsa, da dove si dipana il flashback che la riporta a quella “giornata particolare” del 1938: è l’ultimo giorno di scuola, si farà la foto di classe, il Duce visiterà il paese.  Nel micromondo, in bianco e nero, compreso tra l’edificio scolastico e il cortile  si muovono i vari personaggi: un direttore didattico di posa mussoliniana,  una maestra che sta perdendo la vista, un fotografo che la ama teneramente e ne comprende i bisogni dell’animo, le alunne vivaci e fiduciose. Il ricordo dei momenti salienti della giornata scolastica si alternano alla visita che Maria adulta compie nella casa della maestra.
 
''L'armonia delle cose''Qui, dopo essersi liberata delle scarpe - una metafora della leggerezza che predispone alla conoscenza - Maria si aggira per la casa come una Alice adulta alla scoperta della maestra e di sé che si realizza nel contatto visivo e tattile con gli oggetti. Essi, forse, sono “segni” messi apposta per essere decifrati  dalla ragazza, e dallo spettatore, alla scoperta  “dell’evidente armonia delle cose”.
Questa maestra che si è innamorata spesso ma che ha cercato la vita tra i banchi di scuola è filmicamente risarcita con una bellissima sequenza da film muto, quasi un piccolo film incastonato nell’inquadratura, nella quale si svolge una liaison romantica tra lei e il fotografo che ricalca il chapliniano “Luci della città”.  Qui però il bianco e nero, a un certo punto, deflagra nel sogno colorato di un rapporto d’amore.
 
''L'armonia delle cose''È bastato chiudere gli  occhi perché avvenisse, basta riaprirli per ritrovarsi nel bianco e nero del cortile del 1938 dove la storia ha il suo epilogo. Il colore, che in questo film riassume il senso di un’apertura verso l’esterno, compare ancora nella scena finale quando le bambine non più personaggi ma attrici  - e quindi attrici al quadrato - ritornano davanti alla fossa dove, all’inizio del film, si erano radunate le protagoniste adulte. Vi depositano un mazzo di fiori prima di allontanarsi, allegre e coreografiche, in un campo lunghissimo da cui “evaporano” come folletti.  È come se il messaggio di leggerezza della maestra fosse stato recepito da loro per una misteriosa alchimia del cinema. In ogni fibra di questo film è presente la Sardegna, eppure non si presta ad un ovvio riconoscimento.
 
''L'armonia delle cose''“Non mi pace narrare un luogo perché sia solo quel luogo, dice la regista, non mi piace lasciare lo spettatore senza alternativa perché per me un luogo deve  poter essere anche un altrove”. A Elena Morando va riconosciuto il merito di aver raccontato una storia originale e piena di idee cinematografiche, ben assecondata dalla fotografia di Corrado Magliani, dal montaggio di Barbara Galli  e da un Enzo Favata le cui musiche hanno reso con sensibilità le varie atmosfere del film. Gli interpreti, quasi tutti attori non professionisti, hanno offerto una recitazione intensa e convincente.  “L’evidente armonia delle cose” - presentato nella rassegna SIEFF 2010 – è stato interamente prodotto dall’ISRE di Nuoro, che ha fatto un coraggioso investimento di fiducia puntando su una giovane alla prima esperienza nella regia cinematografica.
2 febbraio 2011
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