Percorso

Il nuovo corpo di Coda

Prima internazionale all'Alkestis di "Big Talk- L'amor que desune" l'ultimo lavoro dell'autore cagliaritano. Che strizza l'occhio a Madrid e nel 2008 sbarca a Tokyo. di Maria Elena Tiragallo

 Sarà presentato a  Cagliari, il 22 giugno, al Cineteatro Alkestis, il nuovo film del regista Giovanni Coda dal titolo "Big Talk - L'amor que desune". Ispirato alla vita dell'incisore argentino, Oscar Manesi, e alla pittrice messicana Frida Khalo, il film tradotto in spagnolo e in italiano, presenta un susseguirsi di immagini sulla poetica della dissoluzione/ assoluzione del corpo in una nuova forma. Fulcro del lavoro è proprio il corpo dell'artista messicana: corpo come punto di partenza e di arrivo.

Insieme a quello della Khalo, anche il corpo di Oscar Manesi, la cui pelle riporta i segni di una vita vissuta fino in fondo, senza riserve. In bilico su queste vite la rappresentazione del mondo coi suoi opposti: la bellezza e il suo orrore, le promesse e le ipocrisie, il paradiso in cielo e l'inferno in terra. Frammenti del diario di Frida si intrecciano con veline Ansa, in un sofisticato susseguirsi di reale e irreale.

Qual è la genesi di "Big Talk"?
Sono partito da un'idea di Manesi, che è anche co-sceneggiatore del film. L'ho conosciuto a Madrid, dove grazie al suo atelier di incisione è diventato molto famoso. Da una chiacchierata è nato il sodalizio di "Big Talk" cui si è aggiunto Mario Merlino, anche lui co-sceneggiatore e presidente della Sezione Autonoma dei Traduttori.
Il messaggio del film è semplice: come fare a essere qualche cosa che in realtà non sei. Ma ci sono molte altre cose ancora da scoprire. Andando a vederlo, ovviamente.

Che tecnica di regia ha usato?
Si tratta di un lavoro completo e ci ho messo un po' di tutto: la musica degli anni '70, recitativi in spagnolo, brani diaristici e lanci di agenzie Ansa. Un po' sincopato, ma di effetto. Come location mi sono avvalso di città spettacolari: da Tokyo a Parigi, con piani sequenza e la camera fissa che va in crescendo. Anche il fascino di di Madrid è protagonista del film, mentre a Cagliari diverse scene sono state girate nelle zone di Molentargius, del Poetto e di Guspini.

Quali sono stati i tempi di produzione?

L'anno scorso, a metà lavorazione, è morto Oscar Manesi. E' stato un colpo: ha lasciato degli appunti su alcune scene, ma non avendo il suo occhio, non sono riuscito a portale avanti. Nel complesso per realizzare il film ci abbiamo messo due anni precisi; il primo Ciak è stato nel giugno del 2005.

Ci spiega in poche battute la videoarte?

E' tutto e il contrario di tutto. Si lavora cinematograficamente su presupposti che però non sono cinematografici. Il lavoro della videoarte tende a colpire le emozioni, un prodotto sensoriale che ha alla base un rapporto semplice e chiaro: io ti dico una cosa e tu la recepisci. Si basa su parametri pittorici, con un lavoro di fotografia più simile a un quadro che a un'inquadratura.

Com'è iniziata la sua passione per la videoarte?

Da sempre, credo. E' una questione di comunicazione, in questo modo posso dire qualsiasi cosa in modo libero.

Tanta gente però non l'apprezza, forse non sa come guardarla. Cosa consiglia?
Bisogna cogliere ciò che le immagini suggeriscono. E fare molta attenzione: l'autore non spiega, non c'è narrazione.

Col video  "Serafina" è stato tra i premiati di Cagliari in corto. Ha vinto altri premi?
No, non ho mai più partecipato a un concorso.

"Serafina" era un video sulla malattia di sua nonna, in molti l'hanno criticato, cosa intendeva esprimere?
Volevo mettere in chiaro il fatto che invecchiamo, ciò tutti i giorni accade sotto ai nostri occhi. Un omaggio al corpo che poi ci abbandona.

Nel video c'è una bellissima immagine del mare sotto la Sella del diavolo e un gruppo di uomini che cammina sull'acqua. Piuttosto ardita, come ha fatto a girarla?

Inventandomi delle soluzioni: ho messo la telecamera a pelo d'acqua, col mare che scorreva sotto e poi, in prospettiva, la gente che camminava.

Geniale! Mai pensato di girare una fiction?
Certo che sì. Mi piacerebbe girare una commedia in stile inglese. Se si presenta l'occasione non la evito, lo giuro.

Cagliari è palcoscenico di diversi festival, tra questi "Vart", organizzato proprio dalla sua associazione: ci fa un bilancio? A quando la prossima edizione?
E' un progetto che procede molto bene, stiamo raccogliendo consensi e materiale. C'è molto fermento in giro. Non si sa ancora la data della 12ma edizione, ma vorrei chiudere presto la fase organizzativa.

Cosa pensa della cinematografia sarda? C'è qualche autore che stima?
Il problema è che non ci muoviamo per creare un gruppo di persone con un potere ben preciso. Bisogna crederci, stiamo muovendo i primi passi, ma quanto lavoro c'è da fare... Gli autori? Mi piace molto Peter Marcias ma anche il film "Arcipelago" di Giovanni Columbu, soprattutto da un punto di vista visivo. Come coreografo trovo sia molto bravo Guido Tuveri.

Ultima domanda: cosa è necessario fare per veder decollare il cinema sull'isola?

Puntare a una sorta di "creazione" del pubblico, che va instradato, formato e informato al tempo stesso. E creare momenti di incontro, strati di apertura, di fiducia. Facile no
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