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Percorso

La dolce vita di Anita Ekberg

Dai film con Gianni e Pinotto a quella bagno all’una di notte nella Fontana di Trevi. Ritratto dell’ultima diva. di Elisabetta Randaccio 

Anita Ekberg

Anita Ekberg, nata a Malmo in Svezia, ha trascorso buona parte della sua vita in Italia, anche l'ultimo difficile periodo segnato dalla malattia e dai problemi economici. Così, i suoi funerali – è scomparsa il 14 gennaio – si sono svolti a Roma, in una Chiesa Protestante, senza folle di ammiratori e di amici; un saluto semplice e, poi, le sue ceneri, sono tornate nella città d'origine.

La parabola artistica di Anita Ekberg è esemplare e, nello stesso tempo, sovrapponibile ad altre di ragazze del dopoguerra (ma, a pensarci bene, non solo), belle, ambiziose e con un grande desiderio di affermarsi nel mondo del cinema. A vent'anni (nel 1950) è eletta miss Svezia; d'altronde è una tipica svedese statuaria, impossibile non restarne affascinati.

Anita Ekberg e Marcello MastroianniCome la descriverà Tullio Kezich nei giorni della Dolce vita, è “una specie di nume, imponente, limpida, serena”. Arriva a Hollywood e qui inizia il percorso standard delle belle starlette. Il miliardario regista e produttore, vagamente psicotico, Howard Hughes decide di diventare il suo pigmalione, così come lo era stato di Ava Gardner o di Jane Russell e, dunque, la Ekberg inizia a frequentare i set losangelini: solite parti da bellona stupidella, perché, come si è poi visto nello stesso periodo con Marylin Monroe, le donne piacenti non dovevano avere cervello sul grande schermo, mentre il genere adeguato a loro era fissato nella commedia demenziale.

Anita EkbergE così, la troviamo recitare con quei buffoni di Gianni e Pinotto (come verranno chiamati in Italia Abbott e Costello) e con la coppia più commerciale degli anni cinquanta: Dean Martin e Jerry Lewis in due film diventati classici del loro umorismo: Artisti e modelle (1955) e Hollywood o morte (1956). In quest'ultima pellicola impersona se stessa: Anita, la stellina del cinema che Jerry vorrebbe incontrare. Questo particolare non è da trascurare, anticipa il futuro da icona che le si disegnerà addosso. Infatti, ci saranno almeno altre due volte, nella sua carriera, in cui interpreterà se stessa: ne I clown e in Intervista, ambedue di Fellini. Proprio il regista riminese la vorrà per il ruolo che segnerà il suo iter professionale, Sylvia nella Dolce vita.

Anita EkbergMa Anita Ekberg, in Italia, era già arrivata da qualche tempo per recitare nel campione di incassi, nel nostro paese, del 1956, il blockbuster Guerra e pace firmato dal grande King Vidor, a cui collaborano sceneggiatori, tecnici, registi italiani: un'opera gradevole dove gli occhi degli spettatori sono puntati su Audrey Hepburn, una credibile Natascia e non sulla attrice svedese che interpreta Helena. Inoltre, la Ekberg appare anche in un peplum, allora genere popolarissimo, Nel segno di Roma, di Guido Brignone. In quello stesso anno, il 1959, sarà Sylvia, una parte certo splendida, che l'attrice fece sua totalmente. Vestita da prete o stretta nel suo abito da sera nero è indimenticabile.

Anita EkbergSapeva, la Ekberg, che quella sera nei tanti ciak, durati tutta la notte sarebbe diventata un'icona del Novecento? Forse si sarebbe immaginata gli scandali, le censure in un paese diviso tra modernità e bigotteria, ma diventare parte di una sequenza cinefilo-artistica-sociale, non è probabile. La scena fu difficile da girare e i vari giornalisti presenti ricordano la professionalità dell'attrice svedese, ancora vitale dopo una stressante giornata. Così, la descriveva un reporter dell'Europeo, citato sempre da Kezich: “L'attrice buona come una cavalla da circo era seduta sul bordo della vasca e tremava di freddo.

Anita Ekberg e FelliniAveva un abito nero di velluto con tanti veli intorno che le lasciava nuda la schiena (…) Aveva smesso di piovere da poco, l'aria era umida, il termometro segnava otto o nove gradi. Quelli della troupe erano tutti imbacuccati (..) All'una e mezza Anita Ekberg era la sola cosa che si muovesse in piazza Fontana di Trevi. Camminava adagio, con i capelli biondi sciolti sulla schiena nuda. Forse non assomigliava precisamente a una dea, ma non aveva l'aria di una attrice piena di freddo e di stanchezza”. Per Fellini fu, in quell'occasione, una delle tante interpreti del suo ideale femminile materno-matronale, “buona come una cavalla da circo”. Dopo la morte del regista, la Ekberg fu giustamente impietosa con il lato umano del genio cinematografico; lo descriverà, infatti, assetato di sesso, poco simpatico e invidioso dei suoi colleghi.

Anita EkbergPerò, Fellini le darà un'altra occasione, decisamente diversa da quella della Dolce vita, in cui la sua figura di donna bellissima e tormentata dai media e dalla censura, si prenderà una rivincita esilarante. Il film è un episodio di Boccaccio '70 (1962), un vero capolavoro: Le tentazioni del dottor Antonio, dove, in una notte di incubo, il frustrato Peppino De Filippo, censore ipocrita, diventerà letteralmente un giocattolino in mano della “gigantessa” Anita, bravissima. Dopo Fellini, un altro regista, a cui peraltro si legherà per un breve periodo, Dino Risi, genio ambiguo per eccellenza, la vorrà protagonista in una bizzarra legal comedy, A porte chiuse (1961), non particolarmente fortunata commercialmente.

Anita EkbergIn seguito, la carriera della Ekberg (segnata pure dal soprannome insopportabile di “Anitona”, ideato, ancora una volta, da Fellini) avrà un percorso tormentato: film non fortunati di grandi registi come Aldrich o De Sica, alternati a opere di professionisti italiani e stranieri, un declino voluto da un cinema incapace di offrire parti interessanti a attrici non più caratterizzate da fattezze da dea, problema culturale difficile da superare anche per interpreti maggiormente raffinate. Gli ultimi anni non sappiamo se siano stati tristi, sicuramente pesanti per chi doveva rivedersi in loop (come fece Fellini in Intervista) bella dentro una Fontana gridando “Come here, Marcello”.

Nel diario della Dolce vita, già citato, scritto da Kezich, è presente un momento, col senno di poi, inquietante: “La guardiamo ballare come un'apparizione magica... un immagine di spensieratezza e festosità pagana. Federico si china su di noi e dice: “Non ti spaventa l'idea che possa invecchiare?".

21 gennaio 2015

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