Percorso

L'Aquila, la Pompei moderna di Pisanelli

Un pedinamento di matrice zavattiniana, un lunga immersione nella città devastata dal dolore. Un racconto per immagini che entra sotto pelle e non smette di far male. Incontro col regista di "Ju tarramutu", documentario senza happy end. di Elisabetta Randaccio
 
Paolo PisanelliEra già all’Aquila l’otto aprile 2009 Paolo Pisanelli, documentarista, architetto erede di una tradizione di osservazione della realtà, per certi versi, di tipo zavattiniano. Pisanelli, infatti, come un operatore di guerra “deve” stare nel luogo da descrivere, segue senza essere un “cannibale” delle immagini. La gente che lo sente da subito come  amico, lo ospita, gli racconta stati d’animo incomprensibili per chi, in ventidue secondi, ha visto precipitare in un inferno la propria vita. “Mi sento come un bambino nato il 6 aprile 2009”, dice un testimone, seduto in una sedia di plastica al tramonto, in mezzo allo spiazzo di una tendopoli, che reggerà il record di sette mesi, mentre si perderà tempo, inizierà la diaspora degli aquilani (divisi tra alberghi sulla costa lontana e, poi, nelle “new town” senza identità, impossibilitate a riprodurre una comunità compatta), la città verrà militarizzata, i palazzi prestigiosi, storici puntellati e mai ricostruiti.

Paolo PisanelliJu tarramotu. Un viaggio nei territori della città più mistificata d’Italia” non sceglie di mostrare né le “pagliacciate” della politica (come afferma un vecchio all’inaugurazione delle prime “casette”), né il dolore indicibile. D’altronde, la spettacolarizzazione della presunta ricostruzione è presente in frasi sputate fuori da apparecchi televisivi ignorati dai più (ma quanti ce ne sono nelle tende, trai ruderi, negli alberghi, nelle nuove residenze…), da commemorazioni letteralmente “di facciata”, dal disastro di aver perso tempo due mesi per organizzare il G8, invece di convocare un tavolo serio per la ricostruzione di una città attualmente condannata a un progressivo sbriciolamento. Mistificazione e spettacolarizzazione del nulla, il danno più disumano realizzato dopo il disastro naturale.
 
''Ju tarramotu. Un viaggio nei territori della città più mistificata d’Italia''Pisanelli segue, con acutezza, lo sviluppo del trauma psicologico dei terremotati. Prima “silenziosi ed educati” a girare per le macerie delle loro case, simbolo di una esistenza cancellata, identità perduta di un nucleo sociale, poi “zombie che camminano” a fare il bucato nelle tendopoli, a camminare nelle spiagge davanti agli alberghi. La paura gli mangia l’anima: ogni rumore, ogni scossa è un nuovo, piccolo trauma. Ci vuole l’intercettazione dei due imprenditore i quali ridono grassamente pensando agli affari  futuri derivanti dagli appalti per la ricostruzione, a dare una scossa al cervello e a iniziare la protesta, prima con le domeniche a cercare di rimuovere le macerie della piazza principale dell’Aquila (zona rossa, ancora proibitissima) e, in seguito, a chiedere conto agli amministratori e al governo. Il documentario si chiude qui, ma non è un happy end, perché la città gioiello dell’Abruzzo e i paesi limitrofi (“avevano un panorama che tutti ci invidiavano”) sembrano destinati a diventare, come dice un intervistato nel film, “la Pompei” moderna. E’ chiaro a tutti come, se questi luoghi rinasceranno, li vedranno non gli anziani, non i sessantenni, non i cinquantenni, non i quarantenni, forse i piccoli, i nipoti, i figli dei figli.

''Ju tarramotu. Un viaggio nei territori della città più mistificata d’Italia''Paolo Pisanelli ha affrontato la drammatica materia con grande delicatezza, gli chiediamo in dettaglio come è nato il film.
Ho realizzato riprese per quindici mesi: dal 9 aprile 2009 al maggio 2010. Mi sono chiesto subito cosa avrei potuto fare in quella situazione di disastro. Sono un filmaker e, dunque, la scelta è stata quella di andare nei luoghi e girare, testimoniare una trasformazione, quella di un territorio che, ancora subito dopo il terremoto, mi appariva bellissimo con le vestigia medioevali e un paesaggio straordinario. Mi sono formato attraverso studi di Architettura e, se è possibile, ero motivato maggiormente di altri.

Il suo documentario sembra quasi un “pedinamento” zavattiniano. Come reagivano le persone alla sua ricerca?
Mi interessavano le esperienza, le narrazioni della gente. Realizzare accanto a loro il film. E’ stata, perciò, una collaborazione ottima. Non è facile parlare di traumi così devastanti, bisogna, in un certo senso, mettersi in gioco davanti alla camera, anche se non si è attori. Gli aquilani e gli abitanti dei borghi hanno deciso di condividere con me le loro sensazioni e il mio lavoro.

''Ju tarramotu. Un viaggio nei territori della città più mistificata d’Italia''Quando si è passati, secondo lei, da una sorta di stadio di confusione-rassegnazione a uno di reazione?
Piuttosto che nei giorni del G8, dove si è perso tempo prezioso per il risanamento della città o quando è stato chiara la verifica delle promesse mancate del governo, al momento dell’ascolto della voce di chi rideva a poche ore dal diastro.  E’ stata una scossa. Nelle giornate “delle carriole”,  si sono visti professionisti, borghesi mai scesi in piazza, ferocemente indignati per il trattamento ricevuto da chi pensava esclusivamente ad arricchirsi o a aumentare il proprio potere politico.

''Ju tarramotu. Un viaggio nei territori della città più mistificata d’Italia''La colonna sonora ha un’importanza , anche emotiva, nello svolgersi di “Ju Tarramutu".
Ho una passione speciale per la musica, ho realizzato documentari in tal senso, per esempio "Il sibilo lungo della taranta" (2006), per cui, nel film, le ballate tradizionali sono interpretate in vari modi a commentare le immagini, spesso unite a testi poetici. Infatti, la voce fuori campo legge delle parole tratte da un “copione”, in seguito, diventato uno spettacolo teatrale: "Lettere dall’Aquila", il quale ha girato anche in alcune città italiane. E’ stato rilevante l’apporto del gruppo Animammersa, impegnato in una riproposizione dell’identità aquilana attraverso musiche popolari e originali.

Paolo Pisanelli in SardegnaIl film è stato visto all’Aquila? Che tipo di distribuzione ha?
“Ju Tarramutu" è stato proiettato sia a novembre e per due giorni (quelli del secondo anniversario della catastrofe) in una multisala in città. Per quanto riguarda la distribuzione, il film prodotto da PMI, Officinavisioni e Big Sur è supportato dalla Za lab distribuzione.

Ha nuovi progetti in corso?
Sto lavorando su un film su un personaggio particolare: un pastore, anche cantore, che si esibisce con passione nella notte della taranta, ma un progetto a cui tengo molto è la realizzazione di una radio web con i miei collaboratori.  
 
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13 aprile 2011
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