Percorso

Memorie d'oltrecinema. Pane e cioccolata

Gianni Olla ci apre la sua cineteca per riscoprire un grande film che riemerge dal passato

''Pane e cioccolata''Recentemente restaurato dalla Cineteca di Bologna, Pane e cioccolata (1974) sta avendo una circolazione nell’home video (Dvd e Blu-ray) che compensa i quarant’anni di oblio, non certo rari per molte pellicole, filmicamente straordinarie, ma non premiate dal pubblico.

Invece il film di Franco Brusati, programmato nelle sale all’inizio del 1974, dopo aver vinto l’Orso d’argento al Festival di Berlino, aveva avuto un grande successo, in Italia e all’estero, tanto da essere programmato anche in molte sale delle grandi città americane. Inoltre sul piano specifico della sociologia cinematografica, il lavoro di Brusati contende tuttora a C’eravamo tanto amati di Scola, anch’esso del 1974, un’indiscutibile fama: l’essere stata una delle ultime grandi commedie italiane capaci di generare un forte immaginario collettivo.

Però mentre il film di Scola ha assunto il ruolo di memoria storica della “mutazione” sociale e psicologica nazionale – per dirla in due parole, dalle speranze della Resistenza all’integrazione completa nella disillusa società moderna – Pane e cioccolata è stato identificato come l’ultimo film “proletario”. E dunque, non appena il legame con quel tipo di affabulazione sociale si è affievolito, per non dire spento, la commedia triste di Franco Brusati è stata archiviata tra i reperti di un cinema italiano ormai lontanissimo da quel tipo di caratterizzazioni sociali.

''Pane e cioccolata''Come film proletario non avrebbe potuto avere altro interprete che Nino Manfredi, peraltro, in alcune schede tecniche, associato alla sceneggiatura come coautore, assieme a Iaia Sastri e allo stesso Brusati. Nei contenuti extra del Dvd, però, ci sono altre notizie curiose: la prima è che il film fu inizialmente ideato da Ugo Pirro, sceneggiatore non organico alla commedia, ed anzi incline, nei suoi film più celebri – quelli scritti per Elio Petri – ad una drammatizzazione feroce e surreale. Come protagonista, Pirro e Brusati pensarono a Ugo Tognazzi, ipotizzando, dunque, vista la caratterizzazione sociale dell’attore, ad una vicenda di emigrazione non proletaria, ma piuttosto borghese, legata ai paradisi fiscali svizzeri e alla possibilità, in quei tempi, di varcare la frontiera per evitare di essere finire in prigione, accusati di bancarotta fraudolenta. Nel film realizzato quel personaggio non è scomparso, ma è diventato di secondo piano, anche se la grande interpretazione di Johnny Dorelli non è certo un elemento “secondario” per la riuscita del film.

''Pane e cioccolata''Il vero protagonista della nuova sceneggiatura è invece un vero emigrato del sud. Fu un nuovo sceneggiatore, Ennio de Concini, organico alla commedia, a modificare la trama, e fu infine lo stesso Manfredi, messo sotto contratto per quel ruolo, a ritagliarsi un suo spazio dominante, anche come sceneggiatore, che finì per condizionare l’intero racconto filmico, facendo risaltare la sua figura come protagonista assoluta. Per inciso, neanche Brusati, sceneggiatore di lungo corso, nonché drammaturgo e regista teatrale, è stato un regista di commedie. La sua scarna e tardiva filmografia come autore comprende tre film sentimentali-psicologici: I tulipani di Haarlem (1970), Dimenticare Venezia (1979), Il buon soldato (1982), di impostazione quasi letteraria. Infine, con Lo zio indegno (1989), si misurò con l’istrionismo di un altro “mattatore”, Vittorio Gassman, firmando un’altra commedia che non ebbe purtroppo alcun successo e che è scomparsa da tempo anche nelle programmazioni televisive.

''Pane e cioccolata''Pane e cioccolata conferma dunque che nella costruzione della commedia italiana, il protagonista è quasi sempre un vero co-autore che catalizza, nelle teatralizzazione estrema delle sue disavventure, il senso del film. Il Manfredi “mattatore”, ovvero il lavoratore con contratto e permesso di soggiorno in scadenza Nino Garofalo, lo intravediamo già nelle prime immagini del film, intento a mangiare avidamente un panino (con cioccolata, o forse già nutella) in un parco. Il semplice “crack” del pane appena sfornato, che si rompe sotto i suoi denti, interrompe un quartetto d’archi di Haydn che i musicisti stanno eseguendo a pochi passi da lui. Le occhiate terribili degli interpreti e del pubblico provocano l’allontanamento dell’estraneo che, mentre recupera un pallone perso da alcuni bambini, s’imbatte in un cadavere. Ironicamente “smascherato” come italiano dai poliziotti svizzeri – che, peraltro hanno già trovato l’assassino – Nino risponde, alla Billy Wilder: “Nessuno è perfetto.”

