Percorso

Narrazione per una rassegna di film intorno al mondo di Maria Lai in 10 capitoli - Capitoli 2, 3 e 4

di Salvatore Pinna

''2001. Odissea nello spazio''CAPITOLO 2

“Vi ricordate "2001. Odissea nello spazio"? Che meraviglia! A questo punto, trasportato da un movimento più sferico che circolare, il  film trascina nel suo vortice tutte le immagini, visive e sonore, sia cinematografiche, sia grafiche, pittoriche  e musicali.

Associa e riconcilia l’istante fugace e la durata maestosa, l’agitazione del discontinuo atomico e la vasta continuità delle galassie.” (Jean Douchet, commento a Histoire(s) du film di Jean-Luc Godard)

In questo mondo che rischia lo sfacelo c’è la salvezza del racconto. Ricordiamoci 2001. Odissea nello spazio (Stanley Kubrick, 1968). Finisce la vita del cosmonauta e incomincia una nuova avventura, in una forma più evoluta di vita. Un piccolo essere, il bambino della stelle, punta verso Giove. La luna alle spalle, è un’esperienza già consumata.  Questa avventura può farsi grazie e un racconto che inizia di nuovo, grazie a un gesto della volontà narrativa di Kubrick che si concede e vuole concedere una speranza.

''2001. Odissea nello spazio''Per intenderci sarà ben diverso lo stato d’animo, di scoramento e di pessimismo, che pervade Kubrick e lo spettatore, vedendo all’opera Jack Torrance di Shining (1980). Ricordate la fine che fa Jack? Chissà se muore davvero nel labirinto.  Forse è’ solo congelato. Tornerà! In qualche momento della vita tornerà. Essere come noi, del tutto simile a noi,  con dentro idee e pulsioni sconosciute, lo incontreremo per strada o nel pianerottolo di casa. Forse siamo noi. Se è un politico amerà presentarsi con le sembianze di un uomo nuovo. Invece è solo un uomo rimesso a nuovo, appena scongelato per l’occasione.
Per fortuna il riferimento di Maria Lai è il Kubrick di 2001. La scena finale ritrae il protagonista prima giovane, poi vecchio, poi sul punto di morire, e poi che rinasce come feto astrale. C’è, quindi, un ritorno ad un punto di partenza, ma in uno stadio più evoluto.

''2001. Odissea nello spazio''L’unico limite all’ottimismo è che la speranza è tutta da conquistare e che la vita ruoterà sempre intorno a quel fulcro di tutte le nostre domande senza risposta che è rappresentato da Monolito. Quella figura rettangolare che gli ominidi hanno trovato davanti alla grotta e in qualche modo gli ha insegnato a sopravvivere  ora sorge nel bel mezzo della stanza del morente in attesa di essere decifrato in vista di avventure umane più avanzate. Quali non si sa. Forse è il pianeta Giove che si intravede da lontano.  Il finale è aperto a qualsiasi interpretazione. Si capisce che 2001 ha incantato Maria Lai per le invenzioni visive ma anche perché il tema le era congeniale, era suo:  il mistero della vita quotidiana non è separabile da quello del cosmo e quello che non conosciamo è qualcosa di immenso che può fare paura. Tuttavia bisogna tendervi, anche se è rischioso, facendo leva su quella ininterrotta  e felice disarmonia che lei chiama ansia d’infinito.  

''2001. Odissea nello spazio''. Kubrick sul setÈ nel film Ansia d’infinito, Clarita Di Giovanni, 2010,   che Maria Lai dichiara la sua ammirazione per 2001. Odissea nello spazio. Maria Lai amava Ansia d’infinito. Nel film essa trovava una corrispondenza con la sua biografia umana e artistica. L’illusionismo del cinema  conferisce la terza dimensione ad un opera che sembra nata per la rappresentazione nello spazio cinematografico. E forse in Ansia d’infinito ha visto movimenti del film di Kubrick, l’arcaicità e la modernità fuse in un solo atto creativo. Mentre Ansia d’infinito è un’intensa  e poetica partecipazione al viaggio creativo, Post Scriptum (2013) della stessa Di Giovanni, è sull’arte del viaggiare, intendendo per questo la conoscenza e la crescita. Si potrebbe considerare una summa della vocazione pedagogica di Maria Lai, consustanziale all’estetica dell’arte pubblica da lei propugnata.

Maria LaiDa qui le affermazioni dell’arte come artificio rigoroso, che non ammette ingenuità, l’analogia tra il pane che nutre il corpo e i pani di pietra che nutrono la coscienza, e che solo il processo di digestione, corporea o culturale, fa diventare sangue che fa battere il cuore.

Da qui, la novantenne artista cosmopolita,  inventa la stupenda e divertente metafora del calcio, che non è meno rigoroso per il fatto di essere gioco. Da qui le affermazioni nette e severe sulla scuola e i suoi doveri elusi.  

