Percorso

Sul set di Tetti pensando a Rocky

"Il mio film è stato un salto nel buio, una scoperta, una grande avventura. Mi sembrava di leggere nei pensieri dei miei protagonisti. Li ho pedinati, seguiti, fiutati. "Un passo dietro l'altro" è il risultato. di Salvatore Pinna
 
La serata cagliaritana, organizzata dall’Umanitaria“Un passo dietro l’altro” di Gianni Tetti dopo la prima a Nuoro, in occasione del Sieff 2010, e le recenti presentazioni di Porto Torres e Olmedo è approdato in città il 22 giungo scorso. Nella serata cagliaritana, organizzata dall’Umanitaria con la collaborazione di ABC Associazione Bambini Cerebrolesi Sardegna, il pubblico ha potuto rendersi conto di quanto sia importante il cinema documentario per la sua capacità di mettere a fuoco temi pregnanti della vita sociale, ma anche di come tali temi assumono una loro forte carica comunicativa quando sono sorretti da una chiara idea di cinema. Del film, di cui Cinemecum si è occupato alcune settimane fa, abbiamo parlato col giovane regista e scrittore sassarese.

La serata cagliaritana, organizzata dall’UmanitariaCome è nato il progetto di “Un passo dietro l’altro”?
È nato due anni fa quando casualmente sono venuto a sapere delle attività del Progetto Filippide, che lavora con ragazzi autistici e x-fragile. Fino a quel momento, dell’autismo non sapevo nulla, e tanto meno sapevo del ritardo mentale. È stata quindi una vera e propria scoperta, un salto nel buio non solo mio ma anche e soprattutto dei genitori dei ragazzi e dei ragazzi stessi.

Il documentario sfugge alle definizioni di genere. Esula dai canoni dei film sull’handicap, può essere letto come un film sullo sport, ma anche sull’amicizia e sulla comunicazione.
La cosa che mi ha affascinato di più è il rapporto bellissimo, simbiotico, che esisteva tra i ragazzi e gli operatori. Ho capito immediatamente che non potevo soffermarmi esclusivamente sul fatto che questi ragazzi facessero dello sport, ma che invece dovevo utilizzare la chiave dell’attività sportiva per raccontare i ragazzi stessi, la loro quotidianità, le loro famiglie, tra problemi che sembrano insormontabili e piccole gioie quotidiane. Lo sport mi ha però permesso di disegnare una parabola di crescita dei ragazzi che, come accade in molti film sullo sport, partono da un campetto sterrato e arrivano a disputare una gara nazionale con tanto di trasferta in aereo, e questo rende ancora più avvincente la trama del documentario.

''Un passo dietro l'altro''Durante la presentazione ha detto che la fonte ispirativa del film è stato Rocky di Silvester Stallone.
Ho seguito tantissimo i ragazzi nell’arco di quasi due anni, poi man mano che mi appassionavo alla storia ho incominciato a costruire una mia storia. Il materiale me lo davano tutto loro, era tutto dentro un secchio e bisognava toglierlo. Avendo studiato sceneggiatura ero fissato con i tre atti. Bisognava trovare qualcosa che concatenasse gli eventi: il fatto di dover andare a Siracusa, le difficoltà, la conclusione… Un giorno su Raitre hanno dato Rocky, lo conoscevo già bene, e a me sono bastati solo i titoli iniziali e ho detto “ecco, Rocky Balboa, ragazzi noi qua dobbiamo fare Rocky”. Io li seguivo pensando a Rocky che poi a un certo punto Apollo Creed lo sconfigge, poi lui ritorna, vince, urla “Adriana!”. A differenza di Rocky che è un’americanata terrificante io non volevo che ci fosse il tagliare un traguardo, la vittoria, ma che il traguardo fondamentalmente fosse essere là, già alla partenza. Noi non vediamo la gara nel film perché una volta che siamo partiti quello che ci interessa sono le emozioni. E siccome avevo delle forti emozioni in mano perché le loro emozioni erano vere ho detto “che bisogno ho di far vedere la gara?”. La faccio raccontare a loro la gara. Come siete arrivati al traguardo, che cosa avete provato.

''Un passo dietro l'altro''Come è stato possibile afferrare la scena cruciale dell’addetto all’organizzazione di Siracusa che stava per far fallire la gara di Paolo e quindi il lavoro di due anni del ragazzo e del suo operatore?
Una delle ragioni che mi ha convinto assolutamente che questo film era da fare è il fatto che in tre o quattro occasioni ho trovato scene e momenti che volevo, sognavo, che succedessero. Mi ero fatto l’idea malata che i protagonisti del film mi stessero leggendo nel pensiero. La realtà è che io li conoscevo talmente bene perché ho fatto un vero e proprio pedinamento che è durato un anno e mezzo di riprese, tutti i giorni per ore e ore e ore. In quella gara dove c’è stato l’episodio di Massimo e Paolo, quando Paolo viene fermato, io sapevo che in quel punto sarebbero passati e quindi io facevo la posta perché volevo semplicemente vedere Massimo e Paolo che passano e che vanno verso l’orizzonte. Qui c’è stato questo signore e stavamo parlando di quanto era bella la gara e poi quando ha visto Paolo ha detto “ferma, ferma!”. Secondo lui la gara del ragazzo era finita lì mentre invece Massimo e Paolo la gara la volevano fare tutta. C’è stato un attimo di panico e ho voluto riprendere tutto con la telecamera.

''Un passo dietro l'altro''La telecamera è sempre dentro e vicino, è molto mobile e reattiva.
Volevo che la telecamera non stesse mai ferma. Ho usato poco il cavalletto e spesso la camera a mano, non tanto o non solo per ragioni pratiche, ma soprattutto perché volevo che il movimento di camera richiamasse sempre la realtà, il ritmo della corsa, il movimento dei personaggi. Il mio desiderio era che lo spettatore si sentisse sempre all’interno di qualcosa di molto vicino e molto reale, per questo ho cercato, oltre al movimento, anche un'immagine sporca, che avesse al suo interno molti elementi con i quali i protagonisti interagiscono, e che fosse imperfetta. Volevo creare un punto di contatto tra i protagonisti del film e lo spettatore e per fare in modo di mandare questo messaggio: quello che state guardando è dannatamente vero.
29 giugno 2011
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