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Tutti i vincitori dell'ottava edizione della kermesse che guarda il mondo dal sud Sardegna. di C.P. Si conclude l’ottava edizione del Carbonia Film Festival. Soddisfazione da parte degli organizzatori del concorso...

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Percorso

Dal profondo del documentario in Sardegna

Un'articolata analisi dei documentari realizzati in Sardegna nell’anno 2013. di Salvatore Pinna

''L'amore e la follia''Il documentario sardo conosce da almeno un quindicennio una vitalissima produzione. Ad essa corrisponde una presa spettacolare che è testimoniata anche dalla partecipazione ad importanti festival nazionali ed internazionali.

Superata l’allergia alla realtà che impoveriva lo sguardo di registi e committenti, il documentario contemporaneo è impegnato a fissare momenti importanti della vita sociale ed economica della Sardegna. La miniera persiste, ad onta della sua precarietà produttiva, come fulcro dell’immaginario, dando vita a opere che suscitano l’interesse aldilà dei confini dell’Isola. È il caso di “L’amore e la follia” di Giuseppe Casu, selezionato al Torino Film Festival del 2012. Il successo minerario è stato replicato nel 2013 con “Dal profondo” di Valentina Pedicini, premiato come Migliore Documentario italiano al Festival Internazionale del Film di Roma. Il film della regista pugliese propone un percorso emozionale nel mondo sotterraneo scegliendo un punto di osservazione poco conosciuto:quello del lavoro femminile in miniera.

''Dal profondo''In questo viaggio al centro della terra fa da guida una minatrice che si misura ogni giorno con i problemi comuni ai compagni di lavoro maschi, e con quelli speciali di rapportarsi a loro, superando, come dice la Pedicini, “la difficoltà di essere un minatore con rimmel e smalto”. La miniera che è donna nel pensiero dei personaggi di “Dinamite” di Daniele Segre, e che è amata sensualmente in “L’amore e la follia” di Giuseppe Casu, dialoga per la prima volta da donna a donna con una minatrice, anzi con due, la protagonista e la regista stessa che svolge opera di scavo di filoni poetici.
Piccoli Fratelli di Bindua”, realizzato da Sergio Naitza e Serena Schiffini, impiega materiali dell’archivio Rai, su un gruppo di sacerdoti che, negli anni Cinquanta scelsero la frazione mineraria di Bindua per vivere la loro missione religiosa. Il film risignifica e attualizza i materiali di partenza, alternandoli con le testimonianze preziosissime dei testimoni viventi: un prete centenario, intervistato a Lucca, e alcuni ex minatori. Emerge un aspetto inesplorato della vita dei minatori che riguarda la loro religiosità, che ha modo di esplicarsi in virtù della semplice offerta di relazione dei religiosi.

''Le nostre storie ci guardano''La maestria di Naitza nel costruire storie risalta in quel colossale foundfootage che è “Le nostre storie ci guardano”. In questo film il giornalista-regista, prelevando immagini da una quarantina film dell’archivio Rai, ricava una narrazione nuova e inedita che racchiude un periodo cruciale della società sarda dalla ricostruzione del secondo dopoguerra alla rinascita, compreso lo scudetto del Cagliari. La finzione di una corrispondenza epistolare tra un fratello e una sorella, in voce off, evoca le immagini di quegli uomini e quelle donne che hanno vissuto il travaglio della modernità sarda. Il film non dà giudizi ma organizza narrativamente i materiali per consentire allo spettatore di farsene uno e di guardarsi indietro per capire il presente e dare un senso all’identità collettiva.

Tiberio MurgiaUna via individuale alla problematica decifrazione dell’identità è scandagliata da Naitza in “L’insolito ignoto. Vita acrobatica di Tiberio Murgia”. Con una perfetta narrazione, Naitza introduce lo spettatore nel labirinto dell’esistenza del più “avventuroso” caratterista del cinema italiano, indimenticabile interprete di Ferribotte in “I soliti ignoti”. Questo biopic straordinario è l’ultima grande prova d’attore di Tiberio Murgia e lo stupendo smascheramento dell’ultima bugia: quella secondo la quale non saprebbe recitare. Nastro d'Argento 2013 - Menzione Speciale“L’insolito ignoto”, in Sardegna è stato presentato soltanto ad Oristano ma non è difficile immaginare una fortunata navigazione quando uscirà, si spera presto, nelle sale.