 


 

Maria Lai ''Legare collegare''CAPITOLO 3. MACCHINA DA CUCIRE, TAVOLA DI MONTAGGIO
“Mi chiedo cosa vuol dire cucire. Un ago entra ed esce da qualcosa lasciandosi dietro un filo. Più che saldare e incollare il filo unisce come si unisce guardando e parlando. Il filo si può tagliare, sfilare. Luoghi e tracce del pensiero tornano intatti affidati alla memoria che è altro filo, altro cucire.” (Maria Lai in: Francesco Casu, Fili di memoria]. Cucire è  unire luoghi e intenzioni. “Niente è fisicamente trasformato. Le cose unite restano integralmente quelle che erano. Solo attraversate da un filo.  Percorso del pensiero. Un bussare alla porta, entrare. Esplorazione non presa di possesso.”

''Legare collegare''Questo concetto Maria Lai lo spiega in Fili di memoria, Francesco Casu, 2005 che è un film di cucitura -  nel cinema si dice montaggio - che unisce spezzoni di repertorio e brani originali per costruire una storia della Sardegna dal 1900.  Legare collegare (Tonino Casula, 1981) è un documentario di diciassette minuti su un’opera d’arte in cui Maria Lai cuce genti e luoghi. “Con Legarsi alla montagna, -  dice Manuela Gandini - l’artista connette un’intera popolazione al proprio luogo e alle proprie tradizioni.” Il filmato di Tonino Casula, insieme alle foto di Berengo Gardin, è un raro documento di un’opera della cui importanza  l’artista è ben consapevole: “Dovessero bruciarsi tutte le altre opere non mi interesserebbe quanto che rimanga in piedi la storia di Ulassai.

GodardHa bisogno di tempo. Ma deve tornare in modo positivo. Vorrei che di me rimanesse questa. La storia di Ulassai.” (Maria Lai in: Ansia d’Infinito di Clarita di Giovanni, 2010).  In Inventata da un dio distratto (Marisila Piga e Nicoletta Nesler, 1999) è ben spiegato che un’esperienza come Legarsi alla montagna nasce dalla consapevolezza che siamo fatti tutti di una stoffa diversa, a volte in contraddizione l’una con l’altra. Nulla è consolatorio in Maria Lai, pur essendo la sua  un’opera che dà felicità. “E venivano fuori tante storie di rancori per cui tutto il paese era una specie di Cent’anni di solitudine. Erano tutti soli in questo paese. Tutti in lotta uno contro l’altro. Pieni di sospetti. Incominciarono a crederci in dieci. E questi dieci parlarono con la gente. E diventarono creativi. Allora decisero che il nastro avrebbe avuto un nodo dove c’era amicizia. Oppure un fiocco addirittura se l’amicizia era grande.  E se c’era l’amore si appendeva un pane delle feste. Passava dritto dove c’era il rancore… Poi il nastro volò sul paese, legò il paese, e scoppiò un grande entusiasmo. E tutti incominciarono a ballare e si ballò per tutta la notte.” (Maria Lai in: Inventata da un dio distratto)

GodardAvvicinare quello che è lontano nello spazio e nel tempo, far scoccare la Storia dalle storie. Questo è il montaggio nel cinema, questo è il cucire nell’arte di Maria Lai. Come il cucire non ubbidisce alla macchina da cucire, così il montaggio non ubbidisce alla tavola di montaggio, ma entrambe realizzano qualcosa che sta nella mente del creatore. Che spesso è la rielaborazione di opere altrui, depositate nella memoria. C’è una assoluta concordanza tra il modo di Maria Lai e quello di un inventore del cinema moderno come Jean-Luc Godard. “L’io cinematografico di Godard è – dice Jacques Aumont – è fatto della sua memoria filmica”, che si rimette in gioco nella forma del rimando, della citazione.  Il rimando, l’intertestualità è una caratteristica post-moderna di Maria Lai, e il suo cucire altro non è che il montaggio delle attrazioni.

Méliès ''Voyage dans la lune''E allora ecco una possibilità: vedere all’opera Maria Lai senza vederla all’opera. Avvicinandola a un film esemplare del gesto artistico di Godard. La proposta è quella di vedere l’ottavo paragrafo  delle Histoire(s) du cinema. Quello intitolato Les signes parmi nous, in cui Godard parla “dei segni presenti in ogni cosa che possono essere visti oppure uditi.” Tracce e sinonimi che permettono di raccontare una storia.
Il legame di Godard con il cinema passato chiama in gioco Méliès. Come non pensare che vi possa essere una naturale affezione e affinità tra Maria Lai e il più “marialaiano” dei registi delle origini? E allora osiamo: Voyage dans la lune (Georges Méliès, 1902) perché mette insieme, cuce, materiali artigianali, con un senso profetico del futuro, che riguarda l’avvenire umano e quello dell’arte. Un accostamento tra due artisti visionari cui fa da ponte un artista che ha dato inizio alla vera storia del cinema. Qui sappiamo di non osare troppo dato che Introduzione alla vera storia del cinema è comunque il titolo di un libro di Godard (riedito nel 2012 da PGreco).

