Percorso

Presto al cinema "I fratelli Karamazov" di Petr Zelenka

Una straordinaria analisi del film girato nel 2008: gli intrecci con la letteratura e la storia  russa. di Gianni Olla

''I fratelli Karamazov'' di Petr ZelenkaI fratelli Karamazov” è un film che il regista ceco Petr Zelenka ha girato nel 2008. Inedito in Italia, è stato recentemente immesso nel mercato d’essai dalla Distribuzione indipendente. Nei locali della Biblioteca comunale di Monserrato c’è stata un'anteprima, organizzata dall’Associazione L’Alambicco, che prelude ad una programmazione nelle sale cagliaritane, o direttamente all’uscita in Dvd.

Scriverne è doveroso, ma anche impegnativo e irto di difficoltà interpretative. Pesa su quel titolo – l’ultimo romanzo di Fëdor Michajlovič Dostoevskij, pubblicato a puntate, come romanzo d’appendice, a partire dal gennaio del 1879 – una presunta intraducibilità filmica, che riguarda anche le altre grandi opere dello scrittore, definite da Franco Moretti  “romanzi di idee”. La loro specificità sta in una scrittura che privilegia la messa in scena di caratteri estremi e di idee altrettanto estreme, legate alla cosiddetta spiritualità russa e, all’apposto, al nichilismo, i due poli dei sismi ideali e sociali che caratterizzarono, in quel paese, la metà dell’Ottocento.

''I fratelli Karamazov'' di Petr ZelenkaQuesta presunta o reale intraducibilità, smentita comunque dal bellissimo “Idiota” (Hakuchi – 1951) di Akira Kurosawa, non ha impedito però che l’opera di Dostoevskij faccia parte di una trasversalità ideale – di temi, di forme, di caratteri, di situazioni – capace di permeare in profondità la storia del cinema e dei film, universalizzandosi nell’immaginario collettivo dello spettatore, a prescindere dalla conoscenza diretta dei testi originali.
E giusto per chiudere questa lunga introduzione al film ceco, all’opposto di questa tendenza universalistica, si collocano gli sceneggiati televisivi italiani, apertamente  divulgativi, diretti da Giacomo Vaccari (“L’idiota” – 1959), Anton Giulio Majano (“Delitto e castigo” – 1963), “I fratelli Karamazov” e "I demoni” di Sandro Bolchi (1967-1972). La messa in scena presente nel film di Zelenka è invece quasi sperimentale, legata cioè ad un teatro che, nei paesi dell’est Europa, e in particolare in Polonia, ha mosso i primi passi negli anni Sessanta di Kantor e Grotowski, e che, negli stessi anni, ha inventato gli “Amleti” esistenziali in calzamaglia nera, macerati dal dubbio se rivoltarsi o stare quieti, come intellettuali privilegiati, sotto la cappa del conformismo comunista.

In virtù di questa “sperimentalità”, che inizialmente sembra volutamente “naif”, la regia si colloca a cavallo tra la conoscenza perfetta dell’opera originale e una voluta disgregazione drammaturgica della stessa, tesa a  “derussificarla”, facendola transitare in altri contesti storico-geografici, comunque confinanti.
Il punto di partenza è infatti Praga. La Praga contemporanea, ma anche la città di Kafka, Hasek, e Hrabal, scrittori tragico-grotteschi. Qui una compagnia teatrale è già sull’autobus che deve portarla in Polonia, e specificamente a Nowa Huta, una grande città/fabbrica che sorge a poche decine di chilometri dalla capitale culturale e religiosa del paese: Cracovia.

''I fratelli Karamazov'' di Petr ZelenkaIl gruppo, composto in maggioranza da giovani, è stato invitato a rappresentare il suo ultimo lavoro, appunto “I fratelli Karamazov”, nell’ambito di un festival teatrale che potremmo definire d’avanguardia.
Fisicamente, però, il teatro non esiste proprio: si dovrà recitare  negli spazi interni e esterni delle immense acciaierie, oggi dismesse, le cui attrezzature, acquistate da un imprenditore indiano, saranno trasferite in Asia. Quella città/fabbrica, costruita per volontà di Stalin nel 1953, fu, a partire dagli anni Settanta, uno dei centri di Solidarność, il sindacato che osò sfidare e, alla fine, sconfiggere il regime comunista. Quel festival dovrebbe dunque certificare la possibilità di immaginare una nuova Polonia in cui anche la tradizione culturale – e religiosa – rinasca dalle ceneri del comunismo.

