Percorso

La luce nel cinema

L’esperienza di Rosario Neri, direttore della fotografia di "Ore Diciotto in Punto". di Luisa Mulè Cascio

''Ore Diciotto in Punto''In occasione della presentazione e proiezione del film palermitano Ore Diciotto in Punto, del regista Giuseppe Gigliorosso, a Roma presso l’Istituto di Stato per la Cinematografia e la Televisione Roberto Rossellini lo scorso 16 gennaio 2014, Cinemecum.it propone ai suoi lettori un’intervista a Rosario Neri, direttore della fotografia, assieme a Gabriele De Palo, del film.

Può raccontarci brevemente di cosa si occupa e della sua carriera professionale?
Sono un libero professionista che si occupa di fotografia da anni, che ha iniziato il suo iter professionale nelle televisioni private inizialmente da autodidatta. Successivamente ho conosciuto professionisti del settore da cui ho imparato il mestiere.  Mi hanno insegnato che le luci artificiali nel cinema si usano e sono necessarie perché la luce naturale e volubile e va via presto subito. Ci si serve, quindi, della luce artificiale per mantenere la cromatura di quella naturale, quindi ho imparato a usare più la luce artificiale di quella naturale. Usarla bene nel tuo lavoro dipende anche dalla sintonia e l’intesa che hai col regista dell’audiovisivo che vai a realizzare.

Rosario NeriCom’è iniziata la collaborazione per il film Ore Diciotto in punto?
Quando Pippo mi ha proposto di realizzare questo film, cercando quindi attori disposti a credere in questo progetto gratuitamente, ero un po’ perplesso. Con Pippo abbiamo sempre lavorato con la voglia di essere scoperti, ma questo film rappresentava una grande sfida per noi, sotto tutti i punti di vista. Così, quando abbiamo iniziato a contattare degli attori professionisti, abbiamo contattato anche l’attore Vincent Schiavelli per ricoprire il ruolo di uno dei protagonista del film. Siamo andati a parlarci, assieme alla moglie di Pippo, e io mi sono emozionato davanti a quest’uomo così alto e imponente che ci salutava da lontano, con familiarità. Pippo gli ha raccontato la storia del film, lui è rimasto entusiasta, ma alla fine ha detto, utilizzando un italiano mischiato al siciliano: “Va bene Pippo quando iniziamo a fari stu film?”, e Pippo: “Presto, appena finisco di completare il cast”, e lui: “E allora quantu piccioli mi runi?!”, e Pippo ha detto: ”Ma io non posso pagare nessuno”, e lui: “Eh no, non posso, chistu è ‘u me travagghiu, tu m’ha dari na busta chi picciuli e io viegnu”. Pippo allora gli disse:” Ma non è solo per te, non c’è budget per nessuno”. E lui: “Ma allora Pippo questo film per chi lo devi fare, per tuo padre e tua madre?”, e a me allora, questo dialogo, fece riflettere, e chiesi a Pippo se fosse sicuro di imbarcarsi in questa situazione.  Ma Pippo mi disse che era ancora più convinto verso questa “sfida”, così lo seguii.

Giuseppe Gigliorosso sul setQual è stato il primo approccio tecnico al film?
Il primo problema che con Pippo abbiamo affrontato è stato quello di come girare questo film. Faccio una premessa: Io collaboro anche con la Reuters, un’agenzia britannica molto rinomata, e lì ci sono tanti fotoreporter inviati di guerra, tra cui Dylan Martinez che mi ha fatto vedere le possibilità della Canon Mark II, anche il fatto di poter girare con essa un film in HD. Quindi, quando ho visto la qualità di questo supporto, sono rimasto meravigliato e allora ne ho parlato a PippoPippo inizialmente era perplesso sull’utilizzo della macchina fotografica, allora cercai in giro testimonianze a supporto della mia teoria,  tra cui quella che diceva che la produzione della serie Dr House aveva realizzato le ultime puntate con la Canon Mark II. Basandoci su questo abbiamo deciso di usare la Canon Mark II e siamo divenuti pionieri a Palermo di questo nuovo modo di girare un film.

