Percorso

L’Intervista. Kamran Shirdel a Cagliari

Al regista iraniano la Ficc dedicherà una breve retrospettiva e un premio alla carriera. di Elisabetta Randaccio

Kamran ShirdalPer la prima volta, la Federazione Italiana dei Circoli del Cinema (Ficc), una delle più longeve associazioni di cultura cinematografica in Italia - è stata fondata nel 1947 - terrà il suo congresso nazionale a Cagliari dall'11 al 14 Dicembre prossimi.

Per i rappresentanti dei Circoli del Cinema italiani riunirsi in quelle date non vuol essere esclusivamente un’occasione per eleggere il nuovo direttivo e il nuovo presidente, ma anche per fare il punto su una associazione che, nonostante i mutamenti dell'industria e dell'arte filmica, nonostante la crisi economica e il cambiamento di gusti ed esigenze degli spettatori, può contare un numero rilevante di piccoli circoli in tutta la penisola (in Sardegna sono più di 50), formando un pubblico “attivo”, curioso, convinto dell'importanza culturale e didattica del cinema. L'evento sarà caratterizzato anche da incontri con autori italiani e stranieri e avrà una mattinata convegnistica importante venerdì 12, quando si ricorderà e si parlerà di Fabio Masala, a venti anni dalla sua morte, attraverso l'analisi, ancora originale, della sua opera di straordinario intellettuale e operatore sociale, nonché fondatore della Cineteca Sarda. Tra i registi, saranno a Cagliari Cecilia Mangini e Mariangela Brabante con il loro documentario In viaggio con Cecilia; Diana Dell'Erba con il suo Registe; Marco Antonio Pani con Isura da filmà. Inoltre, è assai atteso l'autore iraniano Kamran Shirdel a cui sarà dedicata una breve retrospettiva e assegnato un premio alla carriera.

Kamran Shirdal, giovaneShirdel (nato nel 1939) è un uomo di grande spessore culturale, che ha appreso perfettamente la nostra lingua negli anni giovanili quando, prima per studiare architettura, poi frequentando il Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma, si trovò nella capitale a vivere un magico momento della nostra storia (boom economico, crescita culturale, “dolce vita”) e del nostro cinema. Quando ritornò in Iran, divenne un documentarista capace, attraverso soprattutto l'amato stile neorealistico, di filmare la tragica realtà di miseria e degrado, faccia nascosta della medaglia del regime dello Scià. I suoi film sono rimasti, attraverso il tempo e i cambiamenti sociali e politici, riferimenti per la scuola cinematografica iraniana, una tra le più interessanti della contemporaneità.
Abbiamo intervistato Kamran Shirdel prima della sua partenza per la Sardegna

Kamran Shirdal e AntonioniCi può raccontare il suo esordio cinematografico in Iran?
In quei lontani giorni del gennaio 1965, era stato appena inaugurato il Ministero di Cultura e Arte che si occupava di cinema, anche a livello produttivo, prediligendo i documentari finanziati, ovviamente, dal regime. Questi miei film - il Trittico della Schiavitù - erano stati commissionati dalla Organizzazione Femminile dell'Iran (OFI), diretta dalla sorella gemella dello Scià, Ashraf Pahlavi. L’OFI godeva di ottimi finanziamenti, derivati dagli introiti settimanali di denaro ricavati dall’unica lotteria esistente in Iran. Ma l’OFI - come d'altronde tutti gli altri enti statali o parastatali, compreso il Ministero - erano al servizio della propaganda. Così, mi avevano commissionato una specie di cinegiornale - in bianco e nero e con un tempo massimo di 10 minuti - che doveva mostrare in quale “rosea” situazione si trovassero le prigioni femminili nei bassifondi di Teheran oppure in quale condizione fosse il famoso quartiere Shahre' No, in cui vivevano ed esercitavano le prostitute. Avendo visitato quei luoghi sia prima dell'accordo col Ministero e sia in seguito, quando fui accompagnato dalle donne dell’OFI, avevo recepito da quelle esperienze ben altre impressioni. A questo punto, dovevo, da una parte raggirare il rigoroso controllo e la pressione della censura degli addetti inviati dall’OFI e, dall'altra, quello della polizia che ci accompagnava per proteggerci! Il primo corto, La Prigione Femminile, girato in fretta, ebbe un esito favorevole, anche perché il luogo dove avvennero le riprese era abbastanza pulito, attrezzato e controllato dalle autorità. Questo fu il mio primo documentario con un intento sociale, dedicato ai problemi della donna. Dopo il mio primo film, ebbi maggiore libertà e, in pochi giorni, girai Tehran è la Capitale dell'Iran e, parallelamente, Qaleh, quartiere femminile, senza nessuna sceneggiatura e con uno stile e uno sguardo al Cinema-Veritè.

