"Su Re", sinora, il miglior film in concorso al "Torino Film Festival"
La Sardegna Film Commission presenta i lavori dei tre registi sardi: Columbu, Marcias e G. Casu. di Giovanna Branca
Foto di Rosi Giua. Pesa un’assenza, a Torino. Sembrava che il Festival diretto da Gianni Amelio dovesse aprirsi trionfando sull’insuccesso del “rivale” romano e poi, a due giorni dall’inizio, la notizia che Ken Loach non si sarebbe presentato a ritirare il suo premio alla carriera.
Per protesta contro il licenziamento di alcuni lavoratori della Rear, la ditta a cui il Museo del cinema ha appaltato i servizi di pulizia e sicurezza, Ken Loach ha stabilito giustamente che chi predica bene non può razzolare male e ha comunicato che, seppur a malincuore, non sarebbe più venuto nel capoluogo piemontese. Non c’è stato neanche il tempo di cancellare e rimpiazzare il suo film nei cataloghi e nei programmi, che ancora indicano gli orari di proiezione dell’ultimo film del regista inglese, “The Angels’ Share”.
Al Festival ci sono infatti altri due film di registi isolani: “Dimmi che destino avrò“ di Peter Marcias (in Festa Mobile) e “Amore e follia” di Giuseppe Casu, nella sezione documentari. Il lavoro di Marcias, ambientato a Cagliari ma soprattutto nei campi Rom tra Dolianova, Selargius e Monserrato è la storia della presa di coscienza di un commissario di polizia (il Salvatore Cantalupo di “Gomorra”) sulle ingiustizie che queste persone sono costrette a subire. Partendo come storia investigativa – il commissario indaga sul presunto rapimento di una ragazza ad opera di un giovane dei campi – “Dimmi che destino avrò" è in realtà la sempreverde vicenda dell’incontro col diverso come luogo in cui scoprire i propri limiti piuttosto che quelli dell’altro.
Una storia che, va da se, ha molto da dire in tempi di chiusura di praticamente tutte le fabbriche sarde.
Storie sarde, tutte o quasi. Sicuramente tutte storie ambientate nell’isola. Ma che non vogliono essere catalogate sulla base di questa appartenenza un po’ aleatoria ad un luogo. E’ infatti questo il leitmotiv dell’incontro con i tre registi organizzato dalla Film Commission allo spazio off del TFF nel piccolo circolo Arci ad una manciata di metri dal cuore pulsante del Festival. “Solo per contingenza si parla di Rom e si gira in Sardegna – dice Gianni Loy, sceneggiatore del film di Peter Marcias – il tema del film è quello universale della discriminazione e del pregiudizio”. E, aggiunge Giovanni Columbu “vorrei scoraggiare questo dualismo o contrapposizione tra locale ed esterno. Ciò che più riguarda il mondo intero è proprio il locale, ovvero un filtro rivelatore attraverso cui poter tornare a delle storie che sono sempre le stesse dall’origine dei tempi”.
L’amore, l’odio, il tradimento, l’amicizia, la lotta contro le ingiustizie. Nei film e fuori dai film, dato che in questi giorni a Torino ribolle ad ogni angolo di strada la protesta: degli insegnanti, degli studenti, degli operai, nei banchetti per raccogliere firme contro la riforma della Fornero e per l’articolo 18. Nei loro manifesti ringraziano Ken Loach, gli insegnanti precari che fanno un sit in davanti alle sale del cinema Massimo.