Percorso

La Calabria di Michelangelo Frammartino

Il regista è arrivato nei giorni scorsi in Sardegna  grazie al “Across The Vision Filmfestival”. Al pubblico sardo ha presentato il suo film “Le quattro volte” ambientato nella sua amata terra. di Salvatore Pinna
 
Michelangelo FrammartinoIL TRAILER DOPO L'ARTICOLO
Michelangelo Frammartino è un milanese originario della Calabria in cui ha girato i sui film più importanti.  Il suo primo film “Il dono” (2003), fu apprezzato a Locarno e colpì la critica per il suo ritratto di un paese senza tempo, che l’emigrazione ha ridotto ad un pugno di abitanti,  ripreso in un presente di silenzio e malinconia. In Calabria è stato girato anche “Le quattro volte” che ha rappresentato l’Italia al festival di Cannes del 2010 e che il pubblico sardo ha avuto l’opportunità di vedere in “Across The Vision Filmfestival” 2012 (6-11 marzo a Carbonia, Iglesias, Cagliari). L’ambientazione è calabrese come calabrese è anche  Pitagora, se non altro perché ebbe una scuola a Crotone, la cui dottrina traspare nel motivo centrale della metempsicosi.  “Le quattro volte” non ha un protagonista preciso, o meglio ne ha quattro che sono i quattro corpi diversi in cui trasmigra l’anima: un uomo che muore, un capretto bianco che si perde, un albero e il minerale in cui esso si trasforma. 
 
''Le quattro volte''Se l’anima è l’elemento che unifica tematicamente  i quattro diversi soggetti,  essi sono unificati, visivamente, da tratti, come pennellate, di colore (il bianco di un cappello, di una capretta, della corteccia, del fumo), e da accostamenti sempre appropriati e fortemente narrativi (una formica che cammina sulla faccia di un vecchio e un essere umano ripreso in modo da sembrare un insetto che sale sull’immenso abete).
La critica pressoché unanime, ha lodato il film definendolo ora poetico e spirituale, ora astratto e sperimentale. Occorre intendersi su questi aggettivi perché sono di quel tipo che hanno l’effetto di  allontanare gli spettatori che invece dovrebbero essere invogliati ad andare a vedere quello che è soprattutto  un capolavoro cinematografico e che si può godere in diverse maniere. Frammartino racconta, anche con un accenno di umorismo, le bellezze e i riti della Calabria, i suoi enigmi,  (la tradizione animistica).
''Le quattro volte''Piacerà a molti riconoscere le radici arcaiche di una cultura come quella meridionale venata di animismo e di arcaicità. Piacerà cogliere gli elementi di modernità perché quei luoghi senza tempo e relegati nella marginalità, per dirla con Goffredo Fofi, parlano “se forse non di domani, forse di dopo-domani”. Ma quello che si coglie con maggior soddisfazione è la sorpresa di un film caratterizzato da una narrazione che rimanda alle radici arcaiche e sempre attuali del cinema. Non è certamente un caso che, interrogato, in un incontro organizzato dal Celcam,  sulle influenze cinematografiche, più che i nomi ovvii come De Seta, Olmi, o, meno plausibilmente, Piavoli, Frammartino abbia evocato un regista come Bresson (per la capacità di filmare l’anima) e un teorico come Bazin (sul rapporto tra piano sequenza e libertà dello spettatore).  
 
''Le quattro volte''Il centro convenzionale del film è occupato dall’uomo. Ma l’animale, il vegetale e il minerale costituiscono altrettanti centri che sono legati da una catena di relazioni necessarie che possiamo chiamare anima, che è, in definitiva, quello che resta “levando” il troppo dallo sguardo. L’anima, peraltro, non è un requisito esclusivo dell’uomo, ma esiste nei quattro corpi, ognuno dei quali  ha diritto  ad essere un protagonista di cui seguiamo la storia che è mossa e vivace anche quando esso è “semplicemente” un albero. Anche questa è una novità cinematografica. A pensarci bene il cinema, che è eminentemente antropocentrico, non possiede una nomenclatura per descrivere la scala dei piani di un profilmico non umano.
 
''Le quattro volte''Quindi a rigore non potrebbe parlare, che so, di primo o di primissimo piano nel caso di un animale, di una pianta, di un oggetto. E invece occorrerà farlo con questo film.  Un'altra sua caratteristica che vale la pena di sottolineare è che le immagini non si impongono, non sono definitive e univoche. Esse richiedono di essere scandagliate, perché quello di Frammartino è un cinema costruito sull’idea che viene guardato e che sente fortissima la necessità di  lasciare allo spettatore la libertà di rifinire e di significare. Perché chi guarda, in qualche modo filma.  Questo risultato è ottenuto con un uso largo e intelligente di campi lunghi e di piani sequenza. Ma attenzione: il fatto che lo spettatore vedrà, in “Le quattro volte”,  dei primi e primissimi piani non deve ingannare.  A ben guardare, il primissimo piano del vecchio pastore è, in realtà, o è anche, un campo lungo della formica che attraversa il suo volto.  
 
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14 marzo 2012
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