Percorso

Clarita e la passione per l'Isola

Intervista con la regista genovese che a Monteleone ha aperto uno studio di post-produzione e che lavora al doc “Parlano Le Pietre” 75 minuti che "intendono rieducare allo sguardo e riaccomunare la civiltà sarda alla storia del pianeta". di Salvatore Pinna

Clarita Di GiovanniIl pubblico sardo ha avuto modo di apprezzarla con “Sardegna andata e ritorno” (2007) il bel reportage in 25 puntate in cui cento sardi “itineranti” raccontano il loro rapporto con la Sardegna e il loro  modo di declinare l’identità nella contemporaneità.

A questa sorta di biografia collettiva è seguita “Ansia d’infinito” (2009) dedicata a Maria Lai. L’artista di Ulassai, una delle più importanti della seconda metà del Novecento italiano, è protagonista di un racconto che è artistico e morale insieme. Clarita Di Giovanni riesce a far entrare lo spettatore proprio dentro l’anima dell’artista, dentro quel meccanismo segreto che guida il creatore nella sua imprevedibile avventura. Lo fa grazie alla grande maestria visiva e grazie alla capacità di “prender parte” alle vicende umane e sociali che descrive.

Monteleone RoccadoriaLa sua capacità di partecipazione l’ha fatta emozionare per “il colpo d’ala” dei sardi che le pareva intravedere nella breve stagione di Soru e che comunque non le ha fatto perdere la convinzione che la Sardegna sia un posto dove “si respira meglio” anche da punto di vista creativo. Forse è per questo motivo che insieme a Stefano Gramitto Ricci, sound designer, compositore e direttore della fotografia, “complice” delle originali soluzioni digitali del film su Maria Lai, ha deciso di aprire uno studio di post-produzione a Monteleone Roccadoria. Proprio da questo iniziamo la conversazione con la regista genovese.

SGR studio, Monteleone RoccadoriaCome mai hai deciso di aprire uno studio di post produzione in Sardegna? Non ci si sente tagliati fuori a lavorare in un’isola?
Lo studio è un avamposto. Non un arroccamento. Sarebbe ridicolo e autolesionista scegliere un luogo per “essere tagliati fuori”!  Gli inglesi, gli americani, canadesi, chi é stato abituato culturalmente a lavorare nel mondo, lo intuisce subito, e i sardi lo capiranno, alcuni lo hanno già capito.  Partendo da casa a Roma, arrivo allo studio in due ore. Spesso si impiega più tempo per andare a Cinecittà. Si lavora in rete, la comunicazione non è più un problema, si è presenti virtualmente ovunque col web. La tecnologia ha cambiato le distanze del mondo. La post-produzione poi, è una fase di elaborazione che ha bisogno di concentrazione, silenzi. E’ un luogo ideale in tal senso, raggiungibile ormai in un batter d’occhio. Quello che importa oggi non è il luogo fisico, ma è la qualità professionale del servizio che fa spostare gli addetti ai lavori (vedi Peter Gabriel ad Arzachena) . L’isola per me è il contrario di “isolamento”. Se fosse così ne fuggirei. E’ invece luogo di connessione con ciò che mi interessa, punto di osservazione privilegiato, cosmico, planetario, selettivo e di grande potenziale energetico. Si va e si viene…

Provini ''La Notte di Trotsky''A quali progetti sta lavorando attualmente?
In questo momento sto lavorando alla realizzazione di 3 progetti. “La Notte di Trotsky”, è un lungometraggio di finzione. Conto di realizzarlo il prima possibile, cercando di evitare le attese estenuanti che fanno giacere i progetti per anni. L’ho concepito come un film di genere, un “noir-espressionista” dei nostri giorni. L’ambizione esplicita è quella di sfidare la limitazione del “low budget” realizzando un film con uno stile e un profilo riconoscibile che consenta anche buone risultati nel mercato, non solo ai festival e non solo in Italia. Questo film vuole rappresentare un tentativo di  transizione tra quel cinema finanziato in virtù dell’incasso- per lo più di commedia- e  il cinema d’autore  cui rimangono  le esigue rimanenze, e quindi costretto, più che vocato, a storie  sociali di spessore minimo e spesso (non sempre) senza stile, con sciatte ambientazioni e prive di  un impianto drammaturgico e linguistico apprezzabile fuori confine.
Nella pagina http://produzionisgr.blogspot.com/ tra gli altri, si può vedere un trailer di un documentario su Giorgio Morandi.

