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Percorso

"L'arbitro" di Paolo Zucca

Il consiglio di Elisabetta Randaccio

"L'arbitro" LocandinaNel cortometraggio “L'arbitro” (2009, David di Donatello), il regista Paolo Zucca intrecciava  due linee narrative, che avevano il loro culmine nella surreale partita di calcio finale, dove durante la competizione grottesca esplodeva la violenza: quella della tifoseria, quella dei giocatori, quella risolutiva di una faida familiare, mentre l'arbitro, come in un mondo rovesciato, tentava di dare regole inutilmente a chi ne faceva a meno; lui umiliato e offeso a ricercare uno “stile”, una coerenza improbabile.

La partita diventava una sfida western decisamente all'ultimo sangue, mentre l'arbitro prendeva coscienza della sua inconsistente figura. Allo spettatore, soddisfatto dalla fascinosa opera di Zucca, rimanevano delle curiosità sulla trama, per ragione di breve durata,  “opera aperta”, da completare nella narrazione a seconda delle proprie fantasie personali.
Ora, nel lungometraggio omonimo, che Paolo Zucca ha elaborato dal suo corto, sicuramente qualche elemento viene completato, ma il regista oristanese è troppo intelligente e troppo bravo per riprendere pedissequamente le questioni narrative della precedente opera.
Utilizzando con grande abilità la macchina da presa, assaporando le svariate possibilità del linguaggio cinematografico in funzione della contaminazione dei generi presente nel film, il regista reinventa la sua storia, ma senza eccedere in dettagli.

Stefano AccorsiL’elemento “cristologico” presente anche nel cortometraggio, nel lungo viene evidenziato. L’arbitro, infatti, si chiama Cruciani –invece che Pusceddu – non solo perché a interpretarlo è il “continentale” Stefano Accorsi, ma perché nel suo nomen-omen, il suo destino è già segnato. Sarà, come dice il presidente della FEFA (francese, un simil Platini), il ladrone destinato all’inferno o alla salvezza? In questa simbologia si può leggere pure la buffa ultima cena anticipatrice della “passione-partita” conclusiva. E davanti al mister-messia compare un piatto con un grande pesce, altra iconografia “cristologica”. Cruciani, l’arbitro “principe”, sconta il suo desiderio di gloria, dirigendo la “sfida infernale”, che vedrà pure un morto in campo, vittima di una faida tra famiglie, un morto dimenticato, aggrovigliato nella rete della porta come… un pesce, mentre in paese si fa festa con Cruciani, autore di un goal decisivo quanto involontario, portato in trionfo come un piccolo Barabba. Per Zucca, sposare lo stile grottesco, non significa diventare criptico o noioso. Il film, così, è anche divertente e, se l’uso del bianco e nero, oltre a sottolineare la bellezza della fotografia di Patrizio Patrizi, è già una presa di distanza dalla realtà, alcuni elementi della società sarda, nella dimensione della piccola comunità, risultano centrati.

Urgu e Cucciari ne "L'arbitro"Forse, una debolezza della sceneggiatura, risiede nella linea narrativa riguardante Matzutzi e Miranda, una serie di duetti comici, che gli interpreti (Jacopo Cullin e Geppy Cucciari) reggono bene, ma che, sostanzialmente, è ridondante rispetto al resto del film.
Zucca, oltre a dimostrarsi un regista sicuro, ricco di talento, dà spazio agli attori, ricevendone in cambio ottime prove. Accorsi è estremamente generoso, modella una figura, che non riesce a focalizzare totalmente il suo lato oscuro e, nella linea stilistica virata al grottesco di Zucca, si muove, si agita, perfino danza. Tutto il cast, risulta così, di buon livello, ma la sorpresa maggiore viene da Benito Urgu, che non cede mai alla caricatura e disegna l’allenatore “cieco” come una figura bizzarra e melanconica a cui, giustamente, il regista regala il controfinale.

25 settembre 2013



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