Intervista a Ettore Scola
Il regista racconta il suo amico e collega Nanni Loy, il loro lavoro comune, la commedia all’italiana, la militanza nel Partito Comunista in un'intervista del 1996 pubblicata nel volume, edito dalla Cuec, "Nanni Loy- Un regista fattapposta", curato da Antioco Floris e Paola Ugo.

Io e Nanni siamo stati abbastanza vicini fino agli anni ‘70, intorno al Partito Comunista. Poi Nanni ha avuto tentazioni legittime ma di altro tipo, si è allontanato dal Partito, ha avuto simpatie per altre sinistre: io sono rimasto nel PCI e poi nel PDS quindi le nostre strade non sono state sempre parallele. Ma fino agli anni 70 sì, eravamo tra i pochi registi, perché non ce n'erano molti, che affiancavano alla loro attività professionale, commerciale, un'attività ... sì, diciamo pure militante anche se poi è una parola un po’ vecchia. Lavoravamo tutti e due per l’Unitelefilm che era una piccola casa di produzione del Partito Comunista, per il quale ho fatto anche dei film come "Treviso-Torino", "Viaggio nel Fiat-nam," poi sulla morte di Pinelli, l'omicidio Calabresi, con Petri, che era un altro dei registi della nostra generazione con cui ci trovavamo a dividere il tempo tra la nostra professione e la militanza.

Io e Nanni siamo stati insieme anche all'ANAC. Poi lui ne uscì insieme a Pirro con cui fondarono Cinema Democratico. Ad un certo punto, infatti, parve ad alcuni autori, forse anche con qualche ragione, che l'ANAC, associazione di autori cinematografici, registi e sceneggiatori, avesse assunto una posizione un po’ di categoria, chiusa, corporativa.
Cinema Democratico invece si apriva anche ad altre categorie del cinema, operatori, costumisti. Come idea poteva anche sembrare giusta, ma non credo abbia avuto un rilievo particolare forse proprio per una malintesa apertura a categorie i cui interessi erano diversi. Poi Cinema Democratico si è progressivamente asciugato, era frequentato soprattutto da sceneggiatori, facevano dei corsi a giovani.
L'impegno politico di Nanni si manifestava anche nel dibattito sulle scelte legislative per il cinema. Penso, innanzitutto, al famoso “articolo 28”. Era appoggiato dalle sinistre perché era uno strumento di garanzia per cui certe idee potessero essere realizzate laddove il mercato, il privato non le avrebbe sicuramente sostenute. Quindi era giusto che ci fosse questo intervento dello Stato.
L'impegno politico di Nanni si manifestava anche nel dibattito sulle scelte legislative per il cinema. Penso, innanzitutto, al famoso “articolo 28”. Era appoggiato dalle sinistre perché era uno strumento di garanzia per cui certe idee potessero essere realizzate laddove il mercato, il privato non le avrebbe sicuramente sostenute. Quindi era giusto che ci fosse questo intervento dello Stato.

Nella nuova legge “l'articolo 28” è stato sostituito dall'articolo 8 che in qualche modo ne continua lo spirito. I concetti di scelta restano sempre affidati a commissioni formate secondo opportunità politiche o di equilibri di potere e quindi sempre imperfette. Però l'autore giovane, che pensa di avere qualcosa da comunicare alla società, almeno non ha l'alibi di dire: “io saprei come fare, ma le strutture di mercato, i produttori privati non me lo permettono”. Ecco, in questo il principio che continua a ispirare l'articolo 8 è positivo. Questo è un dibattito che c'è in tutta Europa (in America no perché non esiste questo tipo di intervento da parte dello Stato). In Francia ho partecipato spesso a tavole rotonde dove hanno lo stesso problema, cioè di un cinema assistito dal danaro pubblico che intanto viene scelto da commissioni che non tengono conto soltanto della difesa del pubblico ma di altre considerazioni.

Nanni sollevava questi problemi già vent'anni fa, ma allora la situazione europea si era pressoché delineata. Lo Stato doveva intervenire a livello di distribuzione? Ci ha provato. L’Istituto Luce ha avuto per un certo periodo qualche sala pubblica e quindi non doveva rispondere a concetti di economicità come l’esercente privato, ma è stata sempre un'operazione assai limitata e del tutto inadeguata. Credo che in regimi capitalistici come quelli in cui viviamo, non è possibile che lo Stato partecipi vittoriosamente alla lotta col mercato. Il mercato americano arriva a coprire l'ottanta, ottantacinque per cento delle sale e del consumo, un film come "Indipendence Day" esce con 520 copie e abbiamo in tutta Italia 900 sale operanti, quindi il nostro è un mercato del tutto drogato, un mercato dove se lo Stato avesse 10 sale non cambierebbe assolutamente nulla: non a caso l'Istituto Luce le ha date via.
Per ogni film americano costato 10 milioni di dollari, ci sono altri 10 milioni di dollari per la promozione. Ed ecco quindi che questo film arriva sul mercato già tutelato, già conosciuto, innanzitutto dal pubblico giovanile. In Italia, in Europa, (in Germania peggio che da noi), il film esce nudo, senza nessuna promozione e in più neanche amato: i mezzi di comunicazione italiana forniscono pubblicità gratuita al cinema americano e non al cinema italiano. Perché l'informazione è rientrata ormai nel mercato, nelle logiche del mercato. Quindi non è che una diversa applicazione dell'intervento dello Stato invece che sulla produzione sulla distribuzione avrebbe variato le cose, non credo che il capitalismo si faccia minare da questi interventi.

Ecco, un’Italia alla quale veniva presentato il conto del suo banchetto. Questi cinquanta brani, una specie di Blob ante litteram (alcuni duravano poche immagini), credo siano un documento italiano molto significativo. C'erano alcuni episodi molto duri, molto forti proprio da commedia italiana perché la commedia italiana è stata anche questo, cioè un duro ritratto, impietoso e civilmente impegnato della società italiana. Lo è stata spesso anche più del cosiddetto cinema serio. Non credo che "Made in Italy" abbia circolato molto, forse proprio per questa sua natura frantumata che adesso è diventata quasi un linguaggio obbligato — la frantumazione di Blob —. All’epoca forse lo spettatore veniva chiamato a rapidità di giudizio, a cambiamenti immediati di emozioni a cui forse non era ancora molto preparato.

Ho dei bei ricordi di Nanni, era pieno di calore, di vita, era meridionale in tutto, quindi anche con i suoi cipigli. Io mi divertivo a metterlo in cimento, a suscitare le sua permalosità. Si era stabilito una sorta di gioco per cui io dicevo: “allora se avete chiamato anche Loy io vado via”. C'era questo gioco continuo di falso disprezzo che invece né io avevo per lui né lui per me.
22 dicembre 2012