''I Paesaggi li Amavo di Più''Ancora un film d’arte.
È uno degli altri due progetti in corso. Su Morandi ho già realizzato un lavoro tra il 2010 e il 2011 dal titolo “I Paesaggi li Amavo di Più”. E’ stato presentato e proiettato nei  mesi della mostra "Morandi l’essenza del paesaggio" alla Fondazione Ferrero, e nonostante la specificità del lavoro ha avuto un esito di pubblico e di interesse molto alto e inaspettato. Ci è stato chiesto un nuovo documentario più lungo e completo su tutto il lavoro dell’artista e lo stiamo preparando. Verrà presentato nel marzo 2012, la produzione sarà coordinata da un’altra società italiana, ci saranno più coproduzioni e una diffusione televisiva. Il terzo riguarda Carlo Carrà e sarà presentato nell’autunno 2012 ad Alba in occasione di una importante mostra sul pittore. La Fondazione Ferrero svolge un ottimo lavoro sul fronte culturale e di alto profilo etico, e queste mostre sono di grande valore anche perché ideate e curate da un’eccellente studiosa  come Maria Cristina Bandera.

''Shared memories'' (Memorie condivise)A che punto è il progetto “The Same Old Shot” sul rituale dei flussi del turismo di massa a Roma e Venezia?
Il progetto ha cambiato titolo ed è stato varato per le prime rassegne un mese fa con il titolo “Shared memories” (Memorie condivise). È completamente indipendente (S|G|R) e realizzato con nostre attrezzature e mezzi tra Venezia e Roma. Quasi tutto filmato in time-lapse con riprese che ci hanno impegnato a postazioni fisse di ore  per via di questa tecnica che, se utilizzata nel racconto non verbale crea attenzioni ipnotiche nell’indagine spazio-temporale con risultati qualitativamente sorprendenti e straordinari nella percezione di quei contenuti che a noi interessa indagare.  Abbiamo raccolto molto materiale negli ultimi due anni – con riprese in più fasi – e allo stato  abbiamo un montaggio dei primi 20 minuti. Li abbiamo inviati a festival internazionali per un primo test. Un lavoro di difficile destinazione come può comprendere, se si escludono i circuiti del film d’arte contemporanea, cui però non volevamo destinarlo.

Studio RDSi tratta di un progetto strepitoso e complesso che fa pensare a un film come Baraka (1992) di Ron Fricke e, in genere, al videoartista - performer Bill Viola.
Baraka e Koyaanisqatsi sono due indimenticabili cult capiscuola del film non-verbale, stile di cui fa tesoro anche Malick quando in The Tree of  Life  apre nel cuore del film  una riflessione cosmica su un mondo che nasce e muore, in relazione alla “spettacolarità” di una vita qualunque. Nel nostro lavoro i luoghi e i rituali indagati sono quelli dei flussi turistici di  maggior concentrazione umana . Nasce  da una casuale osservazione di Fontana di Trevi e di quella folla dai comportamenti ciclici, ripetuti, nello scatto , nelle pose, la prossemica : milioni di identici sguardi, scatti, gesti, reazioni, che con l’allargamento del turismo di massa, oggi attraversano quasi tutti i continenti, ma con folle che restano apparentemente indistinte.  E a margine, l’affollatissimo mercato dei poveri, degli ambulanti , il cui espediente di sopravvivenza è ugualmente costretto ad un rituale. Sicuramente al lavoro di Bill Viola guardo con grandissimo interesse; alla sua perfezione formale, classica e ipermoderna , la sua galleria di emozioni primarie analizzate al microscopio sulla nostra fisicità, che è solo un transito…  Ma i temi che affrontiamo ambiscono anche ad un altro respiro: hanno a che fare con la delicatezza dei siti, alle scelte di masse pre-indirizzate solo a determinate icone e all’oblio di altre bellezze, e infine dialogano con la sostenibilità di quei flussi in rapporto al pianeta,  che invece ha il respiro sempre più corto, è in totale affanno. Il lavoro di Stefano Gramitto Ricci poi è parte integrante essenziale:  è a tutti gli effetti un co-autore nell’orchestrare la parte compositiva del sound design e delle musiche che  realizza  ad hoc per questi lavori. E la costruzione musicale in Shared Memories guida e modella la narrazione.

