La poesia di Segre
Ultimo lavoro per il regista veneto da sempre interessato al sociale. In attesa di vederlo al cinema con “Shun Lì e il Poeta” e l'intensa fotografia di Bigazzi, scambio di battute sul senso del fare cinema oggi e lo stato di salute del documentario italiano. di Rosangela Erittu
Da promessa a conferma del cinema italiano, il passaggio è stato breve per il giovane regista veneto Andrea Segre. Impegno sociale e culturale sono un binomio imprescindibile nella vita dell’autore di importanti documentari di denuncia sociale.
“A sud di Lampedusa”, un racconto sulla faccia nascosta dell’emigrazione, “Come un uomo sulla terra”, una denuncia sulle brutali modalità con cui la Libia controlla i flussi migratori dall’Africa per conto e grazie ai finanziamenti di Italia ed Europa, “Magari le cose cambiano” girato nella periferia romana di Ponte di Nona, “Il sangue verde”, sulla rivolta degli emigranti di Rosarno, sono solo tra gli ultimi e più noti lavori firmati da Andrea Segre, grazie ai quali partecipa a importanti festival nazionali e internazionali dove ottiene importanti riconoscimenti e premi. Nel 2006 è tra i fondatori di Za Lab, l’associazione culturale con sede a Roma e Barcellona che produce film documentari e realizza laboratori di video partecipativo in contesti di marginalità geografica e sociale. Segre abbandona momentaneamente il genere documentario e approda al cinema di finzione firmando soggetto, regia e sceneggiatura -quest’ultima con Marco Pettenello- con “Shun Lì e il Poeta”.
Il film (attualmente in fase di montaggio) è coprodotto da Francesco Bonsembiante della Jole Film e dalla francese Aeternum di Francesca Reder con la fotografia di Luca Bigazzi. Protagonisti della storia ambientata a Chioggia è l’attore croato Rade Serbedjia, Leone d’oro a Venezia con “Prima della pioggia” di Mancevski e l’attrice cinese Zhao Tao, Leone d’oro con “Still life”. Tra i protagonisti della pellicola altrettanti nomi eccellenti del panorama italiano come Giuseppe Battiston, Roberto Citran e Marco Paolini.
Ci parli dell’ultimo lavoro.
“Shun Li e il Poeta” è la storia di una giovane donna cinese che arriva in Italia grazie ad una organizzazione del suo paese. Inizialmente lavora nella periferia romana in un laboratorio tessile poi si trasferisce a Chioggia dove gestirà un’osteria frequentata da pescatori. Qui conosce un sessantenne pescatore di laguna di origini slave, Bepi chiamato ironicamente dagli amici il poeta. Nasce tra loro un’amicizia che turba l’equilibrio già precario sul quale poggiano le due comunità, quella cinese e quella di Chioggia.
Il messaggio del film?
E’ una storia sull’incontro di due mondi diversi e sulla difficoltà di interagire, della diversità che genera paure che possono essere superate attraverso la curiosità.
Può farci un’ analisi sullo stato di salute del documentario in Italia?
E’ un genere che ha raggiunto la sua maturità anche se come tutto il cinema d’autore ha delle difficoltà per quanto riguarda la distribuzione e fa fatica ad avere un riscontro più ampio. Ovunque la tendenza generale è lo strapotere delle grandi distribuzioni.
Una definizione del cinema documentario?
E’ il genere che ha espresso maggiore innovazione stilistica e capacità di analisi e di raccontare l’attualità del nostro paese.