Paride BenassaiIl film ha dato la possibilità a molti giovani siciliani di poter lavorare nei vari settori e formarsi, qual è il suo pensiero e la sua esperienza in merito?
Dare tanta possibilità ai giovani di poter lavorare nel set e di formarsi è stato un elemento per me importate. Nel mio caso specifico mi riferisco a Gabriele De Palo. Mi emoziono a parlarne perché all’inizio, quando ci siamo conosciuti all’Università dove io sono stato suo tutor, eravamo su due fronti completamente opposti. Poi siamo riusciti a trovare un’intesa e gli ho mostrato tutte le mie conoscenze nel campo della fotografia, gli ho fatto vedere il mio modo di lavorare soprattutto con la luce naturale e lui piano piano mi ha capito e seguito. Io non ho un carattere facile e, come dice Gabriele, “se lo ami lo segui, se non lo ami sono cavoli tuoi!”, ma aver trovato intesa mi ha reso felice. In più quando ho visto che Gabriele, in mia assenza, è riuscito a raccontare una fotografia davvero idonea al film, mi ha reso orgoglioso, mi ha dato tanto. Quando vedi che la tua arte cammina attraverso gli altri diventa un piacere. Ero sicuro che Gabriele avesse grandi qualità, e sono rimasto contento di come ha illuminato i momenti belli del film.

Rosario NeriQuali sono stati, secondo il suo parere, i momenti più belli del film, anche da un punto di vista fotografico?
Per rimanere nel tema dei “momenti belli del film” mi piace soffermarmi su quelle che, per me, sono le scene più significative della pellicola, soprattutto da un punto di vista fotografico. La scena che mi ha emozionato di più è e stata quella in cui Nicola scopre chi è veramente Stella. Quella per me è la fotografia più bella, “firmata” personalmente da me. Gabriele poi ha reso bene, in modo caravaggesco, la scena intima di Stella e Nicola. Queste sono, per me, le scene preferite e rappresentano dei quadri bellissimi.
La scelta tecnica e fotografica del film non doveva essere, secondo me, di una postura particolare, perché il film si racconta ai giorni nostri, quindi doveva rappresentare quotidianità e modernità con semplicità. Anche il fatto di parlare di angeli non deve precludere per forza una location antica e quindi una fotografia di quel tema, anzi al contrario. Ore diciotto in punto ha un’atmosfera  comune a tutti, attuale, ed è questa la forza della fotografia del film. La gente, a primo impatto e senza aver visto il film, pensa che la trama tratti di qualcosa di surreale, invece no, è alla portata di tutti.

Rosario NeriC’è qualche piccolo aneddoto da set che vorrebbe raccontarci?
Per dare una piccola “chicca” e per concludere il racconto della mia esperienza con Ore diciotto in punto, cito un aneddoto successo nel film, che è un esempio su come, a volte, la povertà ti aiuta a essere più creativo. Io ho sempre visto in attori affascinanti di film americani, nelle scene di controluce, le orecchie che, sovraesposte, sembravano “bruciate”. Allora mi sono detto, confrontandomi con Cetty Lo Cascio, truccatrice del film, di provare a risolvere questo problema o scurendo pesantemente il retro delle orecchie oppure usando il biadesivo per incollare le orecchie, e, quest’ultima soluzione ha funzionato. Quindi, nella nostra povertà, siamo stati migliori degli americani, con i loro mezzi sofisticati.

Il gruppo di ''Ore Diciotto in Punto''Un commento finale circa la realizzazione del film? 
Il film non è stata un’impresa facile. Abbiamo si raccontato la storia con l’anima ma avevamo mezzi per cui, anche le piccole cose o le piccole mancanze, erano un problema perché senza soldi non potevamo trovare soluzioni facilmente. Ci siamo inventati la fotografia “sottotono” proprio perché non avevamo mezzi. Infatti la produzione si è anche prolungata per un discorso economico, perché non potevamo girare in ogni momento della giornata come per esempio gli “interni giorno” la sera, perché non avevamo mezzi per poterlo fare. In ogni caso, malgrado le difficoltà, il prodotto finale, a mio avviso, è stato soddisfacente. Poi comunque lascio giudicare gli spettatori.

22 gennaio 2014

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