''I fratelli Karamazov'' di Petr ZelenkaE, dunque, proprio il contatto ravvicinato tra i tre paesi che facevano parte dell’impero sovietico, provoca un primo cortocircuito. Nella Russia di Dostoevskij,  la Polonia era un indiretto dominio imperiale e nei suoi romanzi il termine dispregiativo “polaccuccio” compare spesso, magari in alternativa a ebreuccio. Non a caso, nel corso delle prove, nel palcoscenico improvvisato che utilizza magnificamente le attrezzature della fabbrica e ogni altro strumento atto a trasformarsi in scenografia, un’attrice ricorda al regista che si era stati d’accordo nell’omettere una terribile descrizione di tortura rituale nei confronti di un bambino e attribuita ad una coppia di ebrei. La lunga memoria della Shoah ha cancellato l’antisemitismo storico e i pogrom russi e polacchi che precedettero di quasi un secolo il trionfo di Hitler e dei suoi scherani.

Altre omissioni importanti di questa messa in scena riguardano lo starec Zozima, il santo che intuisce la tragedia che incombe sulla famiglia, e consiglia Aleksej di abbandonare la tonaca; e soprattutto “Il grande inquisitore”, racconto/apologo sulla libertà – annunciata dal ritorno di Cristo sulla terra, nella Spagna del Seicento  – contrapposta alla presunta serenità e felicità di un popolo che, secondo l’inquisitore, è ben felice di non dover esercitare il libero arbitrio; i tiranni, saggiamente, pensano e agiscono per il loro bene.

''I fratelli Karamazov'' di Petr ZelenkaIl testo è incastrato dentro il romanzo: una creazione anticattolica e antireligiosa tout-court – per gli ortodossi il Papa è stato spesso identificato come l’anticristo – dell’intellettuale Ivan, colui che teorizza, come aveva già fatto (e praticato) Raskolnikov, che “senza Dio tutto è permesso”.
Quella parte del romanzo è, nel progetto della compagnia praghese, impraticabile o solo citabile come sottotesto: una doppia allusione ai dirigenti comunisti, moderni inquisitori, che negano la libertà al popolo in nome della presunta felicità del modello di vita comunista, e al bisogno di ritrovare il Cristo cancellato dal comunismo polacco. Nel 1953, infatti, all’ingresso della fabbrica, gli operai costruirono una chiesa.
Un altro riferimento importante alla memoria del passato è rappresentato dallo schema drammaturgico, basato sul processo finale a Dimitri Karamazov, accusato di parricidio, delitto terribile (analizzato da Freud proprio a proposito di Dostoevskij e dei Karamazov) che distrugge le fondamenta della società, come afferma ripetutamente il pubblico ministero. Ma l’uccisione del padre, che nei paesi comunisti ha avuto inizio nel 1956 con il processo postumo – e un po’ farsesco – di Krushev ai danni dello scomparso Stalin, è stato una costante della travagliata storia del dopoguerra. E forse le continue sottolineature della gravità sociale del parricidio hanno a che fare con un inconscio collettivo che non è ancora riuscito a scacciare i fantasmi del passato.

''I fratelli Karamazov'' di Petr ZelenkaNon a caso il primo “coup de théâtre” è appunto la comparsa in scena di un morto. Una barella ospedaliera trasporta il corpo del reato, inteso anche in senso letterale: Karamazov padre, il quale si alza in piedi e dialoga con i figli, raccontando la sua vita scellerata e l’odio che Dimitri, il figlio primogenito, nutriva per lui.
Pian piano la recitazione si espande per tutti i capannoni della fabbrica, ed anche fuori, nei cortili in cui ha ricominciato a crescere l’erba. Quelle che avrebbero dovuto essere delle prove, per lo spettatore cinematografico si trasformano in una vera e atipica messa in scena, in cui compaiono, come testimoni, i principali protagonisti del romanzo: i tre fratelli, il fratellastro Smerdiakov, le due donne (Katerina Ivanovna e la Grušenka) moralmente e psicologicamente contrapposte, ed infine il diavolo, ovvero lo stesso padre che sguscia fuori un’ultima volta dal letto di morte per far impazzire definitivamente Ivan, oppresso dal senso di colpa per aver plagiato il fratellastro/servo Smerdiakov, vero autore del delitto.

