Percorso

150 anni di grande cinema

La storia, la lotta, il dolore per l'Unità d'Italia visti dietro la macchina da presa. Da "Senso" di Visconti fino al recente "Noi credevamo" di Martone. Rassegne, aneddoti e curiosità del Risorgimento in celluloide. E voi quale pellicola preferite? di Elisabetta Randaccio
 
''La presa di Roma''Nel settembre del 1905, fu proiettato a Roma - con quello che oggi verrebbe definito 'un diffuso battage pubblicitario' - il film “La presa di Roma” di Filoteo Albertini, dove veniva ricostruita con un certo realismo, sebbene le scenografie fossero di cartone, l’ultimo atto del Risorgimento italiano: la breccia di Porta Pia e la fine del potere temporale del papa su Roma, che venne, così, proclamata capitale del Regno d’Italia.
E’ un momento topico per la nostra storia: i Savoia e tutta la burocrazia di stato si trasferirono da Torino nell’Urbe, con conseguente sua espansione demografica, con la nascita di una classe dirigente, la quale deluderà le aspettative, soprattutto del meridione, con la grande frattura tra regno e chiesa, che comporterà ostacoli alla formazione compatta e unitaria dei nuovi cittadini. “La presa di Roma”, a volte usata in certi programmi televisivi quasi fosse un documentario, avrebbe potuto essere l’inizio di un filone della narrativa per il grande schermo riguardante il nostro Risorgimento.
 
''L'eroe dei due mondi''Come ha detto qualche critico, questa parte importante e complessa della nostra storia, così densa di avvenimenti, di colpi di scena politici, di personaggi dalla intrigante personalità,sarebbe potuta diventare il nostro immaginario cinematografico per eccellenza, quanto fu  l’epopea western negli Stati Uniti. Invece, non fu così. Il Risorgimento fu analizzato con criteri storici discutibili, le scelte errate economiche e sociali le quali non aiutarono a colmare il gap tra nord e sud, l’uso, da parte del regime fascista, di alcuni elementi e personaggi in maniera tronfia e grondante retorica, fecero sì che gli autori di cinema si avvicinassero cautamente e, in tempi recenti, criticamente a questo periodo storico segnato da intense passioni e contraddizioni. Quest’anno le celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità di Italia, hanno portato a riscoprire e a riproiettare pellicole sull’argomento, permettendo di analizzarne il loro effettivo valore e di proporre una visione variegata di interpretazioni sul nostro Risorgimento.  Anche nelle città sarde, associazioni e amministrazioni si avvalgono di alcuni film per completare le celebrazioni del 17 marzo.
 
''1860''Tra l’altro, a Cagliari, lo “Spazio 2001”, sempre attento alla divulgazione cinematografica e alla didattica degli audiovisivi nelle scuole, ha proposto un percorso tra i film più significativi sul tema, (il 17 marzo, alle 10.30, sarà proiettato "Senso" di Luchino Visconti, introduce il film Luciano Marroccu)  e a Monserrato si proietteranno due opere di animazione, poco frequentate, una sulla figura di Garibaldi (“L’eroe dei due mondi” di Guido Manuli, 1995) e un cortometraggio (“La lunga calza verde”, 1961, di Roberto Gavioli), su soggetto del grande Cesare Zavattini. Proprio pensando alla vita avventurosa del generale dei Mille, che finì i suoi giorni nella nostra Caprera (e chi visita il bel museo a lui dedicato nell’isoletta dell’arcipelago maddalenino, riesce a colmare molti elementi della sua personalità e della sua incredibile vitalità e capacità inventiva) in un vergognoso e forzato esilio, non si comprende come il cinema italiano abbia trascurato, complessivamente, la sua figura, materiale per sceneggiature avventurose, storiche, melodrammatiche e quant’altro.  Nel coraggioso “1860” (1934) di Blasetti, un film che non piacque al regime, perché privo di enfasi, interpretato prevalentemente da attori non protagonisti, teso intelligentemente a osservare il Risorgimento dal “basso”, Garibaldi è presente, ma, giustamente, nel contesto di un film, per certi versi, sperimentale non è approfondito nelle sue scelte.
 
