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Film Consiglio

"12 anni schiavo" di Steve McQueen

Il consiglio di Elisabetta Randaccio

''12 anni schiavo''"Le memorie di Solomon Northup", pubblicate nel 1853, decisamente meno note del best seller “La capanna dello zio Tom” di Harriet Beecher Stowe edito l’anno precedente, sono alla base di “12 anni schiavo” del regista inglese Steve McQueen, alla sua terza prova dopo lo straordinario “Hunger” (2008) e “Shame” (2011).

L’autore affronta lo schiavismo, punto di forza dell’economia del Sud degli Stati Uniti fino alla guerra di secessione (1861-1865) e ennesima pagina di orrori nel quaderno della “nascita di una nazione”, attraverso l’esemplare vicenda di Solomon, uomo libero dello stato di New York, rapito e, in seguito, venduto schiavo nel Sud:  un viaggio all’inferno da un padrone all’altro, nella degradazione, nella reificazione,  mezzo di oppressione prediletto dalle società totalizzanti.

''12 anni schiavo''Come capiterà anche nelle istituzionalizzazioni più estreme, come i lager nazisti, a Solomon viene cambiato il nome, resettata l’identità, non solo perché i suoi veri documenti lo avrebbero salvato dallo schiavismo, ma perché per azzerare la volontà di un uomo bisogna, innanzitutto, cassarne il passato, disorientarlo  e allontanarlo da qualsiasi affetto o ricordo per fiaccarlo, renderlo ancora più sottomesso. Poi, il lavoro forzato, le violenze continue e, spesso, insensate; il risultato doveva essere l’equiparazione di uomini, donne e bambine a meno di bestie, oggetti di sfruttamento lavorativo e sessuale, oggetti finalizzati al rendimento economico con atteggiamenti paternalistici, ragionieristici e pure psicotici.

''12 anni schiavo''Difficile, infatti, rimanere immuni dalla prevaricazione e dalla crudeltà in una simile situazione. McQueen, nonostante tutto, non eccede nel mostrarci gli orrori, a volte accenna e non è meno inquietante. Pensiamo alla scena del mercante di schiavi che vuole tenersi la figlia della sfortunata Eliza, perché “con quella carnagione chiara”, gli poterà ricchi compratori . McQueen non ha interesse a mostrarci un eroe, ma la storia drammatica di una sopravvivenza, attraverso le modalità dell’adattabilità, delle scelte discutibili per andare avanti, alcune stupide, alcune ingenue, alcune ferocemente comprensibili, abbarbicandosi al ricordo di un passato, che non può neppure nominare.

''12 anni schiavo''Persino il finale è amaro, se, mentre va via dalla piantagione, saluta di fretta la giovane Patsey, ennesima vittima delle ossessioni sessuali del padrone e della crudele gelosia della moglie.
Steve McQueen, ancora una volta, utilizza la sua sensibilità di videoartista per ricostruire un mondo incrociato di grande luminosità e di ombre potenti. Ma, come ha scritto un critico, non per generare “cartoline della schiavitù”, semmai riprendendo  la lezione della pittura del tempo, ricostruendo paesaggi e natura che diventano ennesime barriere per la prigione “all’aperto“ degli schiavi. In questo senso la fotografia di Sean Bobbitt, collaboratore fedele e fondamentale per il regista, ha modo di  esprimersi con effetti assai intensi e non fini a se stessi. E’ protagonista come gli interpreti, tra tutti Michael Fassbender, alle prese con uno psicopatico alcolizzato, di cui mette in evidenza gli eccessi e le frustrazioni.

Purtroppo, il suo schiavista non finisce come i personaggi  di “Django unchained” di Tarantino e gli spettatori non possono godere del cinematografico “giustizia è fatta”, perché la realtà non punisce i malvagi, bensì, come accadde al padrone di Solomon, si liberò di qualsiasi accusa, e continuò ad arricchirsi….

5 marzo 2014

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