Percorso

Cao: "Emoziono solo con le immagini"

Dopo i racconti di Ignazio Figus tocca adesso a Giancarlo Cao raccontare il suo mondo di immagini e la sua tecnica di ripresa documentaristica. Un genere, come abbiamo visto, che trova sempre più consensi e che finalmente inizia a riscattare la produzione italiana da quella inglese o americana (anche se molto resta da fare). di M.E.T.

 Perché il suo nome è legato ai documentari?
Bella domanda: non lo so nemmeno io. Ho fatto documentari fuori dalla Sardegna e due film legati sempre a questo genere. Più precisamente si tratta di racconti per immagini. Il primo, girato nel 2001 si intitola "Signora Karales" un collage di racconti di viaggio alla scoperta di Cagliari, la mia città.

E’ un testo narrativo, in cui non utilizzo informazioni didascaliche ma cerco di illustrare grazie al forte connubio di musica e immagini. Il secondo, quello più recente, si intitola "Terra d’acqua" ed è un racconto sui suoni dell’acqua, inteso come elemento vitale. Un lavoro  particolare cui tengo molto. Dicono che la Sardegna sia priva di fonti d'acqua. Guardate questo lavoro e vi ricrederete.

Come e cosa si comunica con un documentario rispetto alla fiction?
C'è l'intenzione e il desiderio di spiegare punto per punto le cose, bisogna riuscire a farsi capire senza l'uso del verbo, della parola. Nella mia opera con la musica e le immagini mi sembra che questo accada.

Anche Pau sembra stia lavorando a un documentario legato alla memoria della nostra città: perché in Sardegna i registi ne stanno realizzando così tanti?
Vivendo nel contesto sardo, devo ammettere che girarli è un’avventura meravigliosa: l’Isola è un serbatoio di bellezza, ricca di luoghi splendidi. C’è sempre qualche cosa da scoprire e da svelare con le immagini.

Ma secondo lei il documentario è più in voga dei film?
Oggi c’è un pubblico più attento, più sensibile e preparato. Anche in tv. E poi ci sono mille modi per girare. Non credo si tratti di una moda, al cinema infatti il documentario fa fatica ad entrare, c’è un problema di distribuzione. Troppo spesso dimentichiamo che il documentario se fatto bene è molto comunicativo.

Da addetto ai lavori, come vede il nostro cinema?
Il cinema sardo non è ancora nato. C’è molto movimento, certo, ma c’è la tendenza a eccedere nella caratterizzazione locale, bisogna trovare il modo per dire le cose, e renderle fruibili alla maggior parte di spettatori, anche a chi non è sardo. Meno si insiste sull’aspetto locale più si ha la speranza di uscire.

 

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