Vestire il Cinema. L'arte da Oscar di Milena Canonero
La definizione di costumista sta stretta alla madre dei Drughi di Arancia Meccanica, premiata dall'Accademy con la quarta statuetta. di Elisabetta Randaccio
La donna elegante, vestita di bianco e nero, salita sul palco del Kodak Theatre a ritirare il suo quarto Oscar per gli straordinari costumi del bel film di Wes Anderson Grand Hotel Budapest, era Milena Canonero, che, senza nessun isterismo, conscia della sua arte, ha ringraziato il regista, glissando sul suo personale trionfo, il quale ha pure regalato uno spazio vincente al cinema italiano, così lontano dalle soddisfazioni losangeline del 2014.
La definizione di “costumista” sta stretta alla Canonero, consapevole come, nel gioco di squadra del cinema, la forza dei personaggi passi anche attraverso gli elementi di vestiario da loro indossati.
Pensiamo proprio ai protagonisti di Grand Hotel Budapest, fermati in una sorta di non tempo, che evoca fasti mitteleuropei e situazioni ambigue storicamente: i colori pastello prevalenti nei costumi danno vigore all'estetica da animazione lisergica di Anderson; indimenticabili le valigie, i cappelli, gli stivaletti che danno vita agli incontri di personaggi originali in un film meritevole di una maggiore considerazione dalla competizione degli Academy Awards. D'altronde, la Canonero ha collaborato con il grande Stanley Kubrick, sin da quando, ancora debuttante nel mondo del cinema, si trovò a lavorare al capolavoro “Arancia meccanica” (1971).
Il mitico costume dei Drughi, un puzzle di grottesco, di clownesco e di inquietante pare l'abbia ideato lei e poteva anche solo per questa straordinaria intuizione entrare nell'Olimpo del cinema. Ma la “maschera” di Alex fu completata da un make up geniale, che accentuava la doppia natura del personaggio: “Insieme alla truccatrice avevo deciso che i Drughi dovessero indossare un make up stilizzato... il trucco piú riuscito era quello di Alex. In origine gli avevamo truccato entrambi gli occhi con ciglia finte, cosa che conferiva all'attore Malcom McDowell un atteggiamento singolare ma non pauroso. Poi ci é venuta l'idea di truccargli un solo occhio con ciglia finte...da questo unico occhio...deriva lo sguardo inquietante che ha contraddistinto il personaggio di Alex".
Da un capolavoro kubrickiano all'altro, Milena Canonero é stata parte fondamentale nella ricostruzione di un Settecento amaro, ripensato sulla scia dei grandi pittori inglesi e francesi dell'epoca, in Barry Lyndon (1975). Per Barry Lyndon la costumista italiana condividerá l'Oscar con Ula Britt Soderlund. Così, racconta lo spirito del film lo scenografo Ken Adam, “Milena Canonero aveva un gran gusto. La mandavamo per tutta l'Europa ad acquistare alle aste abiti e stoffe autentici del Settecento. Gli abiti originari settecenteschi erano però troppo stretti per i nostri attori.
Era necessario scucirli completamente, allargarli o rifarli ex novo...” Un settecento completamente opposto, privato di una reale ricostruzione filologica, ma altrettanto fantastico nella creativitá, sará quello che porterá alla Canonero un altro Academy Award per Marie Antoniette di Sofia Coppola (2006), la quale immagina la giovanissima regina di Francia, scatenata nell'accumulo di oggetti e vestiti come un'adolescente moderna immatura e trascurata. Nel suo super armadio si intravedono pure un paio di scarpe sportive! Ma é proprio nell'ingordigia dei costumi (meravigliosi) che il personaggio si disegna nella sua incoscienza e voglia di vivere. Un'altra statuetta la Canonero l'ha vinta anche per il film melanconico Momenti di gloria di Hugh Hudson (1984).
4 marzo 2015