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Commenti: Wenders vola in Sicilia. E la Sardegna rimane a guardare

 Ancora botta e risposta tra i lettori e gli addetti ai lavori sul caso Wenders, il regista che ha scelto di girare in Sicilia il suo nuovo film grazie ai contributi del Por.

Emanuele Crialese (Regista)

Sono felice che la Sicilia abbia commissionato a Wenders un film: è un grande regista e forse anche la Sardegna avrebbe dovuto cogliere l'occasione. Occhi differenti e distaccati colgono aspetti che i registi legati al territorio non potrebbero vedere. Infatti, sarebbe noiossimo se la Sicilia apparisse solo nei film di Tornatore o dei registi siciliani. L'importante è fare. La preoccupazione sorge quando il territorio non suscita alcun interesse da parte di nessuno. Dunque l'alternativa fra promuovere i registi sardi o affidarsi a registi stranieri è un falso problema perché pensare che la Sardegna nel cinema debba essere filmata solo da registi sardi è una forma di provincialismo. Il cinema non esisterebbe se questa fosse la regola. Grandi registi, ma anche grandi scrittori, hanno ritratto paesi differenti dai propri, talvolta creando dei capolavori. Quando ho saputo che Soru aveva intenzione di chiamare Wenders, gli ho inviato una lettera chiedendogli di prendermi in considerazione. Ma non ho avuto risposta; ho pensato avesse già fatto altre scelte. Forse un film di Wenders avrebbe più visibilità del mio. Purtroppo non conosco le opere dei registi sardi, ho visto soltanto “Ballo a tre passi” ma non mi ha fatto impazzire. Invece mi incuriosisce "Jimmy della collina": appena posso vado a vederlo.   

 

Gianfranco Cabiddu (regista)

Occorre premettere che la Sicilia ha il vantaggio di avere, nel cinema, una lunga e consolidata tradizione che ha dato vita a un vero e proprio genere siciliano, ormai consolidato negli anni. Non soltanto questa regione è stata abbondantemente raccontata ‘dal di dentro’, cioè da registi siciliani contemporanei  quali Tornatore, Ciprì e Maresco, o Roberto Andò (solo per citare alcuni nomi) ma è stata anche luogo ed oggetto di indagine ed interpretazione anche dall’esterno (pensiamo a grandi autori come Cimino, ad esempio).

Fin dall’ottocentesca moda del Grand Tour in Italia, l’anima di questa straordinaria regione, è stata raccontata, letta, cantata ed interpretata da numerosi autori stranieri attraverso differenti linguaggi artistici, compreso quello cinematografico, naturalmente. Ciò significa che vi è stata una lunga e profonda elaborazione  della storia e dell’identità del luogo, realizzata sia attraverso lo sguardo ‘esterno’, di artisti stranieri, sia attraverso un profondo processo di interpretazione realizzato ‘dall’interno, dagli autori siciliani.  Fatta questa premessa è evidente che l’arrivo di un Wenders in Sicilia sarebbe sicuramente positivo: non metterebbe in gioco l’identità del luogo ma contribuirebbe  senz’altro ad arricchire una prospettiva interpretativa sulla regione già larga, molteplice e consapevole. Non dimentichiamo, infatti che le interpretazioni della Sicilia da parte di autori del cinema straniero e locale, sono state così tante e così importanti da influenzare notevolmente  persino il cinema americano.

Il discorso è molto diverso per la Sardegna: soltanto di recente abbiamo cominciato a raccontare noi stessi, ‘dall’interno’, attraverso il linguaggio cinematografico. Non voglio, con ciò, esprimere alcuna pregiudiziale nei confronti di autori stranieri, tuttavia ritengo che, non essendo maturata a sufficienza l’abitudine a raccontarci ‘dal di dentro’, l’idea di chiamare Wenders potrebbe essere prematura per noi. Dobbiamo ancora fare molta strada, impegnandoci, prima, a sviluppare uno sguardo consapevole su noi stessi, e sulla nostra regione. Altra cosa non meno importante,  è bene cercare i capire in che modo porgerci, presentare noi stessi anche all’esterno, scegliendo con cura quale tipo di comunicazione  adottare per capire se quello che raccontiamo di noi arriva o non arriva all’estero. La nostra è una cultura ancora chiusa, difficilmente ci lasciamo raccontare dall’esterno; non è facile coglierci dall’esterno, esiste ancora un forte rischio di cadere nello stereotipo.
Ultimamente in Sardegna è esplosa quasi una moda del cinema: tutti ne parlano ma siamo ancora lontani dal farlo in maniera davvero approfondita, non esiste ancora un confronto reale tra gli addetti ai lavori: pochi conoscono davvero questo mestiere. In un clima di globalizzazione accade, inoltre, che il cinema sardo venga  capito maggiormente quando si realizza un confronto con la Spagna, con la Germania e, in generale col cinema del Mediterraneo. Quando ci confrontiamo con i registi italiani rimaniamo, invece, schiacciati da un’idea regionalistica: una prospettiva riduttiva che dovremmo modificare al più presto.
Bisognerebbe, infine, vedere tutti insieme se la nuova legge sul cinema è veramente una buona legge, se è funzionale agli obiettivi che si pone.

