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Hollywood "coloured"

La Notte degli Oscar premia “12 anni schiavo” di Steve McQueen. Presenza e ruolo dei neri nel cinema americano, 2° puntata dell’interessante approfondimento. di Gianni Olla

''La Capanna dello Zio Tom''Vai alla prima puntata

Nel raccontare la presenza e il ruolo dei neri nel cinema hollywoodiano, son da segnalare due fenomeni notevoli sul piano dell’impatto con il pubblico popolare: "La capanna dello zio Tom" e "Radici".
Furono numerose le versioni filmiche del celebre romanzo “La capanna dello zio Tom” di Harriet Beecher-Stowe.

La scrittrice abolizionista lo pubblicò nel 1851, ispirata e sicuramente indignata da una legge federale che imponeva la restituzione ai legittimi proprietari degli schiavi fuggiti dalle piantagioni del sud per cercare rifugio negli stati in cui questa obbrobriosa condizione umana non esisteva.

''La Capanna dello Zio Tom''Lo spunto storico è ripreso anche dal romanzo e dal film 12 anni schiavo, che si rifanno ad un episodio autobiografico accaduto nel 1853 ai danni di un nero libero. Nello stesso film, e ovviamente nel romanzo, le traversie del protagonista, Solomon Nortuhp, comprato da uno schiavista pavido, ma compassionevole e timorato di Dio – che infatti legge le scritture ai familiari e agli schiavi – e quindi di nuovo venduto ad un sadico proprietario di campi di cotone, richiama “sottotraccia” il libro della Beecher-Stowe, sorta di bibbia dell’antischiavismo che il critico Edmund Wilson paragonò, forse impropriamente, ai romanzi di Dickens e Zola sui “dannati” delle metropoli europee.

''La Capanna dello Zio Tom'' con Samuel JacksonSi contano non meno di una decina di versioni filmiche del romanzo, e le prime sono datate nel decennio che apre il XX secolo. Anticipano cioè il celebre Nascita di una nazione di cui è già scritto nell’articolo del precedente numero di Cinemecum. Anche in questi film, comunque, i neri presenti sullo schermo erano in realtà dei bianchi “colorati” con il carbone.
Il senso pietistico-melodrammatico del romanzo – che preoccupò anche Lincoln, quando, non ancora presidente, pensò che la sua pubblicazione avrebbe infiammato il movimento abolizionista,  accrescendo i contrasti politici tra gli stati schiavisti e quelli che avevano già cancellato la schiavitù dai loro ordinamenti – non ebbe però un grande seguito cinematografico.

''Radici''Proprio il film di Griffith, con il suo razzismo apparentemente razionale, dimostrò che la guerra civile non aveva sanato quei contrasti, ma semplicemente cancellato un ingiustizia legale ed economica.
Per contro, lo stesso romanzo, fu portato sullo schermo anche nei paesi europei. In Italia nel 1918, e in Germania Est – la versione  migliore, visibile talvolta anche in tv – nel 1965, per la regia dell’ungherese  Géza von Radványi. Come dire che l’argomento fu usato anche in funzione anti americana da paesi che il razzismo lo avevano esercitato su altre popolazioni.
Il vero spartiacque del cinema anti razziale o semplicemente legato alla visibilità storica degli schiavi africani, fu invece, il celebre “Radici”, prodotto per la NBC nel 1977  e immediatamente distribuito nella maggior parte dei paesi occidentali, compresa l’Italia, dove ebbe un successo straordinario.

''Radici''Raccontava la vicenda del giovane Kunta Kinta, che ai primi dell’Ottocento, fu rapito alla sua tribù di Mandingo – uno dei più vasti gruppi etnici dell’Africa centro-occidentale – e venduto come schiavo negli Stati Uniti. L’epopea del coraggioso e fortissimo schiavo – citata anche da “Django Unchained”, nella discussione sui negri da combattimento, ovvero i favolosi Mandinko o Mandingo – e della sua famiglia arrivava fino alla guerra civile e alla liberazione.
Così come accadde per La capanna dello zio Tom, anche questa novellizzazione si affidava a archetipi avventuroso-melodrammatici di sicuro impatto, ma rimase, nell’opinione pubblica americana, che pure aveva subito mutazioni crescenti, anche in seguito alle rivolte dei neri delle metropoli, come una sorta di apparizione fantasmatica, turbativa, che ricordava loro una macchia d’origine: la terra della libertà era anche la terra dello schiavismo.

''Radici''Un’ultima curiosità: tra gli autori della serie, un posto particolare spetta a Marvin Chomsky, regista televisivo di origine ebraica, che l’anno successivo avrebbe squarciato il velo di un’altra rimozione filmica, ben più recente: la Shoah. Il nuovo sceneggiato era intitolato “Olocausto” ed era interpretato da attori che, in breve sarebbero diventati famosi: Meryl Streep, James Woods, Ian Holm.
Olocausto” non ebbe però il successo mediatico di “Radici”: troppo turbativo, e soprattutto, troppo vicino alla storia recente di un paese europeo civilissimo come la Germania.

5 marzo 2014

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