Percorso

A colpi di ciak ballando "su raap"

Un documentario firmato Marco Lutzu per scandagliare uno spaccato di realtà musicale isolana a molti sconosciuta. In compagnia del reverendo Jones e del wrighter nuorese Nat 51. L'intervista. di Salvatore Pinna

''Su raap''Marco Lutzu ha incominciato a interessarsi alla scena hip hop isolana dopo aver scoperto i Popular Music Studies, branca della musicologia che si occupa delle musiche circolanti prevalentemente attraverso i mezzi di comunicazione di massa. All’hip hop sardo ha dedicato la sua tesi di specializzazione in antropologia culturale ed etnologia.

All’interno di questa ricerca è nato il documentario “Su raap” (2008-2009) che descrive le principali forme espressive in alcuni dei centri come Cagliari, Iglesias e Nuoro, in cui l’hip hop è più vitale. Girato in autonomia e senza committenza “Su raap” è un work in progress, come la realtà mobile che viene descritta e risente delle sue origini di pura documentazione. Non è compatto come “In viaggio per la musica” (2004) o “Bi cheret boghe e passione” (2008). Lo stile è piuttosto  tradizionale, con interviste alternate a performances, ma alcune sequenze sono particolarmente efficaci e l’insieme è significativo.

''Su raap''"Non ha quel tipo di approfondimento  richiesto ad un antropologo che ha argomenti di studio specifici e ristretti e dei rapporti “densi” con gli informatori. Nel documentario mostrare troppi protagonisti, invece che concentrarsi su un paio al massimo, va a scapito dell’approfondimento. Non critico questo approccio in senso assoluto. Più o meno il discorso è: più protagonisti = ti racconto uno spaccato, meno protagonisti = approfondisco su alcune persone".
 
Tuttavia questo spaccato rivela una realtà della Sardegna quasi sconosciuta. Il breaker Kalma, il rapper Quilo, il producer Alessio Zara,  il Reverendo Jones, il  writer nuorese Nat 51 comunicano temi e passioni straordinariamente ancorati alla realtà sarda.

La musica mette in gioco emozioni forti, modi di vivere; è uno strumento per dire tante cose, su sé, su come si pensa il mondo; e il bello è che lo si fa in tantissimi modi diversi, e questi “modi diversi” spesso sono accanto a noi e non ce ne accorgiamo! La scena hip hop sarda è molto vitale, in questi anni ho conosciuto tanti ragazzi di cui sarebbe interessante parlare.
 
''Su raap''Nei ragazzi intervistati c'è una forte consapevolezza di ruolo. Quilo parla del suo rap come "rivoluzione" del canto sardo; il Reverendo Jones auspica una rinascita economica che non ripudi la lingua e la cultura sarda; Nat 51 dice che nel writing sardo “c’è un’indole verso l’originalità”. Non manca l’attenzione al marketing: “la nostra roba, dice Quilo, deve arrivare in Spagna, in Francia, in ogni parte del mondo!”.
Il rapporto tra globale e locale è molto complesso. Il locale vive nel globale, prende ciò che per lui ha senso, spesso cambiandogli il senso, dandogliene uno locale. Esiste una manipolazione dal basso del flussi culturali globali e  c’è una dinamica e una contrapposizione di posizioni tra un fronte che si dichiara “underground” e gruppi come quello di Quilo, che da molti vengono considerati “commerciali.

''Su raap''Ci sono momenti, nel documentario, in cui una certa varietà dell’inquadratura serve a mitigare la staticità dell’intervista. Ma nella bella sequenza dedicata al producer Alessio Zara davanti al campionatore il movimento della “camera” è funzionale all’indagine sul personaggio e sul tipo di lavoro che fa.
Ogni volta che lo vedo lavorare rimango colpito.  E faccio quello che ha fatto la camera, sto dietro di lui, lo ascolto, guardo il monitor per capire come agisce. La stessa cosa ho fatto il giorno, di istinto, senza pensare troppo alle inquadrature!

Chi è il producer: un musicista, un ladro di suoni?

Io considero Alessio un musicista a tutti gli effetti. Il compositore classico ha nella testa della musica e dice: questa la farò realizzare al violino (strumento di cui, per esperienza, conosce il timbro). Alessio ha una cosa in testa e dice: questa la potrei ottenere prendendo il suono del rullante dei Beatles, aggiungendoci del riverbero e aumentando i bassi. Per entrambi il primo passo è avere la musica nella testa, sono dei compositori!

''Su raap''L'episodio di Nat 51, il writer nuorese, è un altro pezzo di buon documentarismo. Ascoltare questo ragazzo, mascherato e senza nome, è come entrare in una realtà sconosciuta e difficile da comprendere con i consueti parametri.
È un grande esempio di “underground”, come lo intendono loro! Centinaia di euro di multe e denunce ogni volta che la polizia lo becca, migliaia di euro spesi in bombolette… e il tutto senza nessun guadagno economico o desiderio di visibilità (che non sia quella delle sue opere nei muri). Adesione profonda al movimento hip hop che ne modella gran parte della vita!

C'è un apprendistato lungo e paziente come nel canto sardo. Il cantante a chitarra dice: sono arrivato al palco dopo cinque anni. Il writer nuorese dice: "mi sono trasferito sui muri dopo tre anni".
Molto pertinente questa analogia col canto a chitarra. L’idea dell’iper specialismo, di addentrasi in una pratica che diventa una scelta di vita in cui sai che il risultato sarà frutto di anni di preparazione! Ricorda anche lo sport!

''Su raap''Andando a ritroso (cioè ai breaker con cui inizia il film) c’è l’idea del breaking come stile di vita e del "portare avanti l’essere sardo".
In tutte le interviste cercavo di far emergere il rapporto con la Sardegna ed è successa una cosa che spesso accade: a prescindere dal rapporto reale che hanno con l’Isola e la sua cultura, la grande maggioranza dei giovani sardi impegnati in ambiti artistici si raccontano come ispirati o legati alla Sardegna.

Il documentario è iniziato con una bella  inquadratura dei giovani musicisti del conservatorio in una prova d’orchestra. Al termine delle prove, riposti gli strumenti, i musicisti sciamano verso lo spiazzo del conservatorio e il portone viene chiuso da un addetto. Una veloce carrellata mostra, accostata al portone, una radiolona che spara a tutto volume musica da breakdance mentre lo spiazzo viene occupato dai breaker.

In senso realistico l’inquadratura indica il luogo in cui, emblematicamente, i danzatori hip hop si radunavano. Ma essa dichiara una contiguità tra la musica colta e le  espressioni della cultura hip hop e prepara ad una visione non prevenuta. Per gli spunti che offre e i personaggi che rivela, questo documentario merita di essere visto. 

9 febbraio 2011

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