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"The tree of life" di Terrence Malick

Il consiglio di Elisabetta Randaccio
 
''The tree of life'' locandinaLe recenti teorie fisiche che hanno aperto orizzonti complessi e straordinari nel campo della cosmologia, hanno messo in evidenza la debolezza dei concetti classici di spazio e tempo. Quest’ultimo, categoria fondante, ritmo non flessibile della nostra quotidianità, è, ormai, considerato attraverso modelli applicabili ai “multiversi”, per cui si dissolve e ci pone davanti a riflessioni filosofiche decisamente innovative.
Su queste particolari chiavi di lettura del senso fisico e filosofico della vita, Terrence Malick, regista autore, in quarant’anni, di quattro capolavori, ha realizzato “The tree of life”, fresco vincitore della Palma d’oro al Festival di Cannes. Si tratta di un film estremamente affascinante; impossibile uscire dalla sua visione senza riflettere su uno dei vari temi che lo attraversano, senza essere stato travolto dalle immagini straordinarie e coinvolgenti, senza essere commosso almeno dalla parte “narrativa”, saggio universale sul rapporto tra padre e figlio. Tale dinamica psicologica e “naturale” è l’elemento che dà origine alle associazioni onirico-mnemoniche-filosofiche presenti nell’opera, rendendo “elastico” il senso del tempo.

''The tree of life''Così il fiume, che scorre accanto alla cittadina di Waco, Texas (peraltro la stessa dove è nato e ha trascorso l’infanzia e l’adolescenza Malick), con le sue acque placide e trasparenti (l’acqua come elemento materno ritorna in tutto il film), dove i fratelli O’Brien compiono esplorazioni  e giochi, è la medesima in cui, nell’alba dell’uomo, un’altra coppia di esseri viventi si è scontrata: il grande dinosauro ha attaccato il piccolo rettile, ma poi non ha infierito, lasciandolo a future evoluzioni della specie.  In questo modo, il canyon, ferita geologica delle origini, anch’essa evocante la “madre”, conserva voci, tracce mnestiche di chi lo ha “attraversato”.  Dio, a cui i protagonisti si rivolgono nei loro pensieri intimi con fede infantile , con dolore e con rancore, si identifica in un occhio naturale che, attraverso la macchina da presa utilizzata in tutte le declinazioni della grammatica cinematografica, “spia” da vicino o dall’alto i protagonisti. Dunque, la figura “paterna” divina coincide con quella del regista, con la sua memoria che si fa immagini.

''The tree of life''La metafora della paternità prosegue nel personaggio del genitore di Jack, il bambino simbolo degli anni cinquanta alle prese con un’educazione severa, rigida, ipocrita da cui verrà, probabilmente, una ribellione assoluta negli anni sessanta, appena accennata da un’adolescenza sofferta. Il Padre (lo interpreta un Brad Pitt convincente in un ruolo difficile e lontano dall’empatia) è potatore di un sogno americano dai piedi d’argilla. Come il protagonista dei testi di Steinbeck, ma pure delle opere teatrali di Arthur Miller, è un uomo destinato a indebolirsi, a perdere tutto (il lavoro e, in seguito, pure uno dei tre figli),  a resettare le sue convinzioni e le sue certezze. Per questo, il rancore del piccolo Jack si trasformerà in comprensione quando, adulto, persi da tempo i genitori cristallizzati nella mente in aspetto giovanile, cercherà di ritrovarli nella memoria e nella natura, nella luce riflessa dai grattaceli della città dove lavora (anch’essi “alberi” di una delle tante trasformazioni operate dall’uomo sul suo mondo).

''The tree of life''Riverente a Kubrick, a cui si allinea nell’idea della circolarità temporale, ma diverso nel senso filosofico, allo stesso modo dell’autore di “2001 odissea dello spazio”, utilizza la musica classica come elemento fondamentale nel film. Ma se in Kubrick la decontestualizzazione della colonna sonora aveva una funzione straniante così potente da diventare epica, in Malick ha un percorso variato: da commento a parte integrante della storia. Il padre di Jack, infatti, è un pianista frustrato perché non ha potuto realizzare il suo sogno artistico e impone le sonate dei grandi autori come parte di sé, insopportabile ai figli, costretti a mangiare in silenzio, mentre il giradischi diffonde le note di musiche immortali o a girare gli spartiti, quando il padre è intento a suonare (il genitore racconterà con dolore, alla notizia della morte di uno dei figli come è arrivato a dargli un pugno per aver esitato a voltare una pagina. “Povero bambino”, commenterà).
 
''The tree of life''In questa maniera, la colonna sonora diventa parte sostanziale della traccia dei ricordi, della esistenza, della nascita del mondo.
Per comporre la sua personale sinfonia cinematografica , Malick si è servito della splendida fotografia di Emmanuel Lubezki (già nel cast tecnico di “New world”, 2005), ma ha pure diretto in maniera perfetta gli interpreti, su tutti l’adolescente Hunter McCraken, abile in pochi sguardi a mostrare il passaggio da un’infanzia ricca di illusioni ai turbamenti  e al crollo delle certezze dell’adolescenza incalzante, capace  di commuovere chi, nel suo sguardo, vede riemergere l’intrico di dolore pagato per arrivare all’età adulta.
 
La recensione precedente: "Gangor" di Italo Spinelli
25 maggio 2011
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