 

Gianni Olla (critico cinematografico)

Non si può, certo, paragonare la Sardegna con la Sicilia: Wenders va a Palermo perchè la Sicilia ha una diversa tradizione culturale. Ricordiamoci che Palermo  era l’ultima tappa del Gran Tour,  la formazione obbligatoria degli artisti e intellettuali del 600, 700. A quell’epoca in Italia c’era il Rinascimento, le rovine romane mentre, in Sardegna, al massimo potevamo vantare la presenza di banditi barbaricini.
E’ chiaro che il fascino della tradizione culturale  italiana è ben  diverso da quello della Sardegna.
Dal punto di vista dell’attrattiva turistica, come paragonare, anche oggi, i Nuraghe con Pompei?
Non si possono mettere alla pari. Per interessare Wenders occorrevano, forse, cose diverse; non  credo sia dipeso da una maggiore offerta di denaro, ma dal fatto che Palermo è una realtà culturale molto più ricca, ha un fascino diverso, è stata una capitale europea.
Per quanto riguarda la Sardegna, io sarei stato d’accordo a finanziare Wenders. Se ci pensiamo sin ora due soli grandi autori del cinema italiano si sono interessati veramente della Sardegna:  De Seta,  che ha girato “ Banditi a Orgosolo”, e i fratelli Taviani che hanno girato "Padre Padrone". Sono due  autori con la A maiuscola. Però hanno parlato di pastori . Il nostro immaginario è un immaginario arcaico, diverso da quello della civiltà italiana. Il turismo sardo non è il turismo culturale che c’è in altre regioni italiane.
Prima di decidere di finanziare grandi e costosi progetti cinematografici bisogna quindi tenere in conto anche le esperienze negative.
Pensiamo a Lina Wertmuller che con “Notte d'estate con profilo greco, occhi a mandorla e odore di basilico”è costata, al tempo, un miliardo alle casse regionali e nel film vi sono scene in cui Michele Placido mangia pecorino e beve vermentino col marchio ben visibile.
La cosa  migliore da fare oggi sarebbe aiutare gli autori sardi. Senza dare mille lire a testa e disperdere quattrini, ma per un progetto intelligente. A mio avviso, ad esempio, andrebbe aiutato Giovanni Columbu, con il suo progetto di un film sui Vangeli
Se poi la Sardegna è oggetto di interesse da parte di qualche cineasta, si può fare l’uno e l’altro. Io avrei desiderato che De Seta tornasse qui, ma lui temeva di conoscere abbastanza la Sardegna per realizzare un altro film. Non credo ai film su commissione e neppure all’idea di qualcuno che viene da fuori e realizza un documentario su Cagliari. Certamente Wenders è particolare perché è riuscito a fare un film di successo, commissionato dal Comune di Lisbona,  in una terra che non era la sua. Tuttavia se dovessi scegliere fra chiamare Wenders o aiutare agli autori sardi…preferirei aiutare gli autori sardi.

 
Gianni Filippini (Direttore editoriale Unione Sarda)

Sarebbe stato un progetto interessante.
Anche se io sono sempre più favorevole alle iniziative che valorizzano le risorse e i talenti locali.  La mia esperienza di assessore alla cultura del Comune di Cagliari mi suggerisce però di stare attenti nel discernere i veri professionisti da coloro che invece si improvvisano e non hanno esperienza e capacità.


Giorgio Pellegrini (Assessore alla Cultura - Comune di Cagliari)