''Parlano le pietre''La curiosità più scontata, di cui mi scuserà, è quella di potere vedere un lavoro del genere applicata al turismo sardo.
Certo si può indagare anche  sul turismo di massa sardo, per lo più “spiaggiato” in ogni caso, ma la Sardegna che  vorrei rendere visibile fuori confine e che  percepisco maestosa e unica, è come sa quella neolitica, preistorica. Merita una visibilità globale, non locale, perché finora ha avuto ruoli da comprimaria nella storia delle civiltà nel Mediterraneo.

Ecco che siamo arrivati al progetto del film “Parlano le pietre” che riguarda ancora la Sardegna, più esattamente la sua preistoria. Un progetto imponente.
“Parlano Le Pietre” è un documentario di 75 minuti con un impianto drammaturgico specifico;  è un progetto imponente perché imponente è la preistoria sarda con i suoi siti e la sua integra -e in gran parte “sepolta” - potenzialità di rendere cosmiche e visibili le indagini sul territorio. Far conoscere meglio tutto questo, incrociando gli studi da addetti ai lavori con i ricercatori outsider più interessanti, esattamente come si fa per tutte le civiltà importanti, equivale a restituire alle Pietre Sarde la loro vera collocazione nel pianeta, nient’affatto locale, o svincolata dal resto del mondo! Non sarà un saggio didattico ma un’opera di rieducazione allo sguardo che, anche dal punto di vista della ricerca scientifica aggiornata, riaccomunerà la straordinaria civiltà sarda alla storia del pianeta.

''Ansia d’infinito''L’approccio è esattamente l’opposto di quanti, soprattutto “da fuori”, raccontano la Sardegna come un luogo mitico e fuori dalla storia, e in definitiva anacronistico.
L’approccio ai temi dipende molto dallo sguardo, da “chi” guarda e racconta da fuori. Spesso è proprio lo sguardo esterno che restituisce forma e funzione alle apparenze. E’ stato così sempre, e lo sarà ancora se vogliamo narrare qualcosa del mondo. Il mio amico Franco Laner, che è veneto, dice che se stai seduto sopra un nuraghe, vedi solo un mucchio di pietre. Non ne percepisci più la forma, devi re-imparare a vederlo, meglio se aiutato da occhi competenti altrui. In quanto alla mitizzazione o all’anacronismo, la vedo molto di più in alcune manifestazioni di folclore, maschere che spesso diventano volto, che nei lavori degli “istranzos”, gli stranieri. Ma servono entrambe le cose, quel che conta è la qualità professionale, intellettuale e artistica con cui si narrano i contenuti. Questo è il solo sbarramento.

C’è uno sguardo “interno” che, a suo parere, ha reso meglio forme e apparenze locali con sguardo universale?
Mi è piaciuto molto un film di Mereu, “Sonetaula”, dove la Sardegna è narrata come luogo inameno, di fatica e sofferenza riferito a quegli anni. L’opposto della percezione di un turista, oggi. Ma quel lavoro ha qualità e rigore cinematografico, linguistico, non certo regionale, ha a che fare più con Bresson che con un cinema sardo. E quindi come autore potrebbe confrontarsi con molti altri temi, non certo solo regionali. Ed è ciò che auguro.

13 luglio 2011

Powered by CoalaWeb

Accesso utenti e associazioni