Percorso

Il paese dei balocchi di Gerolama

Vive nelle campagne di Sassari ma ha truccato gli attori più grandi, Antonio Banderas compreso. Intervista alla Sale che della sua professione svela: "Ogni volta che si ritorna sul set occorre imparare tutto da capo". di A.B.

Gerolama SaleIn principio fu Ettore Scola: proprio sul set de “Il viaggio di Capitan Fracassa” con Massimo Troisi nei panni di Pulcinella avvenne l'incontro di Maria Gerolama Sale – professione Hair Stylist e Make-up Artist – da Banari con il cinema.

Correva l'anno 1990 e la futura stilista e truccatrice (per il grande schermo) di dive come Valeria Golino e Isabella Ferrari - un diploma da maestra nel cassetto, poi un corso regionale per parrucchieri e due anni di perfezionamento a Londra - decise così di dare una svolta alla propria carriera. Galeotto fu il negozio aperto in un quartiere romano in un momento molto particolare della sua esistenza (costretta a fare i conti, ma anche a rompere con il passato).
 
Dunque non aveva studiato per tutta la vita sognando di fare cinema?

Fu un caso. Atterrai a Roma – dovevo sottopormi a una serie di esami che sarebbero durati più di qualche mese - e  comprai un negozio scalcinato in un posto che somigliava ad una specie di comune, ma in un borgo medioevale straordinario. E scelsi di rivolgermi praticando una politica di prezzi elevati ad una clientela selezionatissima: una contraddizione in termini, anche un rischio, ma funzionò. E un giorno tra le mie clienti apparve una signora raffinata ed elegantissima, moglie di Tony Brandt, storico aiuto di registi come Coppola e Scorsese, che mi chiese se avessi mai pensato a fare cinema. E mi segnalò alla caporeparto.
 
Troisi PulcinellaE fu “Capitan Fracassa”.
E la scoperta di un universo: nonostante fossi una professionista, con un'attività in proprio – prima a Banari e adesso a Roma, iniziai come volontaria. Era febbraio, e a maggio avevo venduto il negozio per entrare nel mondo zingaro e allo stesso tempo borghesissimo del cinema.
 
Nessun rimpianto per l'insegnamento?
Io avrei voluto fare l'istituto d'arte, mi piaceva l'idea di creare e plasmare materiali, ma per accontentare i miei mi ero iscritta alle magistrali. Avevo fatto anche dei concorsi, ma non mi presero – presero invece le mie cugine e secondo me è stato fatale! Visto che non trovavo lavoro e che amo molto la manualità, un po' forse per sfida – sono la più giovane di quattro fratelli, e nella mia famiglia si è sempre respirato un senso di libertà - decisi di iscrivermi a una scuola professionale. Passai alla grande, e alla fine decisi: io apro. Andò bene, e così a Roma.
 
Finché non incontrò la decima musa.
Mi ritrovai, me lo ricordo ancora, in una sala dove c'erano in ordine le testine con le parrucche e il nome degli attori, ed erano tutti “mostri sacri” (c'erano Troisi e Ciccio Ingrassia, ed Emmanuelle Béart, Ornella Muti, Lauretta Masiero, Remo Girone): una scena davvero “felliniana”!
Per me, abituata a tutt'altri tagli “di vita” fu come calarmi nel “paese dei balocchi”. Era tutto così allucinante e visionario: mi sono innamorata di tutto questo. E ho deciso di continuare.
 
Non semplicissimo..
Ma neppure molto difficile: il problema era che ero molto brava (non lo dico per presunzione, ma non mi piace neppure la falsa modestia...). E se funzioni come assistente, non smetti mai di lavorare. Non è un ambiente che ti accoglie per forza a braccia aperte. Si lavora, e duramente. E non tutti sono gentili. Mi sono ritrovata anche – con il costato sanguinante modello San Sebastiano – a lavorare con i più cattivi del mondo; ma non mi son lasciata intimidire, ho tenuto duro. Ho fatto la mia gavetta. Ed eccomi qui.
 
''Hudson Hawk'', Bruce WillisPassando attraverso film molto diversi..
Dopo il primo film in costume, ho fatto “Cinecittà Cinecittà” di Vincenzo Badolisani e  “Verso sera”, il secondo lungometraggio della Archibugi con Marcello Mastroianni e Sandrine Bonnaire, “La condanna” di Bellocchio von Vittorio Mezzogiorno e “Hudson Hawk” di  Nehman con Bruce Willis e Andie Mc Dowell. Come dicevo non mi sono mai fermata. Nel 1992 ero diventata caporeparto, e dopo “Al lupo al lupo” di Carlo Verdone con Francesca Neri ho fatto sempre con la Neri “¡Dispara!” di Carlos Saura.
 