Costruito inizialmente come una “clowneria” che dovrebbe allontanarsi dalla lettura storica di Dostoevskij, questo tipo di messa in scena ci autorizza a tornare a Praga, capitale della Repubblica Ceca, e prima ancora cecoslovacca: uno stato inesistente nell’Ottocento ma una nazione e una cultura già ricchissima, intellettualmente permeata dal tragico umorismo ebraico. Poi, anche a Praga arrivò il Novecento, i massacri nazisti e la dittatura comunista. Ma anche la primavera praghese di  Dubček e la grande stagione cinematografica della Nová Vlna, negli anni Sessanta.

''I fratelli Karamazov'' di Petr ZelenkaChi per primo pensò ad una trasposizione teatrale del romanzo, fu, non a caso, negli anni Settanta, il regista Evald Schorm, che assieme a Forman e a Menzel, può essere considerato l’esponente di un cinema sottilmente ironico, parente stretto dei primi racconti di Milan Kundera, i cui spunti tematici che irridevano il conformismo della burocrazia comunista, furono a dir poco osteggiati dal regime e cancellati dai carri armati sovietici nell’agosto del 1968.
Zelenka omaggia Schorm nei titoli di coda: ha recuperato quel testo, circondandolo di una contestualità nuova. Rimane in piedi quell’umorismo grottesco tipico appunto di certi racconti di Kafka o dello “Svejk” di Hasek, ma, appunto, anche del Dostoevskij che, in gioventù, prima di essere deportato con l’accusa di appartenere ad una società segreta antizarista, aveva scritto un divertente, benché già inquietante, romanzo gogoliano: “Il sosia”.

Basti pensare alla rievocazione processuale della scena che precede l’omicidio: Smerdiakov, dalla faccia irritualmente buffa, nonostante i tormenti, si prende gioco dei suoi fratellastri, incitato dal padre naturale che lo invita a teatralizzare i suoi attacchi di “mal caduco” – veri momenti di clowneria che però annunciano la tragedia – per poi testimoniare il ridicolo innamoramento del vecchio per la Grušenka, imitandone la voce distorta e ansiosa e usando una sedia come finestra, in cui si affaccia il personaggio in attesa della sua possibile amante. Ma anche il tormentone dialogico, in forma di sfida verbale, tra Ivan e Alioscia, sull’esistenza di Dio, appartiene allo stesso versante.
E infine, la taverna zingaro-ebraica in cui Dimitri raggiunge la Grušenka, fuggita con un ufficiale polacco che da lei vuole solo i soldi, è una sorta di piano-bar, in cui un musicista canta una canzone: il ritornello annuncia che ai russi “spaccheremo il muso”.

''I fratelli Karamazov'' di Petr ZelenkaIl corto circuito, innestato dall’iniziale ambientazione culturale praghese, continua dunque a provocare effetti stranianti anche nell’improvvisato teatro polacco. Oltretutto, nei capannoni di Nowa Huta c’è un guardiano, un uomo di mezza età, dal viso angelico, tormentato dall’ansia e dal rimorso per un gravissimo incidente occorso al figlio proprio negli stabilimenti dismessi. Costui racconta l’origine della fabbrica e lo sfregio di Stalin alla cultura e alla tradizione religiosa della Polonia.
Il personaggio è morbosamente attratto dalla messa in scena e forse si specchia in un altro racconto parallelo, presente nella riduzione teatrale proprio in virtù di questa sottile analogia: la malattia e la morte del piccolo Iljuša, figlio di un ufficiale insultato e picchiato proprio da Dimitri Karamazov. Il guardiano chiede infatti di proseguire nella recita – prova o spettacolo che sia – anche quando gli viene annunciata la morte del figlio.

Sembra un personaggio kieslowskiano – diciamo l’angelo della morte che compare, interpretato sempre dallo stesso attore, in “Il Decalogo” – portatore di una universalità diversa e opposta rispetto al grottesco. Con il suo ultimo gesto, il suicidio, che segue  quello di Smerdiakov, Dostoevskij e il suo romanzo ritornano ai luoghi, non più storici, ma sicuramente geografici e culturali.
È stato inutile piegare la tragedia alle forme del vaudeville e del clownesco: alla fine la vita, ovvero la tragedia della vita e della morte si è presa la sua rivincita. Il testo teatrale, sparso nei luoghi fisici che hanno visto la terribile storia della Polonia comunista – o della Polonia tout court, anche quella disprezzata da Dostoevskij – si è fuso con quella realtà.

16 aprile 2014

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