Percorso

"Sacro Gra" di Gianfranco Rosi

Il consiglio di Elisabetta Randaccio

''Sacro Gra'' PosterLa inutile diatriba, ben presto archiviata, se fosse giusto o meno premiare un documentario con il Leone d’oro alla Mostra del cinema di Venezia, ancora una volta pone il falso problema di come tale genere cinematografico sia considerato un “vero film”.  Senza perdere molto tempo in questa discussione tautologica, possiamo almeno sottolineare come l'elemento “narratologico” sia l'essenza anche di qualsiasi documentario, persino quelli di tipo tecnico o scientifico. Si tratta sempre del punto di vista plasmato da un regista e dal suo staff e “l'obiettività” è, ovviamente, una pretesa inutile.

Semmai maggiormente interessante  è il concentrarsi su come questo genere si declini nel nostro tempo; rivoluzionato dallo specifico televisivo, non ne è stato distrutto, ma rinvigorito.
Se da una parte la nuova “coscienza” del documentario viene banalmente inserita in una ennesima tipizzazione, il docudrama, dall'altra il legame forte che lo stringe alla realtà, lo ha fatto diventare un film capace di rivelare storie, contesti e personaggi che il cinema  cosiddetto “commerciale” non ha più l’energia di raccontare.
Gianfranco Rosi è un regista da sempre attratto dalle contraddizioni sociali, curioso di avvicinarsi a vicende rimosse dal’informazione ufficiale. Così era in “Below sea level”, altro successo a Venezia alcuni anni fa, in cui raccontava di una incredibile comunità di losers che vive in una zona desertica della California. 

''Sacro Gra''“Sacro Gra” non è un suo progetto originale. Glielo ha proposto l'urbanista Nicolò Bassetti, ma Rosi lo ha pensato cinematograficamente a suo modo. Dopo aver scelto, tra le mille storie ruotanti attorno a quel grande anello periferico-autostradale  che è il Grande Raccordo Anulare di Roma, espansione di una città, le cui peculiarità così tipiche sembrano a quella distanza una leggenda, ha scelto di concentrarsi su alcune “vicende”, scegliendo per ognuna uno stile di ripresa che ne potesse valorizzare il contenuto. In questo senso l'episodio del padre e della figlia, i quali vivono in un isolato palazzone, in un quartiere dimenticato (lasciato a metà?), dove gli aerei passano in continuazione per atterrare nel vicino aeroporto di Fiumicino, in un mini appartamento che li “costringe” a stare continuamente insieme (lei sempre seduta davanti al computer, lui che ironizza e filosofeggia cucinando o mettendo in ordine), è “spiato” da una macchina da presa fuori dalla finestra, senza uso di zoom. Si dà importanza al sonoro, al dialogo, a volte buffo, a volte melanconico, tra padre e figlia, non c'è alcun bisogno di utilizzare i primissimi piani né sui volti né sugli oggetti: letteralmente si è aperto un varco su una storia senza storia, che riesce ad essere persino divertente.

''Sacro Gra''Il dettaglio, invece, è fondamentale per mostrarci la “villa” del “nobile”, che l'ha ereditata chissà in che modo, un assurdo castelletto periferico e di cattivo gusto, dove però tutti gli orpelli, gli oggetti eccessivi, servono a ricreare la finzione di un set per fotoromanzi, una patetica rappresentazione teatrale privata, una festa per aristocratici improbabili. Altro stile, più tradizionalmente “documentaristico” per seguire chi, in un contesto paesaggistico assai alterato come quello del Grande Raccordo Anulare, tenta di arginare quella che si è, ormai, rivelata come una vera e propria catastrofe ecologica: la distruzione delle palme da parte del punteruolo rosso, un insetto “estraneo” all'equilibrio botanico italiano,strutturato in un'organizzazione “sociale” potente, difficile da debellare. Anche qui non manca l'elemento ironico-grottesco, che è parte della forza del film. Rosi usa anche il tocco leggero per accennare all'elemento della prostituzione, così diffusa in vari modi nel Raccordo. Ci mostra con pochi tratti una roulotte dove due travestiti, non più giovani, si organizzano una vita  misera, che ha il suo culmine nella notte chiassosa, vicino all'autostrada dove le macchine corrono e, forse, qualcuna si fermerà. Usa, poi, la soggettiva nel racconto del barelliere, ansiogeno, perché nelle ambulanze si è sempre di corsa, spesso al buio, a cercare di fermare la morte.
Qualche critico ha parlato di superficialità, ma ci chiediamo se è proprio necessario capire tutto, filmare ogni particolare, per darci il senso della vita.

9 ottobre 2013

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