Con Antonio Banderas...
Un film secondo me non proprio riuscito, ma è stato invece molto interessante girarlo e venire in contatto con un uomo di tale finezza, sentire Carlos che conosceva l'italiano, e riusciva a parlarlo anche in modo forbito – così che io avevo l'obbligo di parlare in italiano. E anche Antonio! Due uomini pazzeschi, due gentiluomini d'altri tempi! Autentici caballeros! Da lì “Lamerica” di Amelio: un'altra avventura allucinante!
 
Com'è l'approccio di una professionista del “trucco e parrucco” approdata sul set?

Bisogna mettersi a studiare, con umiltà, dimenticare tutto quello che hai imparato: e con ogni film è come ricominciare da capo. Devi approfondire, studiare i costumi, i testi dell'epoca, stare attenta ai dettagli, ricordando che per esempio il Seicento inglese è differente dal Seicento spagnolo. Per “Ritratto di signora” di Jane Campion mi misi a studiare su un testo inglese sulle acconciature dell'epoca, un libro molto dettagliato e difficile: al momento di girare in bacheca c'erano le immagini del libro che avevo studiato! Ti approcci con tutta l'umiltà che serve: ogni film è un esame, non esistono filmetti, semmai produzioni indipendenti in cui devi far tutto con meno risorsee allora fai appello alle tue capacità di artigiano e prestigiatore, per ottenere il risultato.
 
''Ritratto di signora''Da Roma, dopo tanti anni di carriera, alla Sardegna?
Entrare nel cinema è stato come entrare in un tempio, scoprire cosa succede dentro Cinecittà è  entrare in un altro mondo, splendido ma dove non tutto è perfetto. Io ho preso le dovute distanze, me ne sono andata via da Roma, prendendomi un anno sabbatico: ero intossicata. Soprattutto adesso che ci son state grosse battute d'arresto del cinema: c'è stata la contaminazione della mancanza del merito. Vedi troppi che senza studiare si mettono a fare gli attori o le attrici: sei carino e c'entri però sei un cane. Sfido chiunque a resistere. Io nella mia carriera ho incontrato bravissimi attori; anche se a dieci non lo so se ci arrivo!
 
Per esempio, ricordando Troisi: com'era?
Adorabile, un'ottima persona. E adorava i papassini sardi e il moscato di sorso, che non mancavo di portargli. Poi era napoletano: una persona molto alla mano, come i veri artisti. Penso anche a uno come Mastroianni: un titano, ma poi capitava di sentire una telefonata con Paolo Panelli, che erano sette minuti di pernacchie, poi si salutavano. Loro si capivano.
 
Lina WertmullerE tra i registi?
Beh, la Wertmüller è pazzesca, è una che sul set ne ha fatto di cotte e di crude. Da scriverci su un libro. Lei è pazzesca, bravissima ma ferrea, inflessibile sul lavoro: mi ricordo che una volta, per una scena di stupro difficilissima ha aggredito un attore, che era lì, impacciato, in imbarazzo, lo ha provocato, urlava “Centro sperimentale del c! “ e “Te la devi scopa'” ma alla fine ha portato a casa la scena. La volta che si è rotto uno specchio... si è dovuto fare tutto un rito.. E a Spinazzola, in Puglia, dove il sindaco aveva tappezzato il paese di manifesti per l'accoglienza e c'erano quelli che guardavano e facevano chiasso e allora lei si gira, piglia il megafono e “Paese di Spinazzola, vedete di andarvene tutti...!” E' una donna molto forte e molto benvoluta, un'autentica professionista: con lei ho fatto un video per Julian Lennon, c'è un rapporto di stima, spero ricambiata. Sarà perché è una donna intelligente e io ho ho un'adorazione vera per le persone intelligenti. Poi provo una profonda tenerezza verso l'idiozia e la stupidità. Ma m'inchino davanti ad artisti, a persone come Marco Tullio Giordana! O Ennio Fantastichini: un uomo di straordinaria cultura e di grandissimo buongusto: uno dei pochi tra i mammiferi che decidono di intraprendono la carriera attoriale e riescono pienamente. Conservando la loro umanità, come è tipico dei grandi.
 
Fino al cinema made in Sardegna..
Per “Il figlio di Bakunin” mi hanno chiamata quando ancora ero a Roma, la produzione è romana, la Charlot di Tornatore. Poi “Sonetàula”: ricordo la prima telefonata di Salvatore Mereu, ero nella cameretta di mia figlia...
 