Kamran ShirdalChe ricordi ha della sua esperienza nel cast tecnico de La Bibbia di John Huston?
Eravamo quasi alla fine del nostro biennio al Centro Sperimentale di Cinematografia, quando un giorno dalla produzione del film La Bibbia, diretto dal grande John Huston vennero a cercare tre studenti del corso di Regia che potessero parlare bene l'inglese. Fummo scelti io ed altri due giovani, pure loro stranieri. Il nostro lavoro consisteva nel correre dalla mattina alla sera nelle grandi scene costruite appositamente nei teatri di posa di Cinecittà, supportando altri Assistenti di Huston. Non credo d'aver imparato, in quel contesto, niente di artistico e producente, anche se, con la paga ricevuta, riuscii, in poco tempo, ad arricchire la mia biblioteca e la mia già ricca discoteca di cui vado fiero anche oggi. Durante quella esperienza, capii quanto era incolmabile la distanza tra un cinema umano, minimale, ma universale come quello italiano e neorealistico e quello paradossale, industriale, per certi versi, infernale come quello americano. Proprio in quel periodo ho avuto, inoltre, l'opportunità e la fortuna di conoscere Pier Paolo Pasolini e il suo cinema. Infatti, potei assistere alle riprese del Vangelo Secondo Matteo, dopo aver fatto l'autostop da Roma fino a Matera. In quella stupefacente città nasceva il Cristo cinematografico tra le mani di Pasolini e la sua piccolissima troupe.

Kamran ShirdalPuò dare un giudizio sul cinema iraniano contemporaneo?
Da ciò che si può vedere, la situazione del cinema iraniano sembra vivere un periodo di crescente risalita, grazie ai nuovi nomi di giovani registe e registi. Ho un’assoluta fiducia in questo nuovo sviluppo cinematografico che ha giustamente sbalordito, non solo a livello nazionale, ma anche fuori dai nostri confini. Certo ci sono degli alti e dei bassi, ma, per il momento, la situazione attuale pare assai positiva.

Come si è sviluppato il suo rapporto con la Federazione Italiana dei Circoli del Cinema e, in genere, con l'associazionismo cinematografico?
Il mio rapporto con la Federazione Italiana dei Circoli del Cinema è cominciato a Roma, nel 1960, quando avevo appena 21anni. Ne ho conservato la tessera come una reliquia! Infatti, la mia vera formazione cinematografica è iniziata proprio in quell'ambito, nel Film Club di Roma dove il compianto Maestro Cesare Zavattini ci faceva vedere i film – soprattutto i capolavori del Neorealismo - e ce ne parlava con tanto amore e brio. Considero, d'altronde, qualunque circolo intento a propagandare il cinema autoriale una fonte inesauribile di apprendimento sia artistico sia tecnico. Infatti, credo che il cinema si impari proprio vedendo i film e “vivendoli”.

Kamran ShirdalCerto, l'associazionismo è l'apice di tale “fraternità” cinematografica. Tale modo di approccio ai film l'ho approfondito in Italia, quando ho partecipato, per esempio, al Festival dei Circoli del Cinema di Reggio Calabria, una lezione metodologica che sto portando avanti a Teheran da anni, nel nostro Istituto Culturale e Artistico Mahè Mehr, introducendo e analizzando i film, soprattutto quelli Neorealistici, presentando tale corrente nel suo immane e innegabile insegnamento cinematografico e umano. Considero il riconoscimento che ritirerò a Cagliari come il più gradito, tra tanti ricevuti durante la mia carriera e ne sono orgoglioso e riconoscente.

Che tipo di film vorrebbe ancora realizzare?
C'è una distanza solare tra quello che vorrei poter realizzare e quello che si può girare in un paese come il mio, considerando la situazione politica. Alla mia età e con la mia esperienza ormai di mezzo secolo al servizio di un cinema sovversivo e di protesta, preferisco portare avanti l'insegnamento cinematografico - di cui ho appena parlato - e aspettare il momento propizio sperando che arrivi finché sarò in forze.

3 dicembre 2014

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