''Camicie rosse''Va male anche in una pellicola che doveva celebrare la compagna dell’eroe dei due mondi, Anita (“Camicie rosse”, 1952), morta drammaticamente ( incinta e febbricitante di malaria) mentre tentava di sfuggire, dopo la caduta della Repubblica romana (1849).  Il film, interpretato da Anna Magnani, ebbe vita difficile e il regista Goffredo Alessandrini dovette abbandonare il set per contrasti con la produzione e con l’attrice protagonista e diede l’occasione al giovane Francesco Rosi di debuttare dietro la macchina da presa.
Il regista, che riuscì ad analizzare il Risorgimento e le sue contraddizioni, servendosi del suo talento visivo e di sceneggiature (seppure tratte da testi narrativi) di straordinario fascino, rimane Luchino Visconti. “Senso” (1954) e "Il gattopardo” (1963), inseriscono delle riflessioni storico sociali importanti all’interno di due vicende esemplari, una ambientata durante la cosiddetta terza guerra di indipendenza, dove il tradimento dei valori risorgimentali dell’aristocratica contessa Serpieri per amore di un austriaco giovane e bello, con conseguente vendetta melodrammatica, ci offre l’opportunità di immergerci nella fallimentare battaglia di Custoza, di capire il periodo anche attraverso la citazione della pittura  del tempo e ci regala l’indimenticabile scena iniziale in cui la rappresentazione del “Trovatore” di Verdi diventa il pretesto per una animata manifestazione antiaustriaca.
 
''Senso''Nel “Gattopardo”, dalla celebre opera di Tomasi di Lampedusa, ritroviamo l’essenza del Risorgimento. A parte la bella ricostruzione della battaglia garibaldina a Palermo, il film non ha bisogno di illustrare azioni esemplari, ci rivela con chiarezza il cambiamento epocale giunto fino al Sud borbonico, dove ad un’aristocrazia decadente si sta sostituendo una trasformistica classe dirigente, ancora una volta, lontana dall’esigenze reali del popolo.
Negli anni settanta, il Risorgimento venne trattato secondo criteri storici meglio approfonditi e fortemente critici. Gli allora “giovani” registi italiani realizzarono una serie di film memorabili, tutti da rivedere. Dai Taviani di “San Michele aveva un gallo” (1973) e del bellissimo “Allosanfan” (1974), dove la riflessione è sulla delusione “filosofica”, dopo i primi falliti tentativi di insurrezione e il confronto con le nuove generazioni desiderose di cambiamento, a Florestano Vancini di “Bronte” (1972).
 
''Noi credevamo''Questa opera di ottimo valore, girata in coproduzione con la Iugoslavia, doveva essere destinata al piccolo schermo, ma fu rifiutata perché metteva in scena “una vicenda che i libri di storia non hanno mai raccontato” (come recita il sottotitolo), ovvero la repressione dei moti popolari per le terre in Sicilia, proprio da parte di Nino Bixio, brutta pagina della spedizione dei Mille, già raccontata da Giovanni Verga nella novella “Libertà”. Il film di Vancini uscì, in seguito, in sala e recentemente, è stato restaurato. Vogliamo ricordare anche una pellicola, spesso dimenticata, “Quanto è bello lu morire acciso” (1975) di Ennio Lorenzini, bistrattato dalla critica coeva, in realtà, una ricostruzione della drammatica spedizione di Carlo Pisacane. Un film da riscoprire. Se è vero che “Noi credevamo” (2010) di Mario Martone è un’opera nata anche come propedeutica alle celebrazione del 150°, la prospettiva  proposta  è sicuramente originale, seppur discutibile.
 
In ogni caso, mostra come gli avvenimenti del Risorgimento siano trascrivibili cinematograficamente non in maniera paludata o retorica, ma viva e attuale, materiali per sceneggiatori che non vogliono descrivere solo le storielle miserine, i nuovi “telefoni”, pardon, cellulari “bianchi”.
16 marzo 2011
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