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"Diaz" di Daniele Vicari

Il consiglio di Elisabetta Randaccio

''Diaz'' locandina“Repressione è civiltà” affermava  nel 1970 il protagonista, interpretato mirabilmente da Gian Maria Volontè, di “Indagine di un cittadino al di sopra di ogni sospetto” di Elio Petri, spalmando di ideologia la sua psicopatologia schizoide, denotata da aggressività e frustrazione.

La frase aveva un senso ben preciso sull’operato delle forze dell’ordine dell’epoca, che avevano chiare disposizioni sull’annientamento dell’opposizione, fosse essa pacifica o violenta. Evidentemente, trent’anni dopo il motto autoritaristico del commissario del film di Petri, è divenuto, nei giorni del G8 di Genova, il punto di riferimento di chi doveva occuparsi “dell’ordine pubblico” nella città, che fu un fallimento totale, visto il risultato degli scontri per le vie, delle manganellate feroci e gratuite (documentate dalle telecamere di tutto il mondo) ai manifestanti, della morte di un ragazzo, mai chiarita seriamente. Ma non bastava, perché, dopo l’uccisione di Carlo Giuliani, si perpetrò con freddezza l’attacco alla scuola Diaz, dormitorio per chi a Genova era arrivato per partecipare alle manifestazioni e ai forum. Chiamare quello sfogo politico-bestiale “macelleria messicana” è un eufemismo.
 
''Diaz''Leggere gli atti giudiziari riguardanti l’attacco alla Diaz con le successive torture e umiliazioni a cui furono sottoposti  le persone fermate durante quella notte a Bolzaneto, è peggio che scorrere un libro horror. Suscita incubi. “Eclisse della democrazia” (come recita il bel libro di Vittorio Agnoletto e Lorenzo Guadagnucci edito da Feltrinelli), incredibile debacle dello stato e dei suoi poteri. Esemplare, in questo senso, la sequenza filmata in cui dirigenti e funzionari di polizia si passano un sacchetto di plastica con dentro le molotov da mostrare alla stampa come ritrovate alla Diaz, mostrato al processo per le violenze di quel triste giorno.  Vedere come chi ci avrebbe dovuto tutelare, costruisse false prove, ancor oggi, suscita indignazione.
 
''Diaz''Questo complesso e, anche nei giorni nostri, delicato momento storico (anche perché, se è vero che il primo giudizio ha emesso condanne, i colpevoli, all’italiana, sono stati “puniti” con avanzamenti di carriera…) diviene, ora, un film di Daniele Vicari, un regista che ha lavorato con ottimi risultati sia sul documentario che sulla fiction (“Il mio paese”, 2006; “Il passato è una terra straniera”, 2008). Il tentativo di Vicari di riproporre alla memoria, sempre assai labile, degli italiani un episodio così eclatante di violazione del Diritto, adattando al mezzo cinematografico una sceneggiatura che rispettasse alcuni fatti e avesse la scorrevolezza di una storia di finzione, non era semplice. Così “Diaz”, si sviluppa gradatamente, concentrandosi nelle ore precedenti all’attacco alla scuola-dormitorio, in una Genova già percorsa dal sangue di Giuliani e dalla conclusione delle manifestazioni.
 
''Diaz''Dato che non si tratta di un documentario, è inutile ricercare le spiegazioni dettagliate del contesto politico, così come i responsabili sono definiti in maniera generica. Il momento più cinematograficamente e emotivamente efficace rimane l’assalto alla Diaz, una sequenza montata e risolta tecnicamente con grande abilità.
I personaggi ruotano con le loro storie (sempre riprese dalla realtà) non particolarmente approfonditi, ma adeguati allo stile del film, che tenta di riprendere storie esemplari, mostranti uno spaccato delle tante esistenze coinvolte in quel determinato momento storico.
In questo senso, gli attori si inseriscono con delicatezza nell’insieme drammaturgico, che conserva la potenza della ricostruzione in funzione della memoria e della riflessione.  
18 aprile 2012
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