''Pane e cioccolata''L’ironia si spegne, però, dopo qualche giorno, nello stesso parco: una donna lo fotografa, non vista, mentre sta urinando nascosto da un albero. La foto arriva alla polizia – che già conosce il “non perfetto” emigrato – e da qui, finisce nella scrivania del padrone di un ristorante di lusso, in cui Nino lavora come cameriere “precario”, in attesa di una possibile assunzione che gli permetterebbe di ottenere un permesso di soggiorno stabile e di far arrivare in Svizzera anche la famiglia. Ovviamente, al suo posto, verrà scelto un altro straniero, turco (è interpretato dal grande Gianfranco Barra), che, alla stazione, mentre attende la famiglia, incrocia il rivale in ri-partenza per l’Italia. Ma Nino non si arrende. Decide di rimanere in Svizzera da clandestino e da qui in poi percorre una propria odissea esistenziale e materiale che è poi il vero filo conduttore e l’aspetto realmente attrattivo del film.

''Pane e cioccolata''Nel suo percorso vero l’eterno dilemma dell’emigrato (amare la propria terra matrigna, solo perché c’è il sole, il mare, il mandolino e gli spaghetti, o odiarla perché ci costringe a partire per poter lavorare), Nino incrocia un bancarottiere che lo assume come maggiordomo, gli sottrae i risparmi per investirli, e quindi si uccide lasciandolo letteralmente in mutande; poi viene ospitato da un’emigrata greca in fuga dal regime dei colonnelli; quindi s’inabissa in un inferno di sopravvivenza estrema, che comprende o una provvisorietà abbastanza comune (le baracche di legno dei lavoratori stagionali: un lager ben tenuto) o il lavoro clandestino in un pollaio ai margini di una foresta, in cui i lavoratori – vecchi, giovani, donne, bambini – sembrano quasi orgogliosi di essere “separati” dalla civiltà e di essersi trasformati anch’essi in volatili da cortile.

''Pane e cioccolata''Tutto la costruzione del film oscilla tra due poli: da una parte c’è un mondo surreale in cui la perfezione della superficie visibile nasconde la malattia: non a caso il racconto si apre con un delitto compiuto da un maniaco, prosegue con un suicidio, si focalizza nella lunga sequenza della gabbia che contiene gli uomini/galline. Accanto a loro, in mezzo alle acque e ai boschi di una saga wagneriana, si svolge però un rito quasi magico, o almeno osservato come tale da quei sotto uomini: i giovani vichinghi biondi dai cappelli fluenti e gli occhi azzurri, accompagnati dalle loro dame, ed entrambi nudi, cavalcano placidamente, accompagnati dall’adagio della sinfonia n. 1 di George Bizet. L’accostamento tra i due mondi serve a Brusati per sottolineare una sorta di doppia allucinazione: che cosa risulta più falso, più “inautentico”? Il Walhalla dei ricchi abitanti del luogo o l’inferno dei clandestini?

''Pane e cioccolata''All’interno della medesima struttura drammaturgica, ci sono ovviamente gli “a solo” di Nino Manfredi, il più celebre dei quali – considerato tra i brani più belli dell’intera commedia italiana – si svolge in un bar in cui l’emigrato si presenta, biondo, con i cappelli stirati, fingendo essere svizzero. Ha deciso di assistere ad una partita che la nazionale di calcio italiana giocherà contro quella elvetica: attorno a lui stanno i veri svizzeri, gonfi di birra e di rabbia verso gli italiani. Nino si unisce a loro, ma quando Capello segna il primo gol per gli azzurri, esplode, insulta a sua volta i tifosi avversari e viene buttato fuori, nonché picchiato. Ci sono ovviamente continui punti di congiunzione tra questi “a solo” e gli sviluppi narrativi del film.

''Pane e cioccolata''O meglio, l’oscillazione tra il comico puro e il psicologico surreale rappresenta la chiave espressiva della regia. Manfredi resta un personaggio archetipico della commedia anche quando riporta a galla, in un monologo interiore, i dialoghi familiari che gli sono pervenuti attraverso le lettere, o durante una serata in cui viene ospitato dall’esule greca Anna Karina. Mentre fa un pediluvio, perde nella bacinella d’acqua la foto incollata della moglie, che immediatamente si disfa in tanti pezzi: un prologo simbolico ad una notte d’amore che potrebbe distruggere l’identità statica dell’emigrato. Anche nelle baracche degli stagionali, o, verso la fine, nel treno che dovrebbe riportarlo in patria definitivamente, l’io del protagonista è sempre diviso tra l’appartenenza al gruppo, alla definizione più semplice di emigrato (meridionale, povero, simpatico, allegro, ma poco ordinato e disciplinato), e la voglia di essere semplicemente il Nino Garofalo che non si arrende mai.

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