Percorso

Due o tre cose che so di Lai

di Salvatore Pinna

Maria LaiIntroduzione: il trentacinquesimo
Ho chiesto a 35 registi sardi di scrivere un commento su Maria Lai sotto forma di soggetto cinematografico. Uno ha mandato il suo piccolo soggetto, cinque non hanno risposto, ventotto hanno risposto promettendo che lo avrebbero fatto. Lo faranno dopo le vacanze. 28 più 5 più 1 fa 34. E il trentacinquesimo?

Il trentacinquesimo ha risposto per dirmi perché non avrebbe risposto per le seguenti ragioni: “Io non ho mai amato troppo Maria Lai, le sue opere sono meno interessanti della sua vita, o meglio le sue opere  non sono all'altezza della sua vita. Come parlarne senza rischiare di essere compatiti  o biasimati? A dire cose così in Sardegna si rischia il linciaggio, l'opera di beatificazione della Lai in vita e  in morte è  in pieno corso e  non vorrei subire punizioni o turni di squalifica”.
C’è qualcosa di paradossale e contradditorio in questa affermazione. Mentre quello sull’arte è un giudizio critico e perciò relativo, quello sulla vita di Maria Lai è un apprezzamento che ha il valore di una constatazione. Sì la vita di Maria Lai è stata interessante. Sarebbe questo già un motivo per occuparsene. La vita interessante di una grande artista è un buon soggetto per un film. La vita interessante di un’artista che si considera non grande è addirittura un ottimo soggetto per un film eretico, contro corrente. La vita interessante di un’artista considerata non grande e molto amata, poi, ci chiama in causa direttamente. Perché molti di noi amano l’arte e la vita di Maria Lai? Ecco lo spunto per un buon soggetto. Di cui bisogna ringraziare il trentacinquesimo che ci cammina accanto.
Intanto procediamo. In questo numero pubblichiamo frammenti, raccontini, appunti, riflessioni di alcuni artisti, scrittori e ammiratori. Il punto di vista è unico. Per movimentare il tutto si è cercato di abbinare gli scritti con punti di vista diversi di uno stesso tema. So ottiene così un effetto di profondità, un’apertura di possibilità, come pezzi di stoffa di diverso colore. Hanno scritto: Salvatore Pinna, Pinuccio Sciola, Maria Lai, Giuseppe Caboni, Giulio Angioni, Alma Cappai, Marilisa Piga. I pezzi di Sciola e di Angioni sono comparsi per un giorno su L’Unione Sarda più di un anno fa, ma sono così belli che gli autori hanno apprezzato l’idea di rivederli su Cinemecum.

Opere di Maria LaiLa strada che non conosco. di Salvatore Pinna
Un modo di costruire storie alla Maria Lai, consiste nel combinare le opere precedenti, comprese le proprie, con altre creando contrasti e possibilità. Il gioco che propongo consiste nel far interagire Maria Lai con Abbas Kiarostami. Lo sguardo di Kiarostami  sull’esistenza – come quello di Maria Lai -  non è improntato a verità e sicurezze assolute. Nei film del regista iraniano e nelle fiabe cucite e nei presepi  dell’artista ogliastrina i finali sono aperti, incompiuti, da  decifrare. Li accomuna l’idea di Virginia Woolf che La vita è una frase incompiuta. Tanto per incominciare. Una storia  ha bisogno di una fine che deve essere chiara dal principio nella testa dell’autore. Poi si pensa a come iniziarla. Una volta definiti questi estremi ci si infila tutto quello che sta in mezzo.  Bisogna avere l’accortezza di ancorare saldamente la fine ad una idea del mondo. Non importa quale. Incominciamo da Maria Lai. L’artista racconta che quando decise di ripartire per Roma il padre l’aiutò arrendendosi all’evidenza di una figlia che era “una capretta ansiosa di precipizi, che non si poteva tenere nel recinto, anche se il lupo la stava aspettando.” Facciamo reagire questo inizio con la raccolta di poesie di Kiarostami Un lupo in agguato. Il libro contiene 234 poesie piccolissime, ognuna ha il respiro di un haiku. Un lupo in agguato è il titolo del libro ma è anche la poesia n.70. È tutta qui: quattro parole. Analizzando la frase vediamo che ci sono due elementi evidenti e uno mancante anche se implicito. Il lupo che spaventa, l’agguato che richiama una situazione di sopraffazione. Manca però l’oggetto, la preda. Chi è? Potrebbe essere la capretta. Non c’è una capretta nel libro di Kiarostami, ma va bene l’agnello della poesia n.172: Un agnello/distingue/ un lupo/ tra lusco e brusco. Lusco e brusco indica la luce incerta della giornata in cui non si distinguono bene le cose. Ottimo per creare un po’ di suspense. La scena può essere vissuta da diversi punti di osservazione. Quello del lupo che punta la preda, e quello della vittima che scruta. Ma anche quella del poeta che descrive il lupo e pensa anche alla preda, quello del lettore-spettatore che pensa alla scena e a quello che può aver voluto dire il poeta. Ci sono così quattro personaggi il cui punto di vista varia secondo i pensieri che attribuisce agli altri. Scegliamo il punto di vista della vittima perché ce n’è una che fa al caso nostro nella poesia n. 38: Incerto/sono fermo a un bivio,/la sola strada che conosco/ è quella del ritorno.  Che fare? Andare avanti verso l’incertezza o tornare indietro verso casa? Una capretta ansiosa di precipizi  non si ferma certo davanti a un lupo qualunque. Perché è sorretta dalla solida convinzione – eccola la famosa visione del mondo - che l’ignoto è un rischio ma anche un’opportunità e  che la vera casa è il viaggio. E allora va. Del resto le sue montagne non sono poi tanto terribili se, oltre ai precipizi e ai lupi, ci sono anche le nuvole.