Ìsura da filmà” di Marco Antoni Pani è un’altra bella sorpresa del 2013. Il genere si apparenta a film come “Le nostre storie” di Naitza ma il “footage” di Pani è fatto sulla base dei filmati di un solo regista, Fiorenzo Serra, e limitatamente alla produzione riguardante la Sardegna della ricostruzione. “Ìsura” riesce a comunicare l’emozione filmica delle riprese originarie e, allo stesso tempo, aggiunge loro nuovo respiro grazie a un montaggio che si muove tra realismo documentario, fiction e soluzioni d’avanguardia.

''Isura da filmà''Ìsura da filmà” per ora lo si è visto solo al Teatro comunale di Sassari in un cineconcerto in cui Paolo Fresu, Bebo Ferra, Gavino Murgia e l'Alborada String Quartet hanno suonato dal vivo la partitura creata apposta da Fresu. Ma va detto che il film, con la sua colonna musicale, ha una sua autonomia espressiva che lo renderebbe pienamente godibile in una normale proiezione in sala.   
È difficile  convincere lo spettatore pigro che “Capo e Croce”, di Marco Antonio Pani e Paolo Carboni, non è un film sui pastori sardi e sulla pastorizia. Eppure è così. È piuttosto un film su uomini che fanno i pastori e che si devono confrontare col mondo. È un film di lotte e manifestazioni ma anche di silenzi, di paesaggi, di lavoro non remunerato dove la vera lotta è una vita fatta di problemi, ma anche di sogni e progetti non solo personali ma riguardanti il futuro della Sardegna. Volendo collocare “Capo e Croce” in un genere particolare di film, si potrebbe dire che è anche un grande film di etnografia moderna sul mondo pastorale.

''Capo e croce. Le ragioni dei pastori''La socialità, i gesti professionali, i riferimenti culturali, il rapporto con l’ambiente, la progettualità economica sono di una modernità assoluta. Davvero un film importante,  un punto da cui si dovrà partire per affrontare i temi sociali non solo della Sardegna e non solo quelli legati al mondo agropastorale. Un grande film corale che, anche per questo, si può definire un inno audiovisivo della Sardegna.   
L’ultima criticità sarda che non aveva trovato il suo cantore era, sino a pochi mesi fa, l’Alcoa di Portovesme. Tomaso Mannoni ha colmato questa lacuna con “Fino in fondo” che andrà in circuito nel 2014. Il documentario descrive con efficacia uno dei momenti più drammatici dell’agonia industriale della Sardegna e offre uno spaccato della forma della lotta operaia nell’epoca dell’eclisse dei partiti e del disimpegno industriale delle istituzioni.   

Marcias e Piera degli EspostiCon “Tutte le storie di Piera”, di Peter Marcias, anch’esso selezionato al Torino Film Festival, siamo in un altro territorio. Qui il talento è sardo ma il soggetto è di ogni luogo. Infatti il film ripercorre le varie tappe della carriera dell'attrice Piera Degli Esposti dal teatro, al cinema, alla televisione, alla meno conosciuta attività di scrittrice e regista di opere liriche. Marcias è uno che non sta appresso (e appeso) alle definizioni  però è vero che proprio Piera Degli Esposti quando girava con MarciasI bambini della sua vita” disse che stava lavorando con un regista sardo perché dalla Sardegna arrivano cose originali nel cinema, nella musica e nella letteratura.

Capo e Croce - Le ragioni dei pastori

“Ìsura da Filmà”: Fiorenzo Serra e "la Sardegna filmata in libertà"

In onore di Fiorenzo Serra

Torino Film Festival e la ricetta di Virzì

18 dicembre 2013

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