Chiude la multisala del Cineworld a Cagliari
Come una stella che si spegne. Le responsabilità della Amministrazione regionale. di Antioco Floris
Quando chiude una sala cinematografica se ne va un pezzo di cultura ed è come una stella che si spegne. Rimaniamo amareggiati, colpiti dentro. Perché lo spazio cinematografico è un luogo magico dove i mondi della fantasia prendono corpo e diventano realtà.
Ieri, il 4 febbraio, ha chiuso la multisala Cineworld a Cagliari ma io, non me ne vogliano gli amanti del cinema,non me la sento di essere poetico: penso alle persone che ci stavano dentro e da un momento all’altro si trovano senza stipendio andando ad accrescere l’immensa folla dei senza lavoro della nostra terra. Non dobbiamo dimenticarcelo, il cinema è cultura, il cinema è fantasia ma il cinema è anche un comparto dell’industria culturale che dà lavoro, produce reddito, permette alle famiglie di campare. È così in tutto il mondo occidentale, ma non da noi in Sardegna dove, in barba alla buona volontà dei singoli, degli imprenditori che investono, dei cittadini che partecipano, c’è un clamoroso silenzio delle istituzioni.
Il Cineworld ha chiuso per debiti accumulati negli ultimi mesi. C’è la crisi, c’è la concorrenza, c’è un mercato che si restringe giorno dopo giorno. Non c’è solo questo, c’è anche la mancanza di un piano di sviluppo del settore a livello regionale, c’è l’assenza di una strategia complessiva, c’è un disinteresse della classe politica inquietante perché il caso Cineworld appare come l’annuncio di una situazione che da qui a giugno rischia di toccare la maggior parte delle sale cinematografiche dell’isola colpendo duramente anche chi riuscirà a salvarsi dalla chiusura. Qualche anno fa la Regione tramite l’Osservatorio economico ha fatto una impegnativa ricerca finalizzata a capire le potenzialità di sviluppo del settore spettacolo in Sardegna e all’interno una parte era rivolta all’esercizio cinematografico: come programmarlo, come svilupparlo, come gestirlo in relazione ai bisogni del territorio. Una ricerca di due anni, costata diverse centinaia di migliaia di euro, rimasta chiusa nei cassetti, mai usata per trarne le conseguenze strategiche.
La ricerca avrebbe dovuto essere la base per stabilire se e in che misura sarebbe stato possibile aprire nuove sale senza ammazzare quelle già esistenti. Per esempio quanti schermi può permettersi il bacino cagliaritano? Quelli esistenti son troppi o c’è spazio anche per altri? Nessun criterio: nuove sale sono state aperte.
È il caos. Ed è il caos anche per la digitalizzazione delle sale.
Come noto nell’arco di pochi mesi le sale cinematografiche devono adeguarsi alle nuove tecnologie, sostituendo i vecchi proiettori a pellicola (o digitali superati) con nuove macchine adatte agli standard richiesti dalla distribuzione internazionale. È un po’ come era successo negli anni Trenta del secolo scorso, quando con l’avvento del sonoro il parco macchine “mute” dei cinema di tutto il mondo doveva essere sostituito con altre che permettevano ai film di parlare. Il problema non è specificamente sardo, e infatti l’Unione europea ha stanziato ingenti somme per permettere lo swicht off che, dato l’impegno economico richiesto, altrimenti non sarebbe possibile.
Un proiettore digitale di nuova generazione costa circa 60.000 euro.Una cifra ingente, tanto più in un momento di crisi economica. Pensiamo che per una multisala come il cineworld l’adeguamento costa complessivamente mezzo milione di euro. Sarebbe stato semplice prenderli dai fondi messi a disposizione dall’Europa, ma siamo in Sardegna e l’amministrazione regionale, nonostante da due anni gli operatori del settore spingessero in questa direzione, si è fatta sfuggire le scadenze. Risultato? I soldi sono andati perduti. Sì, andati, non ci sono più. E i nuovi proiettori, la vita delle sale di tutta la Sardegna? In bilico. Il caso Cineworld rischia di essere solo l’inizio di una lunga serie. Ora in Regione si cerca di correre al riparo, c’è l’impegno di trovarli da altre parti i soldi che servono, magari per contribuire anche solo parzialmente ai costi sostenuti dalle imprese. E intanto i fondi europei sono andati perduti e i nuovi verranno tolti ad altri settori.
Siamo in Sardegna e ogni ulteriore commento è superfluo, la poesia ha lasciato il posto alla rabbia.
5 febbraio 2014