Percorso

''La luna'' di Bernardo Bertolucci (1979)

Memorie d'Oltrecinema. Gianni Olla ci apre la sua cineteca per riscoprire grandi film che riemergono dal passato.

''La luna'' Bertolucci sul setPaesaggio mediterraneo con figure: in una terrazza che si affaccia sul mare di Sabaudia, un bambino di pochi mesi piange per poi calmarsi quando la giovane madre gli porge il proprio dito intriso nel miele. Nell’inquadratura successiva, lo stesso bambino sorride mentre la genitrice balla il twist con un uomo. Nel controluce estremo gli adulti sono mostrati in penombra.

Solo la nonna, interpretata da Alida Valli, è ben visibile, effimera garante della famiglia, come si vedrà più avanti. Poi, in una breve sequenza successiva, notturna, il bambino si esalta nel vedere la luna piena illuminare il paesaggio, e sorride nuovamente alla madre, identificandola, secondo i dettami mitologici, con una divinità.

Dopo questo primo prologo, ecco un altro “incipit”: a New York la madre, Caterina Silveri (Jill Clayburg), è diventata un’affermata cantante lirica che ha sposato un cittadino americano; il bambino delle prime sequenze, Joe (Matthew Barry), è ora un adolescente di quattordici/quindici anni che vorrebbe seguire i genitori nelle loro tournèe, in giro per il mondo. Il marito di Caterina muore improvvisamente e la madre è costretta a portare con sé, a Roma – dove sono in programma le sue prossime recite – anche il ragazzo. Seguono, in circa due ore di narrazione spezzettata e variamente giudicabile, tra alti e bassi, spesso estremi, una sorta di romanzo di formazione inserito in una struttura dove predomina o forse impera il richiamo melodrammatico, con annessi e connessi: il complesso di Edipo, l’incesto, i padri veri e quelli sostitutivi.

''La luna''Per presentare uno dei film meno conosciuti e controversi di Bernardo Bertolucci, La luna, fortunatamente riapparso in DVD, sono costretto a rievocare, magari con una punta di narcisismo, la sua presentazione alla Mostra d’arte cinematografica di Venezia. Annata 1979, la prima diretta da Carlo Lizzani, e ancora non competitiva, cioè senza premi: un’eredità disastrosa, derivata dalla contestazione sessantottesca, che lo stesso Lizzani dichiarerà estinta l’anno successivo, ripristinando Leoni e altri riconoscimenti.
Una breve ricerca tra Internet e cataloghi, nonché uno sforzo di memoria, mi permette di scrivere che la selezione italiana, nonostante i quattro gloriosi nomi di Bertolucci, Paolo e Vittorio Taviani (Il prato), Gillo Pontecorvo (Ogro) e l’onorevole presenza di Florestano Vancini (Un dramma borghese), ebbe un’accoglienza quasi “offensiva” sia da parte della critica che del pubblico.

Quest’ultimo confermò il suo verdetto nelle sale, decretando l’insuccesso commerciale delle pellicole: s’annunciavano le “vacche magrissime” degli anni Ottanta. Va aggiunto che fino a qualche anno prima, gli spettatori dei festival – e in particolare di quello veneziano – erano stati irrilevanti per capire l’orientamento del pubblico di massa che avrebbe pagato un biglietto per accedere alle sale delle città e dei paesi. Al massimo, le loro opinioni rinforzavano o affievolivano tendenze culturali e commerciali già definite dal “modo di produzione” (Titanus, Ponti, De Laurentis o le majors statunitensi) o dalla fama del regista, ma nulla più.

''La luna''A partire dalla fine degli anni Settanta, le nuove generazioni post sessantottesche invasero il Lido mettendo all’angolo i critici che si stupivano di queste presenze da “kermesse” musicale – tipo Parco Lambro, per intenderci – che si arrangiavano, dati i costi di un soggiorno veneziano, con sacchi a pelo, tende e campeggi improvvisati. Soprattutto, i giovani festivalieri avevano altri gusti. Decretarono, infatti, il successo, poi confermato dalle sale commerciali, di tre film “made in Usa”: American Graffitti 2 di Norton, The Wanderers-I nuovi guerrieri di Philip Kaufman, Fuga da Alcatraz di Don Siegel.
I primi due appartenevano alla tendenza nostalgica e giovanilista – ma non priva di un interessante sottofondo sociologico – della New Hollywood. Il terzo, udite udite, era interpretato (e dominato) da Clint Eastwood, attore-personaggio che, fino all’anno prima era considerato l’autorevole erede di John Wayne, ovvero poco meno che un  fascista. Il culto dell’attore regista “inventato” da Sergio Leone e riciclatosi come autore a Hollywood, ha inizio proprio con quel film.

