Il consiglio di Elisabetta Randaccio
Negli Stati Uniti dal welfare debole, può capitare, nel mezzo di una giornata lavorativa, che, nel bell’ufficio di un’azienda, locato in un grattacielo sulla Madison Avenue, arrivino alcune eleganti signore “taglia teste”. Il loro compito è licenziare, subito, senza alcun avvertimento o giustificazione.
Obiettivo della “ristrutturazione delle risorse umane” sono semplici impiegati e stagionati manager. Devono raccogliere le proprie cose nello scatolone, sempre a portata di mano nell’ufficio, e andarsene immediatamente. Erik Dale prova a dire che sta lavorando su un file scottante, ma nessuno lo ascolta; magari è una scusa per danneggiare l’azienda. Da questo momento, dalle prime scene, “Margin call” di J. C. Chander diventa un thriller sociologico travolgente e inquietante, un’opera sorprendente che può riconciliare lo spettatore con l’arte del cinema. Utilizzando, in maniera quasi puntuale, le unità drammaturgiche aristoteliche di tempo e di luogo, il film, nel suo svolgimento, fa scoprire allo spettatore la delicatezza del file “scoperto” da Erik Dale: l’indizio del crollo degli utili dell’azienda, il rovescio della medaglia di investimenti taroccati, di mutui dai piedi d’argilla, gli imbrogli a tavolino della finanza un tempo definita creativa, oggi etichettabile come criminale.
“Margin call” mostra tutti i vari livelli di un sistema malato e cinico con la tecnica del thriller e dell’emozione. Ogni personaggio, dal debole impiegato analista senza speranza di conservare il lavoro a chi per sopravvivere deve mentire vendendo carta straccia come valida, dal dirigente, che cadrà in piedi, consapevole, però, di ridurre sul lastrico migliaia di persone, a quello ancora costretto a mentire, pur sapendo delle tragiche conseguenze delle sue affermazioni, è tarato non per una tesi didascalica, ma per evidenziare in modo semplice e drammatico le ragioni di un nuovo capitalismo suicida. Ogni elemento, ovviamente ruota attorno al potere del denaro, ma pure quest’ultimo sembra una “bolla” volatile.
Così, il funzionario Will, in un esemplare monologo, ci spiega come si fa a spendere in un anno un milione di dollari, la cinica Sarah Robertson è disposta a essere “massacrata” dagli azionisti pur di avere una buona uscita dall’azienda, Roger, invece, che sembra avere qualche vago scrupolo, ama solo il suo cane, moribondo, per il resto è solo, neppure la ex moglie lo vuol fare entrare in casa. Il suo affanno, mentre scava la fossa al cane, rimane nei titoli di coda, a metaforizzare un abisso che ci sta avvolgendo. Differentemente da “Wall street” di Oliver Stone, in “Margin call”, non è il rampantismo a contare, ma l’azzardo dell’imbroglio legalizzato da svolgere in tutte le sue declinazioni finanziarie.
Sostenuto da una sceneggiatura perfetta, ambientato in una New York le cui mille luci splendono ancora, ma non più di arrogante ottimismo, il film di Chandor si avvale di attori in forma eccelsa, la sua sostanziale forza. Kevin Spacey, Paul Bettany, Jeremy Irons, Zachari Quinto, Stanley Tucci, Demi Moore sono una compagnia straordinaria che regala al regista una performance esemplare, non cedendo neppure per un attimo al melodramma o all’empatia.
Assolutamente imperdibile.
23 maggio 2012