Opere di Maria LaiUna passeggiata tra le nuvole. di Pinuccio Sciola
Aeroporto, banco check-in. «Quale posto desidera?» «Finestrino, grazie». «Mi dispiace è già occupato». Mi dirigo al posto assegnato: accanto al vetro c'è un angelo che con un grande sorriso mi saluta. «Ciao Pinuccio». «Ciao Maria». «Felice di fare il viaggio con te. Parliamo d'arte». Appena l'aereo punta al cielo Maria attacca il viso al finestrino. «Mi affascina guardare lo spazio». E poi: «Che fortuna, con un biglietto ci trasportano e ci permettono di vedere panorami straordinari». Quando l'aereo raggiunge l'altezza massima, sembra fermo. «Vieni - mi dice - andiamo a fare quattro passi sulle nuvole». Nessuno se ne accorge, usciamo e ci troviamo in un spazio immenso, senza confini, né orizzonti. «Se hai paura tieniti a questi fili di stelle. Sai, i fili della luce sono come una guida». Lei va sicura, io cerco appoggio sulle cime soffici delle montagne di nuvole che pure tengono il mio peso. Tutt'intorno colori delicatissimi. Lei, felice, va a toccare le sue stelle. Per non perderle nell'immensità le ha legate l'una all'altra con un filo sottile: brillano nell'oscurità della notte e di giorno permettono al sole di offuscarle. Poi ci sono le nuvole che giocano a nascondino: non c'è monotonia nel cielo. All'altezza dell'Ogliastra le nuvole si aprono, guardo giù e vedo i taccos di Ulassai, Jerzu, Osini. «Guarda, Maria, le tue caprette. Quella piccola vuole salire sulle nuvole. Le altre sono rientrate nella grotta di Su Marmuri». Mi sorride felice. Passeggiamo ancora. A un tratto sentiamo un suono dolcissimo, quello delle mie pietre che ora arriva anche quassù. Che magia, i miei suoni nel suo cielo. Atterriamo, peccato. Mi saluta con un augurio: «Spero di poter fare un'altra passeggiata tra le nuvole con te, magari più in alto, forse un giorno, in Paradiso». Grazie Maria.

Opere di Maria LaiFuggire per essere felice. di Maria Lai (da: Ansia d’infinito di Clarita di Giovanni)
Ogni poesia di Caproni per me era un inno. Anna Dolfi che era un critico letterario di Firenze che veniva spesso da Dessì e mi diceva te lo voglio presentare.  Glielo devo dire che sei innamorata di lui. E io dicevo, no. Io non lo voglio vedere. Perché se poi non mi piace mi perdo questo sogno. Lasciamelo immaginare. Se qualcuno mi interessava allora facevo una scommessa con me stessa: voglio vedere se riesco a diventare interessante per lui. Bastava a un certo punto entrare in confidenza, dargli un appuntamento e non andare. Diventavano matti. Ma perché la verità è che si ama solo ciò che è irraggiungibile. Lui mi vedeva improvvisamente interessante perché fuggivo. Allora bisognava fuggire per essere felici. E questi erano i miei pensieri pazzi. Non era possibile fermarmi in nessun progetto serio.