Questa repentina mutazione del pubblico, che riportava Hollywood in cima al mondo, senza mai cancellare  l’ostilità nei confronti dei valori “amerikani”, per citate il celebre film di Costa Gavras, era il segno di una profonda e neanche criticabile contraddizione, già avvertita nell’immediato dopoguerra. Come scrive Goffredo Fofi a proposito del pubblico italiano post bellico, «I più smaliziati o i più stalinisti, che a sinistra disquisivano su Il giuramentoI cosacchi del Kuban (celebri film sovietici e piuttosto brutti – ndr), andavano poi a vedersi l’ultimo Bogart, l’ultima Bergman, l’ultimo Ford e vi si ritrovavano.»

''La luna''Per tornare finalmente a La Luna, anche Bertolucci fu vittima di quella mutazione antropologica. Il suo film fu accolto dai mugugni della critica e dai fischi del pubblico pagante. Alla conferenza stampa l’ostilità si rafforzò attraverso l’aggettivo, allora infamante, di melodrammatico. Bertolucci non accennò, in tale occasione, alle radici autobiografiche del film, che poi rivelò in altre interviste meno rissose. Signorilmente, accettò la definizione “svalutativa” e sottolineò che il  modello dell’opera era il cinema di Douglas Sirk, regista hollywoodiano di origini tedesche, che negli anni Cinquanta inventò una sorta di melodramma senza musica ma  a tinte forti (in senso letterale: i suoi colori saturi, pieni, fiammeggianti, sono il simbolo del cinema americano popolare di quegli anni), popolato da personaggi, uomini e donne, immersi in continui ed estremi naufragi sentimentali e esistenziali.

Nessuno dei contestatori, però, aveva mai visto La magnifica ossessione, Secondo amore, Come le foglie al vento, Lo specchio della vita (il capolavoro di Sirk), e probabilmente, se anche, casualmente, li avessero incrociati in qualche rassegna d’essai, non li avrebbero apprezzati. Pochi anni dopo, lo stesso pubblico avrebbe però amato sia le opere di Rainer Werner Fassbinder che quelle di Pedro Almodovar, entrambi apertamente seguaci del regista tedesco-americano al punto da citarlo quasi letteralmente. Il primo “raggelò” le sue storie d’amore ambientandole nella Germania contemporanea; il secondo le carnevalizzò,  inserendole nell’eterno surrealismo/barocchismo della sua Spagna.

''La luna''Il ricordo critico-cronachistico si chiude con tre iniziali considerazioni su La luna. La prima è che, a causa della mia passione per Verdi (cioè per il vero melodramma musicale), rimasi ipnotizzato dalle sequenze teatrali in cui appare, dapprima, una scena chiave de Il Trovatore (e la si percepisce dietro le quinte, con tanto di maestri “rammentatori” e di tecnici che muovono le macchine teatrali: uno spettacolo nello spettacolo) e, successivamente, nel finale, l’uccisione di Un ballo in maschera, in cui si passa dalle prove alle Terme di Caracalla al vero spettacolo notturno.
La seconda riguarda il modo in cui viene filmata Roma da Bernardo Bertolucci e Vittorio Storaro. Le “Film Commission” non esistevano ancora  – sarà stato un bene? – ma le riprese in continuità che avvolgono personaggi e monumenti fanno sembrare la città, anche a chi la conosce, un universo che deve essere continuamente riscoperto, tanto è capace di abbagliare lo spettatore. Solo il Sorrentino di La grande bellezza ha eguagliato, e forse superato Bertolucci, in questa capacità di far risplendere la città eterna e, nel contempo, di riuscire a mascherare il mistero di questa continua aggregazione di forme artistiche che resistono alla modernità.

