Percorso

"Hugo Cabret" di Martin Scorsese

Il consiglio di Elisabetta Randaccio

''Hugo Cabret''Avevamo lasciato Martin Scorsese, colpiti piacevolmente dal pilot di “Boarddwalk Empire”, splendido serial televisivo ambientato, durante il proibizionismo, ad Atlantic City. Ancora una volta, ci si trovava di fronte a una perfetta ricostruzione storica e a una vicenda intrisa della consueta analisi scorsesiana sulle origini “del male” nell’uomo, corredata da alcune scene memorabili (si veda il ritrovamento del cadavere di Schroeder, ucciso per ritorsione, in una enorme rete confuso tra pesci e relitti).

Il pessimismo di Scorsese in “Boardwalk Empire” è costante, senza mai, però, tralasciare la pietà e, nello stesso tempo, il realismo cinico.  Sarà possibile una via d’uscita in una società fondata sul cinismo, il dominio, la crudeltà, l’individualismo e il narcisismo? I gangster, i politici corrotti, gli uomini spietati mostrati da Scorsese nei suoi film sembrano negarlo, ma, invece, esiste una modalità per difendersi dagli orrori quotidiani: l’arte e, nel caso di Scorsese, più precisamente quella del cinema. D’altronde, come lui stesso ammette, è stato l’amore per la settima arte che lo ha “distratto” dalle amicizie pericolose, nella prima giovinezza trascorsa nel quartiere italiano, a alta temperatura mafiosa, di New York; è stato il cinema la passione attraverso cui indirizzare bisogni e fantasie. I giorni passati nelle sale a vedere qualsiasi genere di film in programmazione, si concludevano a casa a disegnare, come racconta il regista in “Viaggio nel cinema americano”, veri e propri story board, “film di carta”.
 
''Hugo Cabret''Hugo Cabret, il bambino protagonista della sua ultima, splendida fatica, pur se nato dalla fantasia di uno scrittore e illustratore famoso come Brian Selznick, si sovrappone facilmente all’etica e all’estetica di Scorsese e esalta la forza dell’arte legata alla tecnologia, che ha nel cinema il suo binomio maggiormente rilevante e evidente.
Hugo, nella sua solitudine dickensiana, in cui gli adulti non comprendono il suo dolore e lo condannano a un isolamento lavorativo, culturale e sociale, scopre il dono di “aggiustare” i meccanismi rotti insieme alla passione per il cinema e la letteratura, i quali lo indirizzano a interpretare meglio la quotidianità e lo accompagnano nell’elaborazione del lutto per il padre, trovando dei sostituti ideali e reali. Così, alla fine, l’orfano “orologiaio” costretto a rubare per sopravvivere nella metaforica stazione della Parigi anni trenta, non solo rimetterà a posto, ridarà vita all’automa (con la faccia melanconica del robot di “Metropolis” di Lang”) ereditato dal genitore, ma farà ritrovare il senso dell’esistenza al vecchio Georges Melies, ridotto a fare il giocattolaio, dopo essere stato uno dei creatori geniali del cinema delle origini. Melies è un’altra possibile identificazione scorsesiana.
 
''Hugo Cabret''Infatti, è un regista anziano, indurito dalle delusioni dell’industria filmica. Il pubblico, dopo la prima guerra mondiale, ha mutato gusti, nessuno apprezza più le sue meravigliose fiabe ironiche, i giochi illusionistici e straordinari creati nel periodo ottimistico della belle epoque. Melies ha creduto nella “fabbrica dei sogni”, ma non è riuscito a seguirne le spietate regole commerciali. Scorsese non ha distrutto le sue opere come Melies in “Hugo Cabret”, ma ha sicuramente presente la deperibilità del prodotto cinematografico (si vedano, in questo senso, le sue battaglie per la conservazione della memoria filmica) e l’aleatorietà del successo, che ha devastato molti suoi colleghi e amici e, spesso, lo ha sprofondato in momenti di crisi esistenziale. Per continuare con il gioco delle maschere, un'altra identificazione è rintracciabile nella figura del critico cinematografico, il quale ricerca e conserva le pellicole di Melies. La sua cinefilia risale a un episodio dell’infanzia, quando, visitando il set del grande regista di “Viaggio nella luna”, percepì l’equivalenza tra il sogno e il cinema (altro tema sviluppato in maniera curata in “Hugo Cabret”), per cui, diventato adulto, non poté fare a meno di dedicarsi al suo studio, alla sua esegesi, alla sua conservazione.
 
''Hugo Cabret''In questo senso, se si leggono le pagine di Martin Scorsese dedicate ai maestri della settima arte, si comprende la sua cultura filmica approfondita, vasta e appassionata. Infine, in “Hugo Cabret”, si nota la piccola comparsata dell’autore: il fotografo di Melies, omaggio e dichiarazione d’amore per il suo affascinante mestiere.
Svariate tematiche vengono sviluppate in questo lavoro, che, se non fosse un film appassionante, curato con perizia incredibile, realizzato in un 3D lussuoso e interpretato con intensità da un cast ben assemblato (tra gli altri Ben Kingsley, Christopher Lee, Sacha Baron Cohen e i giovani Asa Butterfield e Chloe Moretz), sarebbe un saggio riuscito e complesso sull’arte “nell’epoca della riproducibilità tecnica”. Si riflette, infatti, sulla tecnologia che plasma il tempo, ma è pure dimostrazione delle infinite capacità del pensiero dell’uomo. 
 
''Hugo Cabret''Così, la locomotiva e il cinema incarnano il sogno positivista anticipatore di altre conquiste, di altri grandi e contraddittori “giocattoli” realizzati con un’incredibile accelerazione nel corso di un secolo. La vecchiaia, la morte, poi, si insinuano in un racconto pensato per l’infanzia, ma dedicato al potere della immaginazione, caratteristica specifica della razza umana, e ai fruitori dell’arte, siano i lettori quanto gli spettatori cinematografici, i quali, alla fine dell’ottocento, avevano paura che il treno dei Lumiere potesse travolgergli, così come oggi, la tridimensionalità con la palpabilità di oggetti e personaggi, li precipita in una realtà virtuale coinvolgente e emozionante.  
 
15 febbraio 2012
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