Opere di Maria LaiUn bacio in confessionale. di Giuseppe Caboni
Come noto era molto amica di Giuseppe Dessì. Abitavano entrambi a Roma, in via Prisciano 75, dove io ogni tanto passavo andando e tornando da Pisa, ai tempi “eroici” dell’università. Un giorno lei raccontò questo fatto. Una domenica sera lei e Beppe, a bordo della 1100 che lui guidava con spirito a tratti competitivo, avevano affrontato le colline romane, con allegria. In una chiesa di campagna si erano accomodati dentro un confessionale, e lì, felici, si erano dati un bacio. Il secondo messaggio, forse più politico. In un convegno dedicato a Joyce Lussu, ad Armungia, il 7 Luglio dell’anno scorso, veniva presentato L’ultima pasionaria un documentario realizzato da Antonio Rojch per la RAI sarda. Il direttore della sede di Cagliari Romano Cannas, nel suo intervento raccontò: “Vengo da Cardedu, per una visita a Maria Lai, molto malata.
Le ho detto: “vado ad Armungia per un convegno su Joyce Lussu …sai, la moglie di Emilio. Maria si è tolta la cannula dell’ossigeno per obiettare: “per Emilio avresti detto … sai, il marito di Joyce”?
Ancora un tocco. Invitata a parlare, con altri, al Consiglio Regionale su dei documentari sulla “grande trasformazione” della Sardegna nel ‘900, ai tempi della giunta Soru, al microfono esclamò: “io non vi dico niente!” Poi, nelle chiacchiere successive, invece, parlò molto, naturalmente, con acume e spirito lieve.

Opere di Maria LaiMani e pensiero per cucire il mondo. di Giulio Angioni
"Giocavo con grande serietà, e a un certo punto i miei giochi li hanno chiamati arte", diceva Maria Lai, come per spiegarsi e spiegare la sua vita di artista insolita e di donna insolita fino da bambina, quale si è sempre sentita: antichissima bambina sarda. Maria Lai è stata notevole per la vita che ha vissuto quanto per l'arte che ha praticato, senza rivendicare diritti sregolati di creatività, ma piuttosto richiamandosi alla vita imparata e vissuta nella sua isola, e in quell'isola nell'isola che è la sua Ogliastra. Come ha fatto al suo paese di Ulassai (dov'è nata nel 1919), tornandovi dopo decenni passati a Cagliari, Venezia, Roma e altrove, quando nel 1981 riesce a dar vita a Legarsi alla montagna, quell'happening artistico comunitario memorabile, che ha coinvolto tutta la gente del paese nel rivivere in rappresentazione l'antica leggenda della bambina che salva tutti da una frana correndo dietro a un nastro azzurro insieme ai suoi paesani che la seguono. Forse mai un evento artistico è stato più sociale, collettivo e compartecipe, alieno dagli stereotipi della creatività artistica solitaria dell'artista irripetibile. Questa donnina piccola piccola, che faceva pensare a una mitica giana, è riuscita anche altre volte a organizzare di questi giganteschi happening artistici collettivi.
Maria Lai della giana sarda aveva anche le mani sempre attive in tipici lavori femminili come il tessere e il cucire, che con lei sono diventate modi di espressione e di comunicazione artistica, in forme che fondevano inestricabilmente espedienti della pittura, scultura, fotografia, grafica, design e di altro ancora, e spesso in una compresenza di tempi e di luoghi della normale storia dell'arte, pur restando sempre riconoscibilmente sarda. Io ho avuto il privilegio di accompagnare l'inaugurazione di quel suo modo o periodo dei "libri cuciti", nel 1978, con la mia raccolta di racconti "A fogu aintru", che ha una ventina di "disegni" di Maria Lai, edito dal nipote di Maria Lai, Virgilio Lai, fondatore di quella Editrice Democratica Sarda che, tra il molto altro e importante, dava spazio alle prime prove di scrittura di Sergio Atzeni. Altri tengono e terranno a lungo stretto in mano il capo del filo lungo tessuto e cucito da Maria Lai. E anch'io, Maria, il capo del filo te lo terrò fin che campo, perché non l'ho mai lasciato da quando tu l'avevi appena dipanato per imbastire e poi cucire il mondo.

