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Film Consiglio

"Un gelido inverno" di Debra Granik

Il consiglio di Elisabetta Randaccio

''Un gelido inverno'' locandinaMeritava un riconoscimento anche nella notte degli Oscar, “Un gelido inverno” di Debra Granik, già premiato al “Sundance” e a Torino: sicuramente più intenso come miglior film del “Discorso del re” e interpretato da una giovane attrice di cui sentiremo parlare in futuro, Jennifer Lawrence, bella e brava. Certamente essere arrivata alle nomination, assicura alla pellicola una distribuzione capillare che si merita e, si spera, le porti tanti spettatori.

“Un gelido inverno” prende vita da un problema assai sentito, in questo momento di grave crisi economica negli USA, ovvero “perdere la casa”. Attraversando in macchina i territori infiniti degli Stati Uniti, il viaggiatore –pure quello meno attento - noterà sterminati territori con il cartello “For sale”: sembra che mezza America sia in vendita, soprattutto nelle regioni lontane dalle aree metropolitane. E’ la conseguenza di chi ha perso il lavoro, non ha potuto più pagare il mutuo o semplicemente deve sanare debiti e creditori. La middle class della provincia è in totale disfacimento e le opportunità per uscire da tali situazioni drammatiche sono complesse e contradditorie.

''Un gelido inverno''Debra Granik, la regista, è attenta a focalizzare la casa e il boschetto della famiglia di Ree.  L’abitazione è in decadenza, la confusione nelle stanze, ricche di oggetti desueti o gettati a caso, ci indica come i tentativi di Ree di accudire i due fratellini, la madre malata (nella psiche), l’andamento casalingo e amministrativo sono apprezzabili, ma non sufficienti. Intorno a quella che un tempo sarà stata una villetta rassicurante c’è di tutto: la casa delle bambole abbandonata, un tappeto elastico per far divertire i bambini, secchi, bidoni, cumuli di immondizie, mentre la severa natura attorno sembra specchio dei sentimenti dei protagonisti, comunque, unico riferimento “simbolico” della persa unità familiare (e di possesso, perché il film, in questo senso, è improntato sul concetto di proprietà, in maniera fortemente conservatrice).

''Un gelido inverno''Il villaggio, che prima riusciva a sostentarsi con l’industria agricola e d’allevamento, ora (come capita molto spesso nelle realtà rurali in crisi) punta sullo spaccio e il  raffinamento della droga, un mercato solo apparentemente diverso da quello metropolitano, in realtà con le stesse dinamiche di degrado umano e sociale.  Difficile trovare solidarietà in una simile situazione, la quale si trascina  la “antica” abitudine alla “difesa” ad oltranza, con le armi a disposizione di tutti, persino dei bambini. Ree non segue un viaggio iniziatico alla ricerca di un padre ex agricoltore e novello pusher, che, per pagare la cauzione al giudice, ha ipotecato la casa e il terreno, perché la vita l’ha già formata, la resa coraggiosa e forte, nonostante i suoi diciassette anni.

''Un gelido inverno''La sua “inchiesta” è necessaria alla sopravvivenza, quasi fosse catapultata indietro nel tempo nel mondo senza legge del West, e il suo percorso pericoloso sfiora personaggi cinici,  privi di etica se non appunto l’affermazione del possesso e della difesa a oltranza. Ben presto, la ragazza capisce la sorte disgraziata del padre, ucciso per vendetta, ma è necessario fornirne le prove alla polizia, solo così riuscirà a recuperare casa, boschetto e una presunta unità familiare, senza dover dare in adozione i fratellini. E’ un’avventura con elementi tinti  di horror e che ha, nella scena del lago, la parte più dura. In seguito lasceremo i personaggi a un futuro incerto.

''Un gelido inverno''La regista dirige perfettamente un cast di professionisti senza bisogno di “stelle”, è attenta ai piccoli particolari che ci restituiscono il mondo “a sé” di alcuni regioni del Missouri (i segni di sporco nelle porte, gli anziani e le donne fuori dagli stereotipi non rassicuranti neppure quando cantano e suonano le ballate tradizionali, i vestiti modesti...), ma anche a scavare nelle psicologie dei personaggi di cui mai fa né l’elogio né la condanna. Aiutata da una fotografia molto bella di Michael McDonough, restituisce mistero, angoscia, melanconia sia nelle splendide scene (girate completamente nei luoghi reali) esterne con l’inverno modellato come un “personaggio” fondamentale della vicenda, sia negli interni squallidi. “Un gelido inverno” è una rivelazione: come parlare della realtà nei suoi lati maggiormente complessi e inquietanti con una narrazione accattivante come quella un thriller. Da non perdere e da osservare con ammirazione l’ottimo manifesto.

Consiglio precedente: "Il grinta" di Joel Coen e Ethan Coen

2 marzo 2011

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