Il regista napoletano, in omaggio a Fellini, ha poi affiancato la bellezza al degrado umano dei suoi abitanti e ospiti; Bertolucci si è limitato a contrapporre il mantello protettivo di quella medesima bellezza all’infelicità interiore dei suoi personaggi. Un dato di stile diventa così uno dei motori espressivi del film e sovrasta e generalizza la stessa confessione del regista che ricorda il proprio trasferimento a Roma all’età di 11 anni. Anche lo spaesamento di Joe e la sua esaltazione per la Marylin Monroe di Niagara “che parla italiano” in uno schermo cinematografico di Piazza Cavour, dovrebbe equivalere al rapporto di odio/amore verso la città da parte di Bertolucci, mediata dalla sua passione di “cinefilo”.

''La luna''La terza considerazione riguarda di nuovo il modello dichiarato da Bertolucci: Douglas Sirk. Può anche darsi che il regista di Parma abbia pensato al suo collega americano, non a caso osannato dalla critica francese degli anni Sessanta, ma la sua ossessione citazionista non riguarda affatto il climax rigido e predeterminato del melodramma hollywoodiano, ma piuttosto la varietà estrema dell’Edipo mediterraneo.
La sequenza iniziale, che Bertolucci rivela essere un sogno che riguarda la propria madre (dunque un altro frammento biografico), è anche e soprattutto un aperto omaggio all’esordio di Edipo Re di Pier Paolo Pasolini (1967), suo mentore degli anni giovanili. Bertolucci, infatti, fu assistente alla regia in Accattone e girò, nel 1962, La commare secca, tratta da un soggetto del poeta e scrittore. In un’altra sequenza, quasi “fuori testo”, il poeta, scrittore e regista, è ambiguamente rimpianto in maniera quasi provocatoria: Franco Citti rifà uno dei suoi tanti personaggi sottoproletari e tenta di sedurre, in un bar, proprio Joe.

Però, l’Edipo iniziale di La luna è festoso, mentre in Pasolini aveva già una sottolineatura cupa, da predestinazione tragica, come del resto in Sofocle. Nelle sequenze successive, però, il richiamo visivo della luna sarà invece sempre turbativo, come nel sogno dichiarato dal regista e trasformato quasi in un topos da film fantastico-orrorifico.
Dopo questi continui richiami mitologici, la compattezza del racconto, finora tenuta sotto controllo, nonostante i diversi “avvicinamenti” al vero e proprio romanzo di formazione del protagonista, salta in aria, dividendosi in diversi filoni tematici, drammaturgici, formali e espressivi. La madre, pur impegnata nelle prove della stagione lirica romana, scopre che il figlio si droga. Decide di abbandonare la sua carriera per cercare di stare assieme a lui, bisognoso di autentico affetto materno. 

''La luna''Ma neanche questo serve e allora la donna cerca di farsi ispirare dal sommo Giuseppe Verdi, partendo in macchina verso Parma, o meglio Roncole di Busseto, paese natale del compositore, per farsi consigliare da un vecchio maestro che le insegnò a cantare. Ma l’uomo è ormai un povero invalido incapace di riconoscere la sua ex allieva.
Anche questo itinerario degli affetti è una  traccia autobiografica, neanche troppo mascherata. La campagna emiliana di La luna è la stessa in cui Bertolucci, qualche anno prima, aveva girato Novecento. Paradossalmente, il “quarto stato” raffigurato in quel film s’incarna, in La luna, in un personaggio buffo (Renato Salvatori) che gira in Mercedes, si dichiara comunista, si vanta di essere andato a pesca di Marlin nientemeno che con Fidel Castro, a Cuba, quasi fosse la reincarnazione di Hemingway.  L’uomo, simbolo di quell’eterna borghesia comunista emiliana che già faceva capolino in Prima della rivoluzione, corteggia Caterina in un’osteria della campagna, osservato da Joe che, in disparte, mentre mangia una fetta di culatello offertagli dall’oste, inveisce contro la madre.

La ciliegina sulla torta – multistrato – è infine costituita da due sequenze in cui l’incesto, consunstanziale al tema edipico, è finalmente visualizzato. Dovrebbe essere la vera e propria provocazione del film ma in realtà proprio il suo presunto realismo contrasta con secoli di drammaturgia allusiva e elusiva. Basta pensare alla scena madre dell’Amleto (il principe è nella stanza della madre, incerto se ucciderla o possederla fisicamente), chiave di volta della maggior parte delle raffigurazioni edipiche nel cinema e nella letteratura contemporanea,  per tracciare la distanza tra la capacità di trascinamento dello spettatore in un gioco di semplici ipotesi “perturbanti”, e la banalità scandalistica che aggiunge alla brutte scene della droga, quelle bruttissime della masturbazione di Joe e il successivo, quasi esplicito, invito all’amplesso da parte di Caterina.