Salvatore MereuIl mare fa la differenza?
Si può comunque lavorare abitando qui: certo una volta che decidi di stabilirti a Sassari provi a stringere contatti, un po' metti in giro la voce che ci sei, un po' funziona il passaparola. E provi a contattare la Film commission: insomma entri nel giro.
Insomma, la gente sa che ci sei e ti chiama. Ti dicono che il tuo curriculum è “rassicurante” a favore della tranquillità di chi ti ingaggia: ed è vero, fare un film è qualcosa di estremamente delicato. Però magari, come è successo per  “La leggenda di Kaspar Hauser” la produzione con il fatto che sei sarda, che vivi in Sardegna ti propone due lire stracciate che la metà basta. Non è che siccome stai arrivando da fuori ti si devono fare ponti d'oro, anzi ti corre l'obbligo di attenerti alle regole, di pigliare gente del posto e spendere il 120 per cento sul territorio. Dipende anche da come ti presenti: se mi  fai fai un altro tipo di discorso, perché è una produzione low cost, da 500mila euro – che non è molto ma neppure pochissimo, allora se sposo il progetto, è un'altra questione, entrano altre ragioni. Altrimenti diventa una forma di colonialismo: mai avrei voluto che il mio nome fosse associato a un mercimonio di questo genere. L'unica è non accettare il film. E' chiaro che se ti prendono per fame... Mi è venuto difficile dire di no: anche per il film di Pieraccioni, mi hanno proposto una collaborazione da aggiunta, ma senza viaggio e diaria, né albergo. Cagliari è in Sardegna, come Sassari: ma che vuol dire? Son solo duecento chilometri! E non è solo la distanza: ci sono delle regole, dei contratti nazionali che  vanno rispettati.
 
''Sonetaula''Invece con Mereu?
Venni contattata, lui cercava della gente per girare un film. E mi parve che – lo dico con parole mie – parlassimo lo stesso linguaggio emotivo. Non avevo letto neanche il libro ma feci subito ammenda: è stata un'avventura di 26 settimane, l'unico confronto che mi viene in mente è con “Lamerica” di Amelio, girato quasi tutto in Albania. Non è stato solo un film, ma un'esperienza di vita. Esattamente come “Sonetàula”: mi ha portata, facendomela riscoprire,  nel ventre molle della mia terra. Passavamo dai paesaggi caraibici alle altitudini incaiche: veniva da chiedersi: “Ma dove sono? Questa è la Sardegna?”. E poi l'incontro con un poeta aspro com Salvatore: perché è un poeta meraviglioso con le sue parti spinose. E con personaggi allucinanti come Serafino Spiggia; o “Peppeddu”, come lo chiamano, era stato il bambino di “Banditi a Orgosolo”: l'ultimo dei saggi.
 
Da “Sonetàula” a “Bellas Mariposas”?
Con Salvatore ci siamo molto stimati: mi ha rivoluto in questo nuovo progetto e mi sento molto onorata. Siamo ancora nella fase di preparazione, della scelta degli attori: oltre alle due adolescenti, sono molto curiosa di incontrare la “coga” di Salvatore, la sua interpretazione di questa figura mitologica che cala sulla terra e risolve le grane. Ma è troppo presto per parlarne: per me il film non è iniziato finché non è stato il primo ciak sulla faccia dell'attore.
 
Al lavoroComunque resterà in Sardegna?
Amo la mia terra, profondamente la amo: ho abbracciato la fede indipendentista. Ho 46 anni, confesso che ho vissuto, come direbbe il poeta, e credo che i tempi siano maturi per un indipendentismo fattivo, che viaggia a ritmi di internet e parla l'inglese.
Tutto quello che si continua a vedere e perpetuare, è la cattiva gestione di una pessima madre: è ora che i figli alzino la testa con dignità, non con la violenza, non con la violenza, ripeto, non con la violenza. Per riprendere la loro identità: quello che è fatto è fatto, pensiamo a quello che è da fare, che richiede che si tenga conto della qualità di questa terra. E penso anche alla realtà cinemtografica sarda: se hai cara la sorte della tua terra devi giocare al rilancio, al miglioramento in questo campo. Sostenere un vivaio, anziché ignorarlo, e mettere a marciare questo settore. Creare degli studios a Cagliari, perché no? Puntare al rilancio, al benessere attraverso la cultura. Attrarre le produzioni, cinematografiche e televisive: con una serie tv, tiri avanti nove mesi. Sfami 45-50 famiglie, crei lavoro.
 
A proposito di set sull'Isola: e “Hut 13"?
E' una storia pazzesca: una serie pensata per le televisioni americane, girata in Ogliastra. Perché  Antonella Ibba, supermanager della televisione, è di origini sarde e ha pensato di trasferire il progetto in Sardegna. Abbiamo girato tra la Fiera e il bosco di Santa Barbara. A volte basta poco. Basterebbe pensarci.
 
Quindi Sassari for ever?

Sicuramente qui, in campagna, tra i miei cani, con la mia mandorlessa, le lucciole come puntine di stelle che brillano ogni sera ho trovato la mia pace.

22 giugno 2011

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