Percorso

Avati e la coerenza dello sguardo

Incontro col regista protagonista a Cagliari assieme al fratello Antonio di una due giorni dedicata. Il racconto di quaranta anni di passioni "Con la netta sensazione di avere vissuto con molta precipitazione  la mia giovinezza". di Anna Brotzu
 

Pupi Avati“Pupi Avati, compositore per immagini”: racconto a più voci su un maestro del cinema nel convegno promosso da L'Alambicco e La Macchina Cinema (con il sostegno della RAS,  dei Comuni di Cagliari e Elmas, sinergie – con la Cineteca Sarda, Cinemecum.it  e il sostegno della Fondazione Banco di Sardegna) domenica mattina al Cinema Odissea di Cagliari a suggellare la retrospettiva dedicata al regista.

Cifra dell'incontro la leggerezza, quasi un implicito omaggio all'artista che ha saputo declinare le diverse sfumature delle emozioni dal dramma ai toni agrodolci della commedia con accenti di verità. A tenere le fila dell'incontro sui vari aspetti della decima musa, - dal rapporto innegabile e ineludibile con la musica alle peculiarità della factory avatiana tra excursus nell'horror, il tempo e la memoria -  la giornalista Chiara Gelato, per restituire il senso unitario di un percorso – dapprima visionario, stavolta affidato alle parole – nella poetica di Pupi Avati.

Pupi Avati e Massimo ZeddaIn un affresco variegato in cui a sottolineare le suggestioni e l' importanza de “L’officina creativo-produttiva degli Avati: quarant’anni di passioni” sono le note di Steve Della Casa: dall'AMA Film (dal ’76, con Gianni Minervini) alla Duea, in un acronimo significativo dei due fratelli Avati, Antonio (il produttore) e Pupi (il regista). Progetto anomalo nel panorama italiano, con uno sguardo attento alla televisione oltre che al cinema d'autore: le molteplici interferenze sul piano artistico, la stretta interazione nelle scelte del cast e non solo – oltre ai diversi riconoscimenti nazionali e internazionali.
 
Pupi Avati a CagliariUna storia quasi da cinema, un'avventura intellettuale e umana che ha portato alla nascita di film diversissimi, spesso opere significative nello sviluppo del cinema italiano: fratellanza ma soprattutto riuscite sinergie professionali, tra gli alti e bassi del mercato, pure un romanzo e la sceneggiatura a quattro mani de “La via degli angeli”. Modello interessante, forse irriproducibile ma da approfondire in tempi di crisi e tagli alla cultura, che riporta in primo piano la figura del produttore nel difficile equilibrio tra budget e libertà artistica, attenzione verso il pubblico, più che per il mercato in sé: ribadiranno gli Avati che «fare cinema in Italia non è facilissimo; e fare un film costa»; cifre importanti, e proprio per questo è necessario siano «cifre responsabili».

Pupi Avati e Massimo ZeddaGiovanni Spagnoletti (Università degli Studi di Roma Tor Vergata) in un intervento elaborato con la collaborazione di  Simone Isola ha affrontato il legame tra musica e immagini: “Dal clarinetto alla pellicola: note su cinema e musica nell’opera di Pupi Avati” parte dagli esordi jazzistici del futuro regista per approdare alle colonne sonore dei suoi film, da quelle create da Riz Ortolani alle musiche di Lucio Dalla ne “Gli amici del Bar Margherita” e “Il cuore grande delle ragazze”. Atmosfere da paura con il critico Elisabetta Randaccio che offre un raffinato gioco di rimandi fra cinema e letteratura in “Lovecraft è stato qui. Gli horror in provincia di Pupi Avati” svelando il lato “oscuro” e inquietante dei paesaggi emiliani, attraverso pellicole di genere come “La casa dalle finestre che ridono”, “Zeder”, “L'arcano incantatore” e “Il nascondiglio”.
 
Lino CapolicchioSfoglia un personalissimo album dei ricordi Roberto Nepoti, critico de La Repubblica e docente all’Università di Trieste, per fermare il tempo catturando i momenti salienti di una lunga frequentazione con Pupi e Antonio Avati, da cui guardare al tema delle memoria. Una visione privata “dall'interno” del cinema di Avati con Lino Capolicchio, indimenticabile protagonista sul grande schermo che rievoca l'incontro fra due timidi, e il piacere di lavorare con il regista bolognese in “Pupi Avati o della magia”, tra aneddoti, incontri e paradossi del cinema. Itinerari nell'immaginario “avatiano” fra decima musa, musica e variazioni horror, preludio alla consegna dei Premi L' Alambicco a Pupi e Antonio Avati: e l' atmosfera si fa ancora più piacevolmente informale nelle risposte dirette ai quesiti del pubblico, tra fratellanza e set, paesaggi padani e “vicende americane” con la questione delle radici, il riconoscersi in un angolo di mondo. «Era necessario perché io potessi raccontare la mia terra, la mia gente, raggiungere la libertà di chi le immagina» spiega il regista; dunque il distacco e la lontananza, ma perfino l'insofferenza di certa “Bologna bene” verso il (suo) cinema.
 
E sulla sua “sconfinata giovinezza”: «Un uomo di 73 anni ha dentro di sé, è portatore di tutta la sua vita, cui può attingere: può essere un bambino, un vecchio; rimangono in te tutte le opportunità, con quella particolare sensazione di aver vissuto con molta precipitazione la propria giovinezza. In più c'è la coerenza dello sguardo: c'è spesso nei miei film un ragazzo ingenuo e timido, i miei “eroi” ricordano quello che siamo stati; persone piccole, minuscole, anonime, ma portatori di grandissimi sogni. Io li conosco bene».
14 dicembre 2011
 

INTERVISTA A ANTONIO AVATI
 
 
 
INTERVISTA A GIOVANNI SPAGNOLETTI
 
 
 
INTERVISTA A PUPI AVATI
 
 
 
PREMIO ALLA CARRIERA 2011 ALAMBICCO
 
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