Opere di Maria LaiTanti fili fuori posto. Cronaca del racconto di una mia cognata ogliastrina. di Alma Cappai
Zia Adelina era andata diverse volte a trovare sua nipote nella bella casa da cui si poteva godere lo splendido panorama del mare di Ogliastra e talvolta aveva dato una mano per riassettare le stanze. Una delle ultime volte in cui era andata, si ricordò che le restava una cosa da fare; si armò di un paio di forbici  e si avviò verso la sala grande. La nipote, incuriosita da tali preparativi, le chiese come mai si fosse così attrezzata e che intenzioni avesse con quelle forbici in mano. Zia Adelina, che fin da giovane si era spesa per diventare una delle più abili ricamatrici d'Ogliastra e mal sopportava vedere fili fuori posto, con fare indifferente, ma deciso, le rispose: "Vedi, quella tela che ti hanno regalato e che tieni con tanto orgoglio appesa al muro, ho visto che ha tanti fili fuori posto, che pendono un po' da tutte le parti, adesso le do una sistematina". E mentre finiva di pronunciare dette parole, si avviò con passo svelto per non restare indietro con il lavoro. La voce terrorizzata di sua nipote la bloccò, appena in tempo per salvare l'opera dalla “messa a punto” di zia Adelina. Da allora la “tela”, pregiata opera dell'artista Maria Lai, fa bella mostra di sé in una bacheca sigillata, per preservarla dagli agenti atmosferici e per salvarla da possibili incursioni di maniaci dell'ordine.

Opere di Maria LaiLe grandi bellezze. di Salvatore Pinna
Jean-Luc Godard così si espresse dopo aver deciso di non andare a vedere La vita è bella (1997) di Roberto Benigni: “Sarei andato a vederlo se il film avesse avuto il coraggio di portare il suo vero titolo, ovvero, La vita è bella ad Auschwitz. Parafrasando Godard verrebbe da dire che sarebbe stato più onesto se La grande bellezza di Sorrentino avesse avuto il coraggio di portare il suo vero titolo, ovvero, La grande bellezza a Roma. Per via di quelle ispirate congiunture astrali che decidono che cosa va e che cosa non va, entrambi i film sono stati premiati con l’Oscar. Buon per loro. Quello che riesce insopportabile è l’antico vezzo del cinema romano di occupare  il posto di tutti, di voler parlare per conto di tutti. Il mondo di Maria Lai ha matrici riconoscibili, quella cultura, quei segni, quelle storie. Eppure le travalica, si pone più in alto, le elabora creativamente, le rende adatte ai compiti nuovi che propone a questa terra e all’umanità.  Sarebbe difficile parlarne come La grande bellezza a Ulassai.

Opere di Maria LaiSoggetto post artista  e post umano [oltre l’artista, oltre la vita]. di Marilisa Piga
Ora Maria Elle, abbandonata la terra, si trova a vagare nel Giardino delle Esperidi. Questo giardino è il Paradiso che ospita le donne artiste di ogni tempo. Maria Elle abita qui da un anno. Il suo corpo cucito è rimasto a Cardedu e a Ulassai. Frida Kappa risiede in questo Paradiso da sessanta anni. Le ceneri del suo corpo stuprato da un corrimano tranviario sono rimaste nella sua Casa Blu a Città del Messico. Maria e Frida si incontrano e si raccontano. Bevono cannonau ogliastrino e tequila messicana. Non parlano d’arte e di cultura. Maria racconta la sua esperienza terrena di donna nubile e non madre. Bagadia e lunadiga, per dirla in lingua sarda. Frida racconta la sua vita di moglie del gran Diego muralista, dei suoi amanti e dei suoi reiterati e forzati aborti. Alla fine delle storie personali Maria ritrae Frida in tecnica mista di filo, ceramica e ferro. Frida ritrae Maria in olio su tela e in figura di essere fantastico, per metà capretta e per l’altra metà donna, qualcosa di simile a un centauro ma femmina. Maria Elle è Maria Lai, Frida Kappa è Frida Kahlo.

23 luglio 2014

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