''La luna''L’Edipo di Bertolucci si chiude fortunatamente con una brusca, e drammaturgicamente efficace, inversione mitologica: il ritrovamento del vero padre, un maestro elementare, Giuseppe (il bravo Thomas Milian), che suggella le stupidate del figlio abbandonato e finalmente ritrovato, con un sonoro schiaffone, mentre sulla scena un altro padre, puramente simbolico – il governatore di Il ballo in maschera – viene trucidato dai congiurati americani che si associano ad un marito convinto di essere stato tradito dall’amico e sodale. Anche in questo caso, il regista non vuole separare la mitologia dalla realtà. Nel mondo nello spettacolo tragico-sentimentale (soprattutto nelle opere di Verdi) le complessità drammaturgiche si sciolgono secondo un processo predefinito dalla rigidità strutturale dell’opera. In La luna, la conclusione antiedipica del romanzo di formazione di Joe si adagia in un “lieto fine” tipicamente hollywoodiano che semplifica all’eccesso gli stessi estremismi stereotipati e involontariamente caricaturali delle precedenti rappresentazioni: la droga e l’incesto. Bastano due ceffoni educativi e tutto torna a posta.

In chiusura è obbligatorio ricordare Franco “Kim” Arcalli, che morì nel 1978 e non fece a tempo a montare il film che aveva scritto assieme al regista. Da sempre sodale di Bertolucci, Arcalli fu un artista geniale e silenzioso, soprattutto davanti ad una moviola. Accostava il suo mestiere a quello del sarto, capace di tagliare la pellicola, misurandola a braccia, con la stessa abilità dei grandi stilisti. I suoi autorevoli consigli avrebbero potuto impedire molte ingenuità di La Luna, ultimo film “post moderno” di Bertolucci

''La luna''All’epoca, il termine era ancora “in fieri” ma la sua operatività filmica e letteraria ebbe certamente come punto di partenza la “nouvelle vague”, tardivo “brodo di coltura” di un regista che si era formato con Pasolini. Il suo secondo film, Prima della rivoluzione, che omaggia apertamente Godard, è infatti una sorta di prima confessione autobiografica che comprende un mezzo incesto: l’amante di Fabrizio è infatti la zia, sorella della madre. Il regista ritornò al post moderno ipergodardiano con Partner e quindi inanellò i suoi maggiori successi e certamente le sue opere migliori con altre straordinarie variazioni su temi e stili “rubati” consapevolmente e apertamente ad altri maestri: Il conformista (1970), Strategia del ragno (1971), Ultimo tango a Parigi (1973).
Infine, con Novecento, costruì una sorta di antologia dell’immaginario visivo della prima metà del secolo: da Verdi – il film si apre con la sua morte, ovvero con la fine della cultura ottocentesca – all’epica resistenziale, passando per le lotte contadine e per il fascismo.

Poiché nel 1987, dopo essere tornato alla sua provincia per un altro film purtroppo invisibile, La tragedia di un uomo ridicolo (1982), farà il salto nelle grandi produzioni internazionali con L’ultimo imperatore, La luna è, insomma, un “addio al passato” intessuto di ricordi trasfigurati come in un vero melodramma operistico. Non a caso, nella colonna musicale, risuonano  anche Traviata e Rigoletto.

''La luna''La totale disgregazione dei generi, inevitabile in un film che vive di suggestioni personalissime e di elaborazioni memoriali, lo allontana da ogni modello filmico prestabilito. Che piaccia o meno, questo è però il cinema di Bernardo Bertolucci. E giusto per concludere con una provocazione, in altri contesti cinematografici e culturali, lo stesso meccanismo di scissione tra stile/maniera e tema/forma filmica si rivela nelle ultime opere di Quentin Tarantino – non a caso il primo cineasta ad essere identificato, magari in ritardo, come post-moderno – genio dello stile che firma delle opere quasi inguardabili se non adottando una strategia di aggiramento nei confronti delle vicende narrate.

Powered by CoalaWeb

Accesso utenti e associazioni