Percorso

Metti una sera il Risorgimento

Incontro col critico e scrittore Giuseppe Ghigi, venerdì prossimo in Cineteca, che per spiegare il nostro Risorgimento scomoda Paul Ginsborg: "Gli italiani amano denigrarsi, quindi è difficile pensare ad un cinema auto assolutorio e di largo respiro come il western americano". di Paola Ugo

''Il tempo che verrà, cinema e Risorgimento''In occasione della manifestazione “Libri e cinema”, organizzata dalla Cineteca sarda della Società Umanitaria, il critico Giuseppe Ghigi presenterà il suo libro, “Il tempo che verrà, cinema e Risorgimento”. L’appuntamento è per venerdì 29 aprile alle ore 19 in viale Trieste 118 a Cagliari. Nel corso della presentazione verranno proiettati alcuni filmati meno noti della produzione risorgimentale, tra questi “Il piccolo garibaldino” e “Anita” di Caserini, “La lunga calza verde”, corto di animazione di Roberto Gavioli su soggetto di Zavattini, e infine “L’ eroe dei due mondi” di Guido Manuli.
Giuseppe Ghigi, di formazione filosofica, collabora come critico cinematografico per quotidiani nazionali e riviste specializzate. È autore di saggi sul cinema italiano e di monografie di registi e attori. Ha insegnato all’Università di Ca’ Foscari di Venezia “Storia del cinema italiano” e “Didattica del cinema e della televisione”. Ha realizzato rassegne, mostre fotografiche, retrospettive cinematografiche ed è membro di comitati scientifici di festival internazionali. Collabora con la Mostra del cinema di Venezia per l’organizzazione della “Settimana Internazionale della critica”. Tra le sue ultime pubblicazioni: “Dizionario dei veneziani del cinema”, edito nel 2010 da Marsilio-Regione del Veneto, “La memoria inquieta. Cinema e resistenza”, edito nel 2009 da Cafoscarina.

''Il tempo che verrà, cinema e Risorgimento''La prefazione del suo libro si intitola con questa domanda: “Il Risorgimento al cinema è storia del Risorgimento?”. È un po’ come partire dalla fine.
La domanda si potrebbe paradossalmente capovolgere: “La storia del Risorgimento è la storia del cinema risorgimentale?”. E qui la risposta sarebbe forse più positiva, nel senso che certe concezioni della Storia si ritrovano nella ‘storia’ del lungo cammino del cinema risorgimentale. È comunque una domanda retorica e metodologica perché la Storia è scritta dagli storici, mentre i registi narrano il passato inferendovi la propria ‘enciclopedia’ personale, frutto di svariati lemmi e senza preoccuparsi dei documenti o di dover giustificare le proprie concezioni sul passato con i materiali che di solito uno storico deve usare. Il cinema narra, e narrando contribuisce a sua volta a costruire nuove enciclopedie di massa, spesso molto lontane dalla verità storica.
Quanto è ricca la produzione cinematografica risorgimentale?
Se per ricca intendiamo la quantità, allora si tratta di 130 film girati tra il 1905 e il 2010. Se invece la intendiamo come qualità il giudizio è più complesso. Ogni film risorgimentale è ‘ricco’ d’informazioni sulle concezioni del tempo in cui è stato girato. Dal punto di vista meramente estetico sono davvero pochi i film che resistono al tempo.

Il cinema è riuscito a far vedere qualcosa del Risorgimento che i manuali scolastici non hanno saputo raccontare?
I manuali scolastici sono la principale fonte dell'enciclopedia storica dei registi (e della maggior parte degli spettatori), a cui forse si aggiungono letture personali, monumentalistica, mitologia, ecc… Gli storici hanno scritto, documentato, analizzato con molta attenzione il Risorgimento e a loro è difficile imputare l’ignoranza dei fatti che la grande platea dei cittadini italiani ha nei confronti della propria storia. I manuali scolastici riflettono poi le posizioni storiografiche del momento (basti pensare ai manuali della scuola fascista) e omettono o amplificano secondo vari input. I film non aggiungono nulla: raccontano una visione della Storia che domina a livello di massa o che si vuole domini, e a volte, come già detto, contribuiscono a modificarla. In casi particolari riescono a diffondere determinate concezioni storiografiche poco diffuse manualisticamente, a far conoscere fatti che i manuali riportano sbrigativamente, ma che gli storici hanno già abbondantemente analizzato.

''Il dottor Antonio''Sembra che tutte le opere citate nel libro ci parlino più del tempo in cui sono state realizzate che dell’epoca risorgimentale, magari in modo anche strumentale. È così, ed è ugualmente vero per tutte?
Ribadisco che se già la Storia è una forma di narrazione, il cinema è la narrazione di una narrazione. È un racconto che fa riferimento a una molteplicità di fonti coeve e non all’autore. Ogni documento dell’uomo va collocato nel suo tempo e ci offre una finestra per capire il tempo in cui è prodotto. Certo, i film storici narrano un passato e per forza di cose ci offrono una visione del passato; ma è solo una visione, una concezione, una memoria: parlano al tempo presente usando il passato remoto. Tutti i film storici, sia che se ne faccia uso strumentale o meno, sia che siano d’autore o semplici frutto di pratiche produttive commerciali, sono interessanti per capire il presente in cui sono realizzati. E’ ovvio che ricostruire con criteri scientifici ciò che è accaduto nella società umana sia compito di altre discipline (la Storia, l’Archeologia, ecc.) che tuttavia non sono a loro volta esenti dall’essere figlie del liquide amniotico in cui vivono. Lasciamo al cinema la sua dimensione, che è altra, e accogliamo i film come quadri dei quali rivelare il fuori campo è pratica significante: è pratica storica.

