Percorso

Viaggio nella resistenza delle donne

Nuovo, efficace saggio della Cardone alle prese col cinema e l'universo femminile. La figura di Zavattini e il suo film mai girato sulle italiane dell'epoca: i preziosi carteggi ritrovati nell'archivio del grande intellettuale. di Elisabetta Randaccio

Lucia CardoneIl libro  “Noi donne e il cinema. Dalle illusioni a Zavattini (1944-1954)” di Lucia Cardone, docente di Storia e critica del cinema alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Sassari, è stato presentato mercoledì 19 maggio, a Cagliari, al Centro di Documentazione e Studi delle Donne, introdotto da due interessanti interventi di Annalisa Diaz e Pia Brancadori.

E’ un saggio, ma lo si legge, grazie anche alle capacità stilistiche dell’autrice, con notevole coinvolgimento; più che un contributo per esperti, è un viaggio nel tempo appassionante alla riscoperta di una generazione di donne capaci di resistere agli orrori della guerra, di combattere e di sacrificarsi per un mondo migliore. Semmai l’ipocrisia di una morale tendente a strangolare le necessità psicologiche e culturali femminili, supportata, paradossalmente, sia a destra che a sinistra, rallentò il cammino dell’emancipazione, ma non la volontà e l’illusione di poter pretendere una società diversa, con reali pari opportunità.

La rivista Lucia Cardone, già autrice di testi di analisi di media paraletterari come, per esempio, il fotoromanzo, ci racconta la storia delle donne del secondo dopoguerra, quelle che (come recitava la prima efficace copertina di “Noi donne”, all’indomani della liberazione) affermavano: “lasciato il fucile, ricostruiremo le nostre famiglie”. Un passaggio sociale delicato, già orientante sia il contenuto del giornale, sia le contraddizioni in cui si ritrovarono le italiane, concluso il conflitto: con la possibilità di votare e, dunque, partecipare alla vita politica del paese e, allo stesso tempo, congelate in un modello sociale che non evitava la risaputa collocazione di madre di famiglia esemplare. Come nel passato lontano e prossimo, con la stessa retorica e gli stessi obiettivi. “Noi donne” aveva una straordinaria ambizione: l’educazione alla partecipazione attiva al sociale, al politico, al culturale, coniugando temi e argomenti da rotocalco popolare, accattivanti per la lettrice, che sicuramente, trovava gradevolezza e curiosità per il giornale.

Roberto RosselliniE il cinema? La Cardone afferma come quest’ultimo, all’interno della rivista, offra “molteplici spunti di riflessione e di analisi culturale e politica e, tuttavia il discorso critico è attraversato da piacere del racconto, e lascia aperte le porte del sogno.” Dapprima compaiono recensioni un po’ manichee, le quali, comunque, tendono a orientare la spettatrice a un gusto estetico e contenutistico non banale. Il neorealismo viene supportato e si invitano le donne a vedere “Paisà” di Rossellini, a fare “un sacrificio ed andarci”. Nessun sforzo, invece, per “Riso amaro” di Giuseppe De Santis: il mitico film è presente nelle pagine di “Noi donne” già durante la sua lavorazione con abbondanti foto di scena e commenti vari. E non poteva non essere un successo anche tra il pubblico femminile una pellicola girata con grande raffinatezza, dalla storia orientata, contemporaneamente, alla denuncia della drammatica situazione lavorativa delle mondine (un terribile mestiere tutto al femminile), alla descrizione di vicende sentimentali complesse, ricche di elementi tipici proprio della narrativa popolare che, dal romanzo d’appendice, arriva sino ai fotoromanzi.

Cesare ZavattiniIl sogno di molte ragazze degli anni cinquanta è quello di ridurre le continue ristrettezze ed entrare trionfalmente nel mondo del cinema. Un desiderio diffuso, osteggiato da riviste femminili di tendenze differenti e opposte. Ma, dice, la Cardone, “sebbene da una diversa prospettiva, la messa in guardia dai pericolosi sogni del cinema si lega alla tradizionale pedagogia rosa, che invita le fanciulle a tenere ben saldi i piedi in terra, a cercare la felicità nella loro vita quotidiana”.  Sembra, però, che la passione per il grande schermo stesse diventando un’esigenza assai potente. Lo dimostra il boom degli spettatori nelle sale, in quegli anni. “Noi donne”, a questo punto, scrive l’autrice del libro, “trova un punto di equilibrio perfetto fra evasione romanzesca ed educazione politica, piegando ai fini scopertamente pedagogici il fascino delle immagini, dei corpi, dei divi, le attese suscitate dal fluire del racconto, in una parola: il cinema.”

''Siamo donne''Nel 1954, il giornale incontra Zavattini. L’intellettuale, tra i più importanti del novecento italiano, eclettico, geniale, energico, è nel suo momento di popolarità assoluta come animatore del neorealismo e sceneggiatore di punta del nuovo cinema italiano. I suoi progetti sono inarrestabili e, dopo aver dato vita a un film a episodi dedicato alle attrici (“Siamo donne”, 1953, di cui la Cardone ha mostrato, durante la presentazione del suo libro, una breve divertente sequenza), riscoprendo le loro caratteristiche nascoste, pensa di invitare le affezionate di “Noi donne” a collaborare alla ideazione di un nuovo lungometraggio, sempre dedicato alle italiane dell’epoca  - in questo caso non le dive, ma le ragazze comuni - con il  loro contributo: dovranno spedire le loro storie in lettere semplici, ma dal contenuto interessante. Le lettrici  scrivono allo sceneggiatore, alcune nella loro grafia elementare, altre inviando un breve dattiloscritto. Lucia Cardone ha ritrovato questo straordinario materiale nell’archivio Zavattini e leggere quelle microstorie pubblicate nel suo libro, ci offre elementi di comprensione della realtà femminile del dopoguerra, meglio che qualsiasi approfondimento specialistico.

Il film auspicato dallo sceneggiatore di “Ladri di biciclette” non lo si realizzerà mai, come tanti altri suoi progetti. La Cardone, però, ha una sua riflessione sul senso di questo episodio di particolare scambio tra le lettrici di “Noi donne”, diventate da spettatrici a creatrici e l’uomo che rappresentava il cinema italiano più innovativo: “Nella sua incompiutezza, 'Parlate di voi a Zavattini' rappresenta la pratica di una progettualità che trova in sé le ragioni d’essere e che non ha bisogno di alcuna conferma e neppure dell’opera finita… E’ un cerchio che non si chiude, ma che lascia intere le potenzialità di un racconto comunitario delle donne, un racconto soltanto immaginato, ma non per questo meno vero”.  

25 maggio 2011
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