A questo proposito cito le parole di Philippe Daverio che, venuto da poco a Cagliari, si è chiesto, davanti a un folto pubblico che lo ha applaudito a scena aperta, come mai si fosse affidato il progetto di un museo a Cagliari, peraltro inutile e pleonastico, ad una architetta, per altro famosissima, come Zaha Hadid. Le parole di D’Averio sono state: “Che cosa ne capisce questa signora del paesaggio cagliaritano se non ha mai assaggiato la vostra fregola? Allo stesso modo io mi chiedo:  cosa ne può capire Wenders della Sicilia se non ha mai assaggiato la pasta con le sarde e i cannoli? E che cosa ne capisce Wenders della Sardegna se non ha mai assaggiato la fregola?
Questa idea di chiamare qualcuno da fuori è provincialismo bello e buono. Infatti, abbiamo degli autori di altissimo livello sia in Sardegna che in Sicilia: che senso ha, dunque, chiamare questi personaggi paracadutati da fuori? Ripeto: questo è peccare di provincialismo.
Dovrebbe essere scelto un autore italiano, almeno; qualcuno che sappia bene che cos’è la Sardegna; qualcuno che, perlomeno, sappia di che cosa sta parlando.
Ma stiamo scherzando? O uno conosce la Sardegna oppure non la conosce! Se uno non la conosce come può farci un film, scriverci un romanzo, o  farci un museo?
 
 
Mario Diana (Consigliere regionale – Gruppo Alleanza Nazionale)

Penso sia una buona iniziativa. Del resto le immagini della Sicilia e della cultura siciliana sono state veicolate anche da registi americani e non solo da autori Siciliani. Forse la realtà letta attraverso uno sguardo esterno è più obiettiva e un certo distacco nel guardare le cose non guasta. Infatti può accadere che chi appartiene ad un determinato luogo possa lasciarsi trascinare dal sentimento se decide di ritrarla col pericolo di essere troppo viscerale.
Se Wenders venisse in Sardegna ne sarei contento, riterrei positivo che qualcuno venisse da fuori per ritrarre la nostra comunità . Certo che dovrebbe essere un’iniziativa gestita bene davvero e non dai soliti amici del nostro Presidente!
 
 
Antioco Floris (Docente di storia del cinema Università di Cagliari)

Ritengo che i soldi pubblici vadano sempre spesi bene e che, per tale motivo, occorra sempre fare delle scelte ragionate. In questo caso approvo pienamente la scelta di affidare a Wenders la realizzazione di "Palermo Story": è un grandissimo autore e, anche se non tutto ciò che ha fatto è bellissimo, nel caso di "Lisbon Story" Wenders è riuscito a restituire in modo straordinario il ritratto e l’anima della città. Io stesso ho deciso di visitare Lisbona grazie alle suggestioni che mi ha dato il suo film. Se un'iniziativa del genere si realizzasse in Sardegna sarebbe una buona idea. Nessuno dei nostri autori sardi può vantare l’esperienza e il curriculum di un Wenders. Non vedo, infatti, al momento, chi in Sardegna possa competere con lui. Non è detto che per offrire un ritratto cinematografico dell’Isola o di una città dell’Isola, si debba scegliere per forza un sardo se magari non è in grado di farlo come potrebbe farlo Wenders.


Francesco Casu (Video artista e regista multimediale)

Chiamare qualcuno da fuori può essere utile se si riesce ad innescare un circuito virtuoso, di scambio e confronto tra gli apporti culturali della persona che arriva da un'altra realtà geografica e culturale e la collaborazione delle risorse locali, degli autori del luogo. In questo caso sarebbe un’occasione di crescita utile per tutti. Ma se una scelta del genere è motivata soltanto dall’atteggiamento provinciale di chi si serve dei grandi nomi per fare della politica facile, allora non sono più d’accordo.
Se un'iniziativa del genere fosse presa in Sardegna? E’ triste constatare che noi sardi abbiamo ancora bisogno di qualcuno che venga da fuori per dirci chi siamo, che faccia le cose al posto nostro. Pensiamo, ad esempio, alla campagna pubblicitaria "Sardegna fatti bella": ma non sarebbe stato meglio evitare lo spreco di tanti soldi rifacendosi alla strategia danese del "vuoto a rendere"?
L’idea di chiamare il grande nome da fuori è spesso una strategia provinciale per mettere l’elettorato in pace: è facile chiamare Wenders! Certo, se il ruolo di questo autore si situasse in un contesto di seminario-studio, come tutor in grado di coinvolgere i registi sardi in un momento didattico di grandissima qualità, sarebbe un iniziativa vincente. In caso contrario, solo soldi sprecati.
 