''Allonsanfan'' dei fratelli TavianiLei racconta di un paradigma narrativo, visivo e interpretativo che ha trasformato il Risorgimento da complesso processo di unificazione nazionale in lotta di liberazione. Si è compiuta così una strumentale opera di rimozione. Quali sono le ragioni?
Trasformare il Risorgimento, e così la Resistenza, in semplice lotta di liberazione nazionale dall’odiato straniero, seppure con motivazioni diverse ha la stessa funzione: eliminare le contraddizioni politiche e costruire un processo storico che non ha altre ragion d’essere (la libertà, i diritti, l’eguaglianza sociale, una nuova forma istituzionale). I liberali risorgimentali e i partigiani non combattevano solo per liberare il proprio Paese dallo straniero, ma per costruire un nuovo Paese. Il cinema ha costruito un paradigma dei fatti che fosse accettato da tutti (chi vuole che il proprio Paese sia sotto dominio straniero?) e così ha riportato nei film le mitizzazioni dei processi storici.

''Il tempo che verrà, cinema e Risorgimento''Nel libro dedica molto spazio al cinema risorgimentale di epoca fascista, un periodo storico in cui era molto difficile poter uscire dalle gabbie della propaganda.
I film risorgimentali del periodo fascista sono una fonte preziosa per capire quale concezione della Storia risorgimentale il regime voleva costruire e molti storici cominciano seriamente ad usarli come documenti. Le gabbie non sono solo quelle imposte da qualche regime (e i regimi sono specialisti in questo), ma sono anche le “gabbie mentali” che ognuno di noi ha: come le memorie personali, le proprie concezioni del mondo, le storiografie che in un determinato momento sono dominanti, ecc. E poi vi sono le “gabbie” produttive e quelle del pubblico a cui ci si rivolge. Analizzare queste intersezioni rivelandole evita di guardare al film come a un assoluto che vive solitario come in una bolla.

''Senso''Analizzando “Senso” lei scrive che il film fu accusato di infangare la storia risorgimentale e descrive un’opera dove certo non appare un Risorgimento glorioso. Il nostro processo di unificazione, al contrario di quello americano, sembra non aver trovato una sua rappresentazione epica.
Come sostiene Paul Ginsborg, gli italiani amano denigrarsi e quindi è difficile pensare ad un cinema epico-storico del Risorgimento di largo respiro e autoassolutorio come il western americano classico. Il che non significa tuttavia che non si sia tentato di costruire un epos. Con difficoltà e molte contraddizioni il cinema ha usato il Risorgimento lasciandoci purtroppo solo le trine della contessa Serpieri e i tragicomici eroi di Martone.

Lei è fra gli organizzatori di un articolato progetto della Provincia di Venezia (1861–2011, L’Italia festeggia I 150 anni di unità - 150 anni: l’eredità risorgimentale nell’Italia post-unitaria) che ha coinvolto moltissime scuole. È stato anche predisposto un questionario rivolto a docenti e studenti sulla percezione, la conoscenza e la frequentazione dei temi risorgimentali. Il progetto è partito nel 2010 e credo vada avanti per tutto il 2011, comprendendo proiezioni, mostre, incontri. Può anticiparci il risultato di questa indagine preparatoria?
I 1200 questionari rivolti a studenti delle superiori e delle medie hanno evidenziato ciò che già si sapeva: conoscenza scarsa dei fatti, miti senza corpo storico, ma anche (e questo è un dato curioso in una Provincia con forte presenza leghista) difesa dell’Unità nazionale come valore. Inutile però che gli insegnanti insegnino valori diversi del processo risorgimentale se poi la memorabile lezione di Benigni smonta in un sol colpo una didattica.

''Senso''È difficile salvarsi dalla retorica nell’anno delle commemorazioni… non trova che in realtà la storia risorgimentale sembra quasi che non ci riguardi? Forse è per questo che il cinema Risorgimentale non è più stato finanziato, “Noi credevamo” arriva dopo un lunghissimo intervallo.
Il Risorgimento è stato subito odiato dagli stessi che l’avevano fatto, odiato dalla Chiesa, mal sopportato dal fascismo, criticato da Gramsci e dalla sinistra (anche se poi ognuno metteva il faccione garibaldino sulle proprie bandiere…), odiato dai neosecessionisti padani e borbonici. Chi lo ha difeso veramente senza mitizzazioni? Pochi, solitari, intellettuali. Detto questo, è ovvio che la retorica su un evento così poco amato non funzioni.

Lei è veneziano: come si vive nella sua città e nel Nord-Est questo anniversario?
Conosco solo quello che accade a Venezia che è infiorata di bandiere tricolori ovunque. Non è amor patrio, credo, ma insofferenza nei confronti dei secessionisti padani.
 
20 aprile 2011
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