 


 

''Mare muro'' Maria LaiCAPITOLO 4. UN VIOLINO IN PIÙ
“Dopo la mia morte sentirai un violino in più nella tua orchestra.” Quel violino in più che suona  “per me e per la Sardegna”, “quel violino in più che suona nella nostra storia” è Salvatore Cambosu, “l’amico mai veramente perduto”. (Maria Lai, in: Maria D’Ambrosio (a cura di), Media Corpi Saperi. Per un’estetica della formazione (Franco Angeli, 2006). La necessità dei maestri è uno dei punti su cui Maria Lai torna con insistenza sia in riferimento alla sua esperienza personale sia nel delineare una sua pedagogia dell’arte e del pensiero a vantaggio per le giovani generazioni.  Dice Francesco Casu: “Mi ha sempre parlato dei suoi maestri e delle persone più importanti della sua vita.  C’è stato un maestro più segreto, più nascosto, intessuto in tutta la sua opera, un maestro invisibile: Salvatore Cambosu, il narratore poeta.

''Dalla parola al segno''Il maestro di scuola, di vita e di poesia, colui che ha veramente e profondamente ispirato Maria Lai segnandone per sempre il cammino.” Salvatore Cambosu è il protagonista del documentario Dalla parola al segno, Francesco Casu, 2013. In questo film il regista non assume il punto di vista esterno e oggettivo del documentarista ma si dispone a un dialogo tra maestra e allievo, che promette rivelazioni  importanti. Torna il senso delle vecchie leggende di Miele amaro che  apriva orizzonti impensati al bisogno dell’artista di trovare rapporti tra parola e immagine, tra silenzi e vuoti”.  E riprende attualità l’intuizione di Cambosu di una Sardegna “fatalmente favorevole come luogo di nascita, perché essere sardi, preistorici, solitari, poteva diventare un privilegio per i tempi nuovi che si preparavano.” Su un altro dei suoi maestri, Costantino Nivola, non esiste un film. Ma la figura dello scultore di Orani è evocata da una fiction singolare.

Costantino NivolaSi tratta del corto A casa, Andrea Caboni, 2004. Narra l'ultimo giorno di vita di un anziano signore di origine sarda emigrato da tempo a New York che muore su uno dei  tappetti esposti una mostra di artigianato sardo. È come se, attraverso quel tappeto, avesse scelto di morire non a New York, ma nel luogo che, più di ogni altro, abitava nei suoi pensieri. La morte di Nivola è stata raccontata come in questa fiction del 2004 da Maria Lai in Inventata da un dio distratto, che è del 1999: “La Fontana” del 1987 fu la sua ultima opera. Poi partì e morì. Era il 1988. È stato chiamato a inaugurare una mostra a New York, una mostra di tappetti sardi. Nivola, guardando i tappetti che erano tutti per terra ha detto: mi permettete di sdraiarmi su un pezzo della mia terra? E allora è andato, si è sdraiato, ha sorriso, non si alzava più. Ha avuto una morte stupenda!”

''Il dio distratto''La Nuova Sardegna del 7 maggio 1988 così riporta la notizia della morte dello scultore di Orani: “Per un attacco cardiaco è morto ieri, nella sua casa di New York, dove viveva da quasi cinquant' anni con la moglie signora Ruth e la figlia, lo scultore Costantino Nivola.” Curioso e significativo travisamento mitizzante quello di Maria Lai che la fiction ha fatto propria.
A La leggenda del Sardus Pater di Giuseppe Dessì Maria Lai si rifà per il suo Il dio distratto (1990) tradotto in film nel 2008 con Il dio distratto, Francesco Casu, 2008. Nella “traduzione” di Maria Lai le Janas producono segni dai ritmi rigorosi e misteriosi che, però,  “suggeriscono la possibilità della comunicazione.”

''Il dio distratto''Il dio distratto accentua gli aspetti della comunicazione, è fatto per essere visto e contiene molte ellissi narrative rispetto a La Leggenda del Sardus Pater di Dessì. In definitiva la fiaba dell’artista di Ulassai, sia nel libro cucito che nel film è più aperta e fungibile. Il racconto orale con cui l’autrice accompagna le lettura dei libri e presta la voce al film, si propone come un gioco che si ripete, o si può ripetere, ogni volta diverso.  
Maria Lai “fa da tramite e rende fruibile” il pensiero di Antonio Gramsci. In molti film di cui è protagonista ricorre il dialogo col pensatore di Ghilarza sui temi vitali come l’arte pubblica e l’insegnamento.

''Mare muro'' Maria LaiQuesti temi insieme a quelli dell’infanzia, della semplicità, dell’essere sardi e isolani sono presenti in Mare Muro, di  Massimiliano Bomba e Gianluca Scarpellini, 2007, un cortometraggio impreziosito dai recitazione della stessa Maria Lai che dialoga con Gramsci in una bella sceneggiatura di Giorgio Baratta studioso e diffusore delle opere gramsciane, autore, tra l’altro, del soggetto del documentario Gramsci l'ho visto così (1988, 58’) per la regia di Gianni Amico.

 

28 maggio 2014

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