 
Giovanni Columbu (Regista)

Credo che un autore vero come Wenders non accoglierebbe una richiesta di cui non condividesse i presupposti. Wenders, infatti, non è un pubblicitario, è un regista, autore e narratore solo di storie e di luoghi che possono suscitare il lui autentico interesse. A mio parere è lecito anzi è un bene che si invitino a operare localmente autori ed artisti provenienti da altri paesi. Così è avvenuto in passato, nei secoli che hanno fatto grande l'Italia e l'Europa. Le capitali europee si sono sempre avvalse dei grandi artisti del momento, da qualunque paese provenissero. E gli artisti si spostavano da una corte all'altra lavorando per diversi principi, re e papi, senza che questo suscitasse alcun motivo di scandalo. L¹arte, oggi come allora, concorre a dare prestigio ai committenti e indirettamente a rafforzare i loro poteri, ma vale per se stessa e nessuno in passato si è mai sognato di considerare quegli artisti responsabili di quei poteri.
Nessuno, per fare un esempio, ha mai pensato che Mantenga fosse responsabile della politica dei Gonzaga. E' un discorso che andrebbe approfondito, soprattutto oggi e nei confronti di coloro che credono che l'arte e la cultura possano appartenere a questa o a quella parte politica. Per ora posso dire in breve che ritengo non solo positivo ma encomiabile chiamare da altri paesi artisti validi e importanti. Certo sarebbe un assurdo e autodistruttivo provincialismo se questo avvenisse escludendo gli artisti che operano nel luogo.


Paolo Frau (Ex consigliere Ds)

Tutte le iniziative che presuppongo la creazione di un contatto vitale tra il patrimonio culturale di una regione geografica e le eccellenze artistiche di un altro luogo, rappresentano un momento di crescita molto importante. Se un'operazione del genere riguardasse la Sardegna sarei estremamente favorevole: abbiamo bisogno di leggere le cose in modo innovativo e una lettura intelligente del nostro patrimonio di tradizioni non potrebbe che influenzare positivamente la visione della Sardegna, stimolando anche il punto di vista dei sardi su se stessi. Mi sembra che un autore come Wenders abbia tutti i requisiti per realizzare un progetto di alta qualità.
 
 
Bachisio Bandinu (Antropologo)

Come interpretare il fatto che uno sguardo esterno provi a leggere una realtà geografica, culturale e antropologica molto distante da lui? La prospettiva è ambivalente: certamente uno sguardo distante può cogliere certi aspetti che potrebbero sfuggire a chi sta immerso in quella determinata realtà. Il suo sguardo infatti è, in un certo senso vergine, privo di condizionamenti e di quei preconcetti che di solito strutturano l'inconscio sociale di un luogo. Se chi decide di ritrarre l'anima di un luogo è capace di una sottile vena artistica, più che sociale e antropologica, allora si potrebbero raggiungere degli esiti interessanti. In caso contrario si otterrebbe soltanto un falso antropologico.

Nel caso una simile iniziativa si realizzasse in Sardegna sarebbe ancora più rischioso: per noi sardi, infatti, è particolarmente difficile essere toccati dallo sguardo degli altri, la stessa concezione identitaria di noi stessi impedisce lo sguardo altrui: abbiamo un' immagine narcisistica e autoreferenziale di noi stessi che ci spinge a ribellarci ad una lettura della nostra realtà operata dall'esterno. E' una nostra forma di difesa, avvertiamo lo sguardo degli altri come tradimento dei nostri tratti antropologici, perché non risponde ai nostri modelli, perché non ci riconosciamo in ciò che quello sguardo descrive.

Alcune volte è una nostra fissazione, il solito nostro modo di difenderci; in alcuni casi, però, ciò accade davvero, e la realtà antropologica viene oggettivamente falsata dallo sguardo esterno. Pensiamo, ad esempio al film dei fratelli Taviani, "Padre e padrone": l'uscita del film fu accompagnata da numerose polemiche, perché in molti non si riconobbero affatto nella rappresentazione dei sardi descritta nel film. Per porre fine al dibattito, i fratelli Taviani dichiararono sui giornali: "Noi non abbiamo mai pensato di realizzare un'analisi antropologica della Sardegna. Il significato di certi ruoli" - pensiamo al modello di padre violento e vendicativo descritto nel film - "era per noi quasi Biblico".

In realtà i fratelli Taviani se la cavarono correggendo il tiro all'ultimo minuto. Questa dichiarazione, infatti, contrastava con alcune loro affermazioni precedenti dove, invece, l'intento di offrire una lettura antropologica della Sardegna era chiaro e manifesto. Attraverso questo esempio comprendiamo facilmente che, vista l'abbondanza di strano e di pittoresco presente in Sardegna, se sei un regista privo di arte e di intuizione credi magari che riprendere un gregge in transumanza possa cogliere l'anima del luogo, mentre, invece, sei fuori strada e non hai colto affatto l'anima del luogo: sei solo tu che, venendo da fuori, ti stupisci e ti meravigli esageratamente di qualcosa che accade ogni giorno da queste parti.

Quando si parla di lontananza e vicinanza, dunque occorre fare molta attenzione: sono concetti ambigui e ambivalenti, ognuno di essi offre vantaggi e svantaggi, intuizione della realtà e pericolo